Su tutti i giornali nazionali e internazionali si parla di quanto sta accadendo in Bolivia. La narrazione dei media di regime è sempre la solita: “un popolo che si ribella al suo dittatore di ispirazione socialista”. È una balla, la solita falsa narrazione con cui gli imperialisti cercano di coprire le nefandezze che compiono ai quattro lati del pianeta ogni giorno. In questo articolo intendiamo fare chiarezza e indicare una strada a tutti quelli che qui in Italia si chiedono come alimentare la solidarietà con la Bolivia e il suo legittimo presidente Evo Morales.
In Bolivia è in corso un golpe civico-militare contro il governo, legittimamente eletto nelle ultime elezioni presidenziali del 20 Ottobre, con alla testa il presidente Evo Morales, leader del MAS, il Movimento al Socialismo, uscito vincitore. Come al solito la falsa accusa è quella di brogli elettorali (mai provati) accompagnata da disordini e violenze (con il supporto attivo di settori dell’Esercito e delle Forze Armate) organizzati dalle opposizioni eversive di destra. Queste dimostranze degli schiavetti dell’imperialismo americano hanno di fatto imposto le dimissioni a Evo Morales.
Morales alle ultime elezioni ha ottenuto 2.9 milioni di voti, il suo principale oppositore, Carlos Mesa, 2.2 milioni di voti. In percentuale, il 47% contro il 36.5%, una vittoria schiacciante conseguita già al primo turno. Gli attacchi di questi giorni, come nel caso delle altre esperienze progressiste e popolari del sud America (in particolare il Venezuela prima di Chavez e poi di Maduro), sono rivolti soprattutto al grande radicamento popolare e consenso di esperienze come quella condotta da Evo Morales in Bolivia. Morales gode di tale consenso in virtù delle politiche sociali ed economiche portate avanti negli ultimi anni, politiche fondate dell’inclusione di vasti settori popolari e del soddisfacimento dei bisogni degli strati più poveri, storicamente ai margini, della popolazione boliviana, contro gli interessi di potere e di affari degli Stati Uniti e dei loro alleati nella regione.
Per timore di affrontare una guerra civile, per la quale evidentemente non era pronto, Morales ha deciso di dimettersi nel tentativo di argine l’offensiva squadristica promossa dall’oppositore Carlos Mesa. Morales ha quindi chiamato nuove elezioni. Non saranno certo le nuove elezioni a risolvere alcunché, la Bolivia è un paese in cui giacciono materie prime e giacimenti per miliardi di dollari che rappresentano il vero obiettivo dei gruppi imperialisti statunitensi, disponibili a passare anche sui cadaveri dei campesinos boliviani se necessario.
Col Venezuela Bolivariano di Hugo Chavez, prima, e di Nicolas Maduro, oggi, con le passate esperienze di Rafael Correa in Ecuador, di Pepe Mujica in Uruguay, e, in Brasile, di Lula, la Bolivia di Evo Morales è una delle protagoniste della riscossa dell’America Latina: ha debellato l’analfabetismo, ha nazionalizzato le risorse minerarie, ha tutelato i popoli indigeni, ha drasticamente ridotto la povertà e ha raggiunto la stabilità economica, con una stima di crescita, secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), nel 2019, pari al 4%.
Si tratta di un processo che non può lasciarsi intimidire dalle scorribande imperialiste e che deve prendere esempio da esperienze che da anni fronteggiano l’aggressione e la minaccia dei gruppi statunitensi, in particolare Cuba e Venezuela.
Tutto il continente sudamericano è in subbuglio e la riscossa deve diffondersi ovunque: basta guardare il grande movimento popolare che, in Cile, lotta contro l’autoritarismo di Piñera, le enormi mobilitazioni ecuadoriane contro le misure imposte dal FMI, alle rivolte ad Haiti e a Panama, le esperienze progressiste che si fanno strada in Argentina e Uruguay.
Tutti questi sommovimenti si inseriscono in un quadro internazionale di enorme fermento anche all’interno di paesi imperialisti come Spagna, Gran Bretagna, Italia, Francia o Stati Uniti. Questi sommovimenti sono parte di una svolta politica in corso in tutti i paesi frutto della resistenza spontanea delle masse popolari al procedere della crisi generale del sistema capitalista.
Per i comunisti e tutti quelli che si mobilitano nel nostro paese essere internazionalisti significa alimentare, elevare e sostenere questa resistenza spontanea, farle fare un salto di qualità, trasformarla in nuovo potere. Rilanciamo, in questo senso, quanto ha affermato il ministro degli esteri venezuelano Jorge Arreaza: “mobilitarsi per evitare la guerra imperialista, denunciando fermamente i suoi meccanismi, ma soprattutto è importante che le persone si organizzino per cambiare le cose nei loro paesi, perché solo con il potere popolare è possibile prevenire la guerra e il dominio”.
Che la solidarietà con la Bolivia diventi picchetti, cortei, assemblee e presidi, alimenti la lotta di classe in corso nel nostro paese, sia strumento per rompere la catena imperialista a partire da casa nostra. Non è tempo di restare a guardare, sperare e nel migliore dei casi esprimere solidarietà. È tempo di fare dell’Italia un nuovo paese socialista!