[Internazionale] Sulla caduta del muro di Berlino e dei primi paesi socialisti: alcuni cenni storici e di bilancio

Nei giorni scorsi si sono susseguite sulla rete post e prese di posizione sul trentesimo anniversario della caduta della Barriera di Autodifesa Antifascista (più comunemente nota come il “muro di Berlino”). Il dibattito che questo fatto ha scaturito, in concomitanza con il voto di protocolli anticomunisti in UE e la messa fuori legge dei comunisti in alcuni paesi (vedi Polonia, Ucraina, ecc.), è però molto utile a stabilire che cos’è il socialismo e quali sono le ragioni per cui i primi paesi socialisti siano caduti.

Il crollo del Muro di Berlino nel 1989 insieme alla dissoluzione dell’URSS iniziata formalmente nel gennaio 1990 rappresenta l’apice della caduta dei primi paesi socialisti. Si tratta in verità delle manifestazioni conclusive di una fase iniziata molto prima (nel 1956) che può essere compresa nel suo contenuto, coltre che nelle sue forme, solo tenendo a mente le tre fasi della storia dei primi paesi socialisti: la fase della costruzione del socialismo (1917 – 1956), la fase dei tentativi di restaurazione pacifica del capitalismo (1956 – 1989/1990) e la fase di restaurazione a ogni costo del capitalismo (dal 1989/1990 ad oggi).

La Carovana del (n)PCI ha elaborato il bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e chiama tutti colori i quali si dichiarano comunisti a confrontarsi su tale bilancio per comprendere le ragioni della caduta dei primi paesi socialisti e per guidare l’azione dei comunisti oggi per la rinascita del movimento comunista. Documento di sintesi di tale bilancio è i quattro temi da discutere nel movimento comunista internazionale. Nel documento che segue ci limitiamo a riportare alcuni elementi storici e di bilancio.

Nascita dei primi paesi socialisti

La situazione rivoluzionaria provocata dalla prima crisi generale del capitalismo (1900 – 1945) è sfociata in rivoluzione socialista vittoriosa solo in Russia, nel 1917. I comunisti guidati da Lenin seppero mettersi alla testa della classe operaia e delle masse popolari russe scacciando via lo zar e il governo provvisorio per imporre il potere dei soviet, il nuovo potere delle masse popolari organizzate sotto la guida dei comunisti. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre “fare come la Russia” era la parola d’ordine che risuonava nelle mobilitazioni e nelle lotte della classe operaia in tutto il mondo, in tutti i paesi nascevano partiti comunisti, rivoluzioni socialiste germinavano in tutta Europa e negli USA.

Il pericolo rosso fu un aspetto decisivo alla spinta di una parte dei gruppi imperialisti di consegnare nelle mani di Mussolini, Hitler e Franco la direzione dei rispettivi paesi: tale scelta coniugava la necessità di passare alle vie di fatto per regolare le contraddizioni fra gruppi imperialisti (guerra imperialista) con la necessità di imporre la dittatura terroristica sulla classe operaia e sulle masse popolari ampiamente mobilitate in senso rivoluzionario (Biennio Rosso in Italia, Repubblica di Weimar in Germania e Repubblica Spagnola).

La mancata rivoluzione socialista nei paesi imperialisti

Nei paesi imperialisti il movimento comunista non è riuscito a instaurare il socialismo; i motivi li individuò già Lenin e gli stessi motivi, pure se con manifestazioni diverse, sono quelli che rendono oggi il movimento comunista debole e frammentato e fanno capo alla concezione del mondo che guida i comunisti.

Più precisamente, per quanto attiene ai paesi imperialisti, tali limiti sono l’elettoralismo e l’economicismo, combinati con la convinzione che la rivoluzione socialista scoppia. Individuare e riconoscere i limiti di concezione dei comunisti attiene sia alla lotta per fare oggi la rivoluzione socialista in Italia, sia alla comprensione di processi storici e politici della seconda metà del secolo scorso, cioè il periodo in cui i revisionisti moderni si sono imposti alla testa del movimento comunista in quella che fu la base rossa della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale (l’URSS) e anche nei paesi imperialisti.

L’avvento dei revisionisti moderni

La fine della Seconda Guerra Mondiale segnò anche la fine della prima crisi generale del capitalismo. Durante questa prima crisi generale il movimento comunista aveva raggiunto grandi successi. Proprio questi successi e la fase di nuoca accumulazione di capitale nel capitalismo ponevano al movimento comunista compiti nuovi e maggiori sia per quanto riguardava l’avanzamento della transizione dal capitalismo al comunismo nei paesi socialisti, sia per quanto riguardava l’irrisolto compito della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti, sia per quanto riguardava lo sviluppo della rivoluzione di nuova democrazia nei paesi coloniali e semicoloniali.

Nel movimento comunista internazionale si aprì nuovamente uno scontro a livello mondiale tra due linee antagoniste. Da una parte la sinistra sosteneva la prosecuzione della lotta contro l’imperialismo sui tre fronti (paesi socialisti, paesi imperialisti, colonie e semicolonie). La destra cercava di attenuare gli antagonismi di classe: nei paesi socialisti sosteneva che non esistevano più né divisione in classi né lotta tra le classi perché oramai la vittoria del socialismo era completa e definitiva; nei paesi imperialisti proponeva la via parlamentare e riformista al socialismo attraverso riforme di struttura e ampliamento delle conquiste in campo economico, politico e culturale che avrebbero gradualmente trasformato la società capitalista in società socialista.

In questo contesto la mancanza di una linea chiara rese debole la sinistra all’interno dei partiti comunisti dei paesi socialisti e dei paesi imperialisti. Per questo il successo dei revisionisti moderni era favorito dalla fine, con la Seconda Guerra Mondiale, della prima crisi generale del capitalismo senza che il movimento comunista fosse riuscito a prevalere in nessun paese imperialista e dalla debolezza della sinistra del movimento comunista nel comprendere la novità dei compiti che la nuova fase poneva ai comunisti.

Ad esempio, in URSS, a partire dalla morte di Stalin (1953), i revisionisti moderni che si annidavano nel Partito e nel Comitato Centrale dispiegarono la loro lotta per prendere in mano le redini del partito e dello Stato e nel 1956 (XX Congresso del PCUS) sancirono la loro direzione con Kruscev. Si affermò cioè la linea che:

  1. a) dava risposte derivanti dalla concezione borghese del mondo ai problemi del socialismo e percorreva sotto mentite spoglie la strada della restaurazione pacifica del capitalismo;
  2. b) frenava lo sviluppo dei “germi di comunismo”, ossia la partecipazione delle masse popolari alla direzione della società, e a poco a poco corruppe la dittatura del proletariato trasformandola in dittatura dei dirigenti delle istituzioni politiche, economiche e culturali sulla massa della popolazione;
  3. c) abbandonò la lotta per la soluzione delle sette grandi contraddizioni delle società socialiste: tra dirigenti e diretti, tra lavoro di organizzazione e direzione e lavoro esecutivo, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra città e campagna, tra paesi, zone e settori avanzati e paesi, zone e settori arretrati,
  4. d) impose la convivenza pacifica con la borghesia in ogni campo e a ogni condizione, nelle relazioni internazionali sostituì l’appoggio alla rivoluzione proletaria con la competizione economica e politica tra l’URSS e le potenze imperialiste.

Con i revisionisti moderni l’attività economica dei primi paesi socialisti incominciò a ristagnare e poi a decadere. Essi pretesero di guidare la transizione verso il comunismo adottando per il funzionamento della società socialista, e in particolare per la sua attività economica, soluzioni copiate dai paesi capitalisti, metodi di direzione e relazioni affini a quelli in vigore nei paesi capitalisti.

Il risultato di queste “riforme”, introdotte a partire dalla fine degli anni ‘50 furono disastrosi e peggiorarono man mano che le “riforme” aumentavano e dispiegavano in cascata i loro effettivi perversi, demoralizzando i comunisti e i lavoratori che non ne erano corrotti. Ma i revisionisti insistettero e tutta la società socialista, non solo l’attività economica, andò di male in peggio fino al crollo finale del 1990 in Unione Sovietica e in Europa Orientale e alla oramai precaria situazione attuale nella Repubblica Popolare Cinese.

Che cos’è il socialismo?

Il crollo dei primi paesi socialisti è la dimostrazione del fallimento della direzione dei revisionisti moderni, la dimostrazione che la restaurazione del capitalismo pacificamente è impossibile.

Il socialismo per cui noi comunisti lottiamo è semplicemente l’esito della trasformazione che la società attuale sta percorrendo, è il sistema di relazioni sociali di cui il capitalismo stesso ha creato i presupposti e che ne supera le contraddizioni. Come l’esperienza dei primi paesi socialisti ha confermato anche sperimentalmente, esso combina

  1. il potere in mano alle masse popolari organizzate e in primo luogo alla classe operaia organizzata attorno al suo partito comunista (dittatura del proletariato), che ha il compito principale di reprimere i tentativi di rivincita della borghesia imperialista e del clero e di promuovere l’universale partecipazione delle masse popolari alle attività da cui le classi dominanti le hanno sempre escluse,
  2. il passaggio (nelle forme e con i tempi adeguati alle condizioni concrete) dalla produzione fatta in aziende capitaliste e in piccole aziende individuali e familiari alla produzione fatta in agenzie pubbliche che lavorano secondo un piano pubblicamente deciso per produrre tutti e solo i beni e i servizi necessari alla vita dignitosa della popolazione (al livello di civiltà che l’umanità ha oggi raggiunto) e ai rapporti di solidarietà, di collaborazione e di scambio con gli altri paesi,
  3. la partecipazione crescente di tutta la popolazione alla gestione, alla direzione e alla progettazione della vita sociale, al patrimonio culturale e al resto delle attività propriamente umane.

Costruzione del socialismo o restaurazione del capitalismo sono, quindi, due cose diverse, due vie antagoniste, una la negazione dell’altra. Fin quando la direzione fu nelle mani dei comunisti i primi paesi socialisti progredirono, si svilupparono, svolsero un’azione potente di spinta su tutto il movimento comunista e internazionalista del mondo. Quando invece la direzione venne presa in mano dai revisionisti moderni che iniziarono a perseguire la strada della restaurazione pacifica del capitalismo, i primi paesi socialisti entrarono in una situazione di crisi fino a collassare.

La società attuale è l’anticamera del socialismo. La rivoluzione socialista è l’uno che si divide in due: da una parte il vecchio mondo che va a morire e dall’altra il nuovo mondo che si rende autonomo, si stabilisce e consolida sulle proprie gambe fino a dare origine alla nuova società comunista. La rivoluzione socialista è l’azione pratica che noi comunisti svolgiamo per organizzare e mobilitare le masse popolare, a partire dagli operai, a rimuovere gli ostacoli all’affermarsi del nuovo mondo.

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