Cari compagni della redazione di Resistenza,
ho deciso di scrivervi per illustrare quello che sta succedendo da noi all’Iveco di Brescia, soprattutto su alcuni aspetti che mi sembra vengano sottovalutati da parte delle sigle sindacali presenti in azienda.
Iveco fa parte di CNHi, una società controllata da Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli-Elkann. Il 3 settembre CNHi ha annunciato il cosiddetto spin-off, che dovrebbe portare nel 2021 alla divisione della produzione in due tronconi: mezzi agricoli e per la difesa militare da una parte e automezzi commerciali dall’altra.
Questa operazione a Brescia ci preoccupa particolarmente perché da anni siamo spesso in cassa integrazione o in contratto di solidarietà. Solo venticinque anni fa eravamo circa 6000 lavoratori e oggi, fra esternalizzazioni, pensionamenti non rimpiazzati, ecc., siamo arrivati ad essere 1700!
Al recente incontro nazionale con i sindacati la direzione del gruppo non ha saputo dire parole chiare sul futuro della fabbrica, dicendo che la risposta la avremo fra nove mesi! Parlano di investimenti, di riconversione verso camion elettrici e a idrogeno, del fatto che Iveco è nata a Brescia e che quindi da qui non se ne andranno di sicuro, ma di concreto non vediamo niente.
Voglio sottolineare una cosa di cui si parla poco, ma che è importante. Recentemente nella proprietà di CNHi è entrato il Fondo Elliott con una quota del 3%, che è la cosa più pericolosa che ci può essere in una fabbrica, perché il loro obiettivo è esclusivamente il profitto di borsa. Infatti, leggo dai giornali che questo fondo si aspetta che con lo spin-off le azioni salgano anche del 30% e che questo è il loro obiettivo concreto, altro che investire per la riconversione! Exor e la famiglia Agnelli-Elkann sicuramente sanno benissimo chi sono questi del fondo Elliott. Mi chiedo se davvero c’è la volontà di fare investimenti produttivi: qui produciamo un tipo di camion di medie dimensioni che ha poco mercato, che è troppo grande per un artigiano e troppo piccolo per la grande industria. Insomma lo puoi fare anche elettrico, ma se il mercato è saturo non lo vendi. Hanno interesse allora Exor ed Elliott a investire? Potrebbe essere che decidono di vendere a qualche concorrente? La Mercedes o la Man magari sono interessate ad acquisire il mercato del camion medio, ma quando è così solitamente interessa il progetto e il prodotto, ma non le fabbriche e gli operai. È successo con l’Industria Italiana Autobus: a fine 2018 una quota è stata acquisita dalla ditta turca Karsan: Di Maio ha rassicurato tutti e invece questi hanno preso il progetto, se lo sono portati in Turchia e gli operai sono rimasti senza lavoro.
La questione è una: c’è o non c’è un futuro per l’Iveco di Brescia? Questo spin-off porterà a chiudere una fabbrica come l’FPT (sempre del gruppo CNHi) di Pregnana Milanese nel giro di un anno e mezzo, a Foggia ci sono esuberi così come a San Mauro Torinese.
Qui a Brescia i lavoratori più attenti si stanno principalmente appoggiando ai vari sindacati, in particolare alla FIOM. Dentro e fuori dalla fabbrica si sta organizzando il Comitato Futuro Iveco, che vuole porre la questione all’attenzione della politica e della città, perché se chiude questa fabbrica è un danno per tutti. Questa è una buona cosa, ma non penso che tutti riescano a capire l’importanza di unirsi e cercare appoggio nella città, nella cittadinanza come nelle istituzioni, o di cercare una sponda nei lavoratori di altri stabilimenti. Resto con i piedi per terra e non credo che la maggior parte dei lavoratori siano ancora in grado di capire queste cose.
Chiudo con un messaggio di solidarietà verso i lavoratori di Pregnana, San Mauro e Foggia, anche se penso che la solidarietà migliore sarebbe la mobilitazione a livello di tutto il gruppo CNHi. Si dovrebbe scioperare, non dico a oltranza, ma con scioperi che facciano capire alla società che i lavoratori non ci stanno ad essere considerati usa e getta.
C., un operaio dell’Iveco di Brescia