Editoriale
A metà ottobre le immagini delle manifestazioni in Ecuador contro gli aumenti del carburante imposte dal Fondo Monetario Internazionale (vedi articolo a pag. 3) hanno fatto il giro del mondo: scioperi, barricate, incendi e scontri con l’esercito hanno costretto il governo a fare un passo indietro. Dall’Ecuador, per motivi del tutto simili, le mobilitazioni e le proteste hanno contagiato il Cile, si sono legate a quelle già in corso ad Haiti, hanno innescato quelle in Honduras, alimentano quelle in Argentina e in Brasile. Una vasta ondata di ribellione generale sta investendo il continente latinoamericano.
Ribellioni diffuse sono in corso anche in Europa. Il movimento dei Gilet Gialli in Francia ha compiuto un anno: un anno di rivolte, barricate, blocchi, cortei, feriti, arresti, ma anche una miriade di assemblee territoriali, di piattaforme, di coordinamenti. In Spagna, è riesplosa la “questione catalana”: a fronte della condanna per “sedizione” di 12 politici indipendentisti, nelle strade si sono riversate centinaia di migliaia di persone che per giorni interi hanno resistito e risposto alle violenze della Polizia e dei gruppi fascisti (vedi articolo a pag. 3). L’Inghilterra è scossa da mobilitazioni contrapposte sulla Brexit, dalle manifestazioni e dalle proteste di “Extinction Rebellion”, il movimento ambientalista che da mesi ha fatto della questione ambientale un problema di ordine pubblico, un problema politico.
La guerra contro la Siria e contro il popolo curdo che mobilita organismi popolari in ogni parte del mondo. Le ribellioni popolari in Iraq contro il governo fantoccio degli USA, la corruzione e la miseria diffuse nel paese. Sono in corso le manovre della Comunità Internazionale per destabilizzare la Cina (le “rivolte di Hong Kong”).
Il tratto che accomuna ognuna di queste situazioni è la ribellione al sistema capitalista e al suo “ordine mondiale”: qualunque sia la forma che assume, anche quando un gruppo o l’altro della classe dominante cerca di imbrigliarla, pilotarla e usarla ai propri scopi, essa è manifestazione delle aspirazioni delle masse popolari a farla finita con il sistema di sfruttamento, miseria e morte del capitalismo.
La società borghese si sta sgretolando
Abbiamo trattato su Resistenza n. 10/2019 (“La democrazia borghese è in frantumi”) delle manifestazioni in corso in ogni paese imperialista della crisi del sistema politico della classe dominante. La borghesia imperialista e il suo clero non hanno una soluzione positiva per far fronte agli effetti della crisi generale del capitalismo, non riescono più a governare la società e i singoli paesi con gli strumenti e nelle forme con cui avevano governato fino a qualche anno fa. La democrazia parlamentare è diventata uno strumento di ulteriore ingovernabilità, poiché le ampie masse votano sempre di più per partiti “antisistema” che danno voce al malcontento e alla ribellione (seppur in modo contraddittorio e velleitario e, stante la debolezza del movimento comunista, con tendenze di destra più o meno estreme) o si astengono. Le leggi elettorali sempre più restrittive impongono soglie di sbarramento che limitano la rappresentanza degli eletti di partiti espressione delle masse popolari, sempre più spesso i governi vengono formati da coalizioni fra partiti delle Larghe Intese che nei decenni scorsi erano uno all’opposizione dell’altro pur attuando lo stesso programma comune.
Le istituzioni internazionali sono del tutto inefficaci nel fare fronte alla crisi. Anzi, la crisi fa scoppiare guerre commerciali, guerre per la spartizione dei paesi oppressi (concorrenza USA e UE, USA e UE in lotta contro Russia e Cina, ecc.) e mette sempre più in evidenza il ruolo distruttivo del sistema imperialista mondiale (NATO. FMI, Commissione Europea, BCE, Euro, ecc.).
Inoltre, in tutti i paesi imperialisti la classe dominante sta progressivamente eliminando le conquiste di civiltà e benessere che le masse popolari avevano ottenuto con dure lotte quando il movimento comunista era forte a livello internazionale – il periodo del capitalismo dal volto umano (1945 – 1975) – e ciò mina irrimediabilmente la coesione sociale di ogni paese, alimentando la differenza fra poveri (sempre di più e sempre più poveri) e ricchi (sempre di meno e sempre più ricchi) e le mille forme dell’oppressione di classe dei ricchi sui poveri.
La classe dominante spinge il mondo verso la guerra
La guerra imperialista è l’inevitabile sbocco a cui la classe dominante porta la società: un’altra “grande guerra mondiale” per distruggere il capitale finanziario e le forze produttive in eccesso (uomini, materie prime, fabbriche, città, strade, porti, ecc. ecc. – la sovrapproduzione di capitale è la causa della crisi generale in corso), per ristabilire un ordine gerarchico fra i gruppi imperialisti fra chi vince e chi perde. La guerra mondiale non scoppia e il corso delle cose imposto dalla borghesia la prepara: le centinaia di conflitti piccoli e grandi sparsi per il mondo condotti dai gruppi imperialisti direttamente o “per interposta persona” (governi fantoccio, signori della guerra, eserciti ribelli, ecc.) vanno in quella direzione. Come un secolo fa “o la rivoluzione socialista impedisce la guerra o la guerra genera la rivoluzione socialista”.
Viviamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo. la storia ha bisogno di una spinta
Tutto il mondo è nel pieno di una situazione rivoluzionaria del tutto simile a quella che ha caratterizzato la prima metà del 1900. Il mondo era allora sconvolto dalla prima crisi generale del capitalismo, temporaneamente risolta con le immani distruzioni delle due guerre mondiali e il conseguente inizio di un nuovo periodo di ripresa del capitalismo, da una parte, e con la Rivoluzione d’Ottobre, la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e la costituzione del campo socialista dall’altra.
La storia non si ripete mai uguale a sé stessa ma, nonostante le mille differenze fra quella situazione e quella odierna, l’aspetto decisivo è che il mondo gira oggi, come girava all’epoca, sulla base del modo di produzione capitalista e sotto la cappa delle leggi oggettive (la legge del profitto a ogni costo) che esso impone alla società intera.
Anche oggi come allora, il marasma deriva dalla crisi del modo di produzione capitalista e allo stesso modo l’unica soluzione complessiva e positiva per i proletari è l’instaurazione del socialismo.
Dalla citazione di un testo di Lenin scritto più di 100 anni fa (“Il fallimento della Seconda Internazionale” – giugno 1915) è possibile ricavare una descrizione precisa della situazione rivoluzionaria attuale: “Quali sono, in generale, i segni di una situazione rivoluzionaria? Siamo sicuri di non sbagliare a indicare questi tre segni come i segni principali: 1. le classi dominanti non riescono più a conservare il loro potere senza modificarne la forma; una crisi negli ‘strati superiori’, una crisi nel sistema politico della classe dominante, che apre una fessura nella quale si incuneano il malcontento e l’indignazione delle classi oppresse. Per lo scoppio della rivoluzione non basta ordinariamente che ‘gli strati inferiori non vogliano più’ continuare a vivere come prima, ma occorre anche che ‘gli strati superiori non possano più’ vivere come per il passato; 2. un aggravamento, maggiore del solito, dell’oppressione e della miseria delle classi oppresse; 3. in forza delle cause suddette, un rilevante aumento dell’attività delle masse, le quali in un periodo ‘pacifico’ si lasciano depredare tranquillamente, ma in periodi burrascosi sono spinte, sia da tutto l’insieme della crisi, che dagli stessi ‘strati superiori’, ad un’azione storica indipendente.
Senza questi cambiamenti oggettivi, indipendenti dalla volontà non soltanto di singoli gruppi e partiti, ma anche di singole classi, la rivoluzione di regola è impossibile. L’insieme di tutti questi cambiamenti oggettivi si chiama situazione rivoluzionaria. (…) La rivoluzione non nasce da ogni situazione rivoluzionaria, ma solo nei casi in cui alle trasformazioni oggettive sopra indicate si aggiunge una trasformazione soggettiva, cioè la capacità della classe rivoluzionaria di compiere azioni rivoluzionarie di massa sufficientemente forti da spezzare (o almeno incrinare) il vecchio governo il quale, anche in un periodo di crisi, non cadrà mai se non lo si fa cadere”.
Trasformare la situazione rivoluzionaria in rivoluzione socialista dipende dai comunisti
Il vecchio potere non cadrà se non lo si fa cadere. Per farlo cadere è necessario che i comunisti, tanti o pochi che siano, facciano precisamente alcune cose per sostituire il vecchio potere della borghesia e del suo clero con il nuovo potere, quello della classe operaia e delle masse popolari organizzate. Come la guerra imperialista non scoppia, ma avanza sospinta dal corso oggettivo delle cose, anche la rivoluzione socialista non scoppia: essa deve essere costruita e alimentata.
In questo contesto, la strada che il P.CARC persegue per avanzare nella Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata diretta dal (nuovo)PCI e indica a tutti coloro che si definiscono comunisti è la seguente:
- sostenere in ogni azienda gli operai avanzati e in ogni zona e contesto gli esponenti avanzati delle masse popolari che in qualche modo, in un campo o nell’altro, resistono all’uno o all’altro aspetto del catastrofico corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista;
- aiutare ogni gruppo di lavoratori, di giovani e di elementi delle masse popolari a occuparsi con più forza ed efficacia della sua lotta particolare;
- spingere ogni gruppo e ogni organismo ad andare oltre il suo caso particolare e legarsi agli altri gruppi che anch’essi nel loro particolare resistono e, assieme, creare la spinta dal basso necessaria a costituire un proprio governo d’emergenza.
Questa è la strada che ci farà avanzare nell’instaurazione del socialismo.