Gli insegnamenti che traiamo dall’arresto di Gramsci del novembre 1926.

 

Novembre è il mese in cui Gramsci fu arrestato e quindi parliamo della causa per cui questo avvenne. È ovvio che avvenne perché il fascismo intendeva eliminarlo, cosa che fece tramite una “condanna a morte lenta”, e cioè restringendo poco a poco ciò che gli serviva per vivere. Il progressivo deterioramento della salute nelle condizioni carcerarie è testimoniato nelle sue Lettere dal carcere, molte delle quali rivolte alla cognata Tatiana Schucht che nei dieci anni dal suo arresto alla sua morte si dedicò integralmente a lui, finanziata e diretta dalle autorità preposte al caso su mandato dei vertici politici dell’Unione Sovietica.[1] Della condanna a morte lenta (un “modo di assassinare lento e oscuro”) Gramsci parla nei Quaderni del carcere, citando un libro che gli arriva in carcere nel 1930.[2] La causa principale per cui Gramsci fu preso dal nemico però non è principalmente la volontà del nemico di eliminarlo e nemmeno la sua intelligenza nel farlo. E’ legge della guerra che ogni nemico elimini l’altro, e viceversa. La causa principale è nel fatto che né Gramsci né il suo partito, e in generale i partiti comunisti dei paesi imperialisti aderenti alla prima Internazionale Comunista, compresero che tra classe operaia e borghesia imperialista il rapporto è di guerra, e che in guerra lo Stato Maggiore della classe operaia, e cioè il suo partito comunista e deve assolutamente celarsi al nemico di classe: il partito comunista deve essere clandestino. Questa è legge scoperta dalla carovana del (nuovo)Partito comunista italiano ((n)Pci), di cui il Partito dei Carc è componente, e in base a questa legge il (n)Pci è stato costituito e si rafforza.

Le ragioni per cui il partito comunista deve essere clandestino sono spiegate in dettaglio nella letteratura della carovana del (n)Pci da più di vent’anni a questa parte e meritano di essere studiate. Le ritroviamo esposte in alcuni comunicati di Comitati del (n)Pci pervenutici ultimamente, in particolare riguardo a questioni sorte all’interno della fabbrica Hitachi di Pistoia. Qui gli operai sono sottoposti a condizioni di sfruttamento sulle quali la direzione e la proprietà dell’azienda hanno cura che nulla si sappia, puniscono chi parla e premiano chi tace. Parliamo di incidenti sul lavoro e dei morti per l’amianto, di cui abbiamo notizia per la lettura di comunicati dell’Ugl Metalmeccanici dell’azienda, cosa su cui invece gli altri sindacati, tacciono Fiom inclusa.[3] Sono sindacati asserviti ai padroni, “burocrazia sindacale”, “funzionari parassiti” come li chiamavaGramsci nello scritto che questa Commissione Gramsci ha citato lo scorso mese e che ha inoltrato a un foglio online di Pistoia?[4]

Il giudizio su questi sindacati sapranno darlo gli operai stessi e troveranno al loro fianco il movimento comunista che rinasce, di cui il Partito dei Carc e il (n)Pci sono avanguardia organizzata. Qui riferiamo per averlo appreso dalla pagina Facebook dell’Ugl Metalmeccanici di Pistoia di un operaio Hitachi che è agli ultimi giorni della sua vita per l’amianto che ha respirato in fabbrica. La figlia dell’operaio scrive su Facebook un documento che merita di essere riportato per intero come esempio di profondità e di nobiltà di pensiero.

Volevo scrivere due parole. Uno sfogo, credo umano. Da figlia. Fra breve mio padre ci lascerà dopo quasi due anni di lotta dignitosa. A portarselo via è l’amianto con il quale ha convissuto per anni sul posto di lavoro. Per lui non ci saranno funerali di stato, ministri incravattati, medaglie e fanfare. Non indossava una divisa. Non era carabiniere, poliziotto o pompiere. Indossava una tuta. La tuta blu da operaio metalmeccanico. Operaio metalmeccanico alla ex Breda di Pistoia. Eppure anche il suo era un lavoro. Anche lui se ne andrà a causa del lavoro, come i lavoratori che muoiono nei cantieri o nei campi. I suoi affetti, noi famigliari, siamo effetti collaterali, il nostro dolore forse è minore e diverso da quello di altre categorie di lavoratori. Mia madre sarà un po’ meno vedova e noi figlie, un po’ meno figlie, non verranno a darci una pacca sulla spalla o una patacca alla memoria. Mio padre è uno dei tanti che lo hanno preceduto e altri ne seguiranno. Quella fabbrica, fra le altre cose, questo ha prodotto. Queste parole non serviranno a salvare altri operai, l’amianto con cui hanno lavorato lo portano dentro, incorporato nelle loro cellule, è solo un lamento il mio, che mi concedo dopo tanti mesi, inutile lo so. Ma mio padre è stato una brava persona. Un uomo buono e voglio che si sappia che per essere uomini di valore e eroi, non c’è bisogno di divise. E lui e noi familiari abbiamo dignità anche senza riconoscimenti di stato. Alla memoria

Ricorderemo. Ritorniamo ora a quel novembre del 1926 e all’arresto di Gramsci, che si mantenne ben visibile e a disposizione del nemico di classe fino al momento in cui fu preso. Un destino simile al suo fu quello di un’altra dirigente eroica del movimento comunista, Rosa Luxemburg, che volle anch’essa scendere in campo apertamente contro il nemico di classe e fu uccisa, nel 1919. Gramsci e Luxemburg sono due esempi di dirigenti comunisti di livello altissimo ma con una linea che porta alla sconfitta. Loro merito è di seguirla fino in fondo e di pagare con la vita, a differenza degli infami di vario grado che si dichiarano portavoce della classe operaia e magari comunisti e magari anche rivoluzionari e propagandano linee sbagliate che conducono la classe operaia alla sconfitta, cosa per cui la borghesia imperialista li premia, dando loro posti che garantiscono prestigio e denaro, nelle istituzioni economiche, politiche, sindacali e culturali. Noi rendiamo onore a chi paga con la vita la sua lotta per la causa, ma dalla sua caduta apprendiamo come preservare il partito della classe operaia e la classe operaia nel suo complesso, e avanzare con sicurezza per concludere il nostro lavoro che è quello di fare la rivoluzione socialista in Italia.

Quale fu l’errore di Gramsci e di Luxemburg? Non si organizzarono in modo clandestino, abbiamo detto. Lenin critica Rosa Luxemburg al riguardo nel suo scritto del 1916 A proposito dell’opuscolo di Junius.[5] [l’opuscolo fu scritto da Rosa Luxemburg, che si firmò con il nome di Junius, N. d. R.]. Lenin scrive quanto la mancata organizzazione nella clandestinità reca danno al partito e reca danno al membro del partito, anche al suo migliore dirigente.

. Il maggior difetto di tutto il marxismo rivoluzionario in Germania è la mancanza di una salda organizzazione clandestina che propugni la sua linea in modo sistematico ed educhi le masse in conformità dei nuovi compiti

(…)

Nell’opuscolo di Junius si sente l’isolato, che non ha compagni nell’organizzazione clandestina, abituata a elaborare fino in fondo le parole d’ordine rivoluzionarie e a educare sistematicamente le masse secondo il loro spirito.

Queste stesse parole valgono per l’esperienza di Gramsci, con poche varianti. L’errore di non organizzarsi nella clandestinità si accompagna a errore di concezione, cioè di pensiero. Gramsci e Luxemburg pensarono che il partito comunista nasce come risultato spontaneo della lotta della classe operaia e, coerentemente con questa idea, entro quella lotta operarono in modo aperto, esponendosi ai colpi del nemico. La concezione giusta era quella di Lenin, che Gramsci apprese con ritardo e che Luxemburg avversò: Lenin pensa e afferma che il partito si costruisce sulla base della elaborazione scientifica dell’esperienza della lotta di classe, cioè della teoria rivoluzionaria e la teoria rivoluzionaria si elabora nella clandestinità (“organizzazione clandestina, abituata a elaborare fino in fondo le parole d’ordine rivoluzionarie e a educare sistematicamente le masse secondo il loro spirito”). Quindi la clandestinità serve non solo per sfuggire ai colpi del nemico, ma soprattutto per imparare a pensare. I fascisti dichiararono apertamente che scopo della prigionia di Gramsci era “impedire di pensare a quel cervello per dieci anni”.
La costruzione del partito richiede studio e partecipazione alla lotta di classe come sperimentazione di ciò che scopriamo, delle leggi e dei metodi che garantiscono il successo dell’impresa.  Parecchi che si dicono comunisti sostengono l’idea che studiare l’esperienza della lotta di classe non serve e che la teoria che serve nasce spontanea dalla lotta di classe, ma non hanno alcun esempio di rivoluzione socialista vittoriosa che confermi ciò che pensano.
Gramsci, quindi, si rese conto con ritardo e mai compiutamente di come il partito si costruisce, nonostante molte sue profonde intuizioni e la comprensione che il partito opera come esercito e che la sua strategia è la guerra.[6]. Il (nuovo)PCI scrive

nonostante la spinta di Lenin e dell’Internazionale Comunista, Gramsci non si assunse fin da subito la responsabilità di dirigere il movimento comunista. Il freno principale era la sua errata concezione dei Consigli di Fabbrica. Egli considerava il movimento degli operai come pratica da cui veniva la scienza che avrebbe guidato il proletariato nella rivoluzione socialista e nel costruire il nuovo mondo. Ma in verità è il Partito comunista, di cui fanno parte anche gli operai comunisti, che aggrega attorno a sé gli operai avanzati. I CdF sono l’organismo degli operai avanzati: con i CdF questi aggregano attorno a sé la massa degli operai. I CdF sono gli organismi del loro potere, gli organi del nuovo Stato (la dittatura del proletariato).[7]

L’unità degli operai è nel loro partito comunista. Senza partito comunista gli operai non riescono a coordinarsi nemmeno sul piano delle lotte sindacali, la loro azione a volte non riesce nemmeno a unirsi con quella degli operai di altre fabbriche della stessa azienda sullo stesso territorio nazionale e anche quelli con le migliori intenzioni per unirsi devono fare affidamento a strutture sindacali che operano sul territorio nazionale e delle quali non condividono (giustamente) la linea. Costituiscono isole di resistenza, capaci anche di collegarsi alle lotte di resistenza delle masse popolari dei dintorni come fa, ad esempio, il nucleo di operai Fiom della GKN di Firenze, che hanno preso parte negli anni alle lotte studentesche, alla lotta per la difesa dell’ambiente, alla lotta antifascista.[8] Non sono però stati in grado nel corso dell’ultimo decennio di costruire coordinamento tra operai a livello cittadino (e quindi tantomeno a livello regionale e nazionale) né di imporsi come forza dirigente entro la Fiom a partire dal livello provinciale. Si tratta, in questo caso, di un nucleo che alla GKN ha ottenuto vittorie meritevoli di essere portate ad esempio a tutti, cosa che il Partito dei Carc ha fatto nel corso del decennio, un nucleo che in occasione di uno dei tentativi di coordinamento più avanzati[9] ha esposto chiaramente la consapevolezza che “non ci si può salvare da soli”.[10] Agli operai però non bisogna dire solo quello che non si può fare ma anche e prima di tutto quello che si può fare. E’ cosi difficile o magari impossibile coordinarsi a livello cittadino, regionale, nazionale? Mao Tse tung dice che una scintilla può dare fuoco alla prateria, cosa che questo vale per gli operai di GKN, di Hitachi, dell’ex Ilva di Taranto, dell’ex Lucchini di Piombino, della Whirlpool, della Bekaert, dell’ ex Nuovo Pignone, di FCA, di Piaggio e del resto del mondo.
È  giusto avere fiducia. È giusto confidare nella scienza che il movimento comunista ha elaborato nel corso dei suoi 160 anni, e prendere lezioni da chi ha vinto e anche da chi ha perso. È dovere e volontà del partito comunista e della classe operaia di costruire la società socialista e così portare a compimento l’opera iniziata da chi ci ha preceduto. Queste è quanto affermiamo. Discuterne è salutare e prendere posizione è decisivo.
Commissione Gramsci del Partito dei Carc, 30 novembre 2019

NOTE

[1] Giorgio Fabre sul Manifesto del 18 giugno 2017 cita “il fondamentale saggio di Silvio Pons su Studi Storici del 2004, da cui sono emersi documenti centrale sul rapporto di Gramsci con l’Urss, un paese (il paese di Stalin) su cui si appoggiò seriamente durante la prigionia, ma anche prima, con buona pace della vulgata antisovietica che si è voluto imporre nel dopo guerra.” Gli organi di riferimento diretti di Tatiana Schucht furono l’ambasciata dell’Urss a Roma e i servizi segreti sovietici.

[2] Eugène D’Ors, La vie de Goya, Gallimard, Parigi, 1928. Gramsci ne parla nel Quaderno 3, Nota 32. Vedi in Quaderni del carcere a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, 2001 (prima ed. 1975), Torino, p. 310.

[3] Informazioni al riguardo in https://www.carc.it/2019/11/22/pistoia-solidarieta-al-sindacalista-di-ugl-antonio-vittoria-colpito-dalla-repressione-aziendale-di-hitachi-rail/ e in https://www.carc.it/2019/11/22/pistoia-i-motivi-della-solidarieta-del-partito-dei-carc-al-sindacalista-ugl-antonio-vittoria/ e in https://www.facebook.com/partitodeicarc.pistoiaprato/posts/2440767566146399:0?__tn__=K-R.

[4]https://www.linealibera.info/hitachi-sindacati-il-partito-dei-carc-interviene-con-un-suo-contributo/.

[5] In http://www.nuovopci.it/classic/lenin/junius.htm

[6] “La rivoluzione è come la guerra; deve essere minuziosamente preparata da uno stato maggiore operaio, così come una guerra viene preparata da uno stato maggiore dell’esercito.” in L’Ordine nuovo, 1921 – 1922, Torino, 1954, pag. 171. Gramsci manterrà questa concezione e la svilupperà definendo la costruzione della rivoluzione come “guerra di posizione”, strategia che coincide con la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata condotta in Cina dal Partito comunista cinese diretto da Mao tse tung negli anni in cui Gramsci era in carcere e rifletteva sulla materia.

[7] Il Biennio Rosso in Italia e la forma della rivoluzione socialista oggi, in La Voce del (n)Pci, n. 63, anno XXII, novembre 2019, pag. 53, in http://www.nuovopci.it/voce/voce63/bienniorosso.html.

[8] Vedi Resistenza,11 – 12 2014, in https://www.carc.it/2014/10/27/dalla-gkn-di-firenze-non-e-il-momento-di-dividersi/

[9] Il coordinamento si chiamò Class Unions, ebbe inizio nel giugno 2015 (vedi in http://www.chicago86.org/dal-ventre-della-balena/812-class-unions-il-sindacato-ai-tempi-del-jobs-act.html) e sviluppo nei mesi successivi (vedi in https://www.carc.it/2015/11/01/class-unions-2-rompere-il-guscio-delle-lotte-rivendicative/)

[10] Il principio è esposto anche nell’intervista a un operaio del gruppo Iveco e CNHI di Brescia, a pag. 7 del numero 11 – 12 di Resistenza di dicembre 2019, in https://www.carc.it/2019/11/01/nessuno-si-salva-da-solo-corrispondenza-operaia-dalliveco-di-brescia/

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