Catalogna: è una questione di classe, non di nazionalità!

Da settimane la Spagna intera è in subbuglio per le imponenti manifestazioni popolari, pesantemente aggredite da polizia e gruppi fascisti, organizzate a seguito della condanna per “sedizione” di 12 esponenti politici indipendentisti colpiti per aver partecipato attivamente al processo di proclamazione di indipendenza della Catalogna a seguito del referendum autonomista del 2017, mai riconosciuto dallo Stato spagnolo.

Dal 14 ottobre le manifestazioni a Barcellona e in tutti i centri della Catalogna non si sono mai fermate e, anzi, hanno contagiato altre zone – come i Paesi Baschi – arrivando fino a Madrid.

Migliaia di manifestanti hanno bloccato l’aeroporto di Barcellona e numerose strade (oltre 100 voli cancellati e blocco delle vie d’accesso allo scalo), resistendo alle violente cariche della polizia.

Il 15 ottobre i manifestanti non si sono fatti intimidire né legare le mani dalla repressione, hanno anzi rilanciato e risposto colpo su colpo con scontri e barricate a Barcellona, Tarragona, Girona, Sabadell e Lleida in cui è stato anche dato alle fiamme un negozio della multinazionale Zara.

Il 16 ottobre il livello dello scontro è aumentato ulteriormente e le mobilitazioni hanno fatto emergere nelle strade una grande contraddizione: la gestione dell’ordine pubblico è affidata ai Mossos D’Esquadra (che affiancano la Policia nacional di Madrid), comandata direttamente dalla Comunità autonoma della Catalogna! Le violenze poliziesche e la documentata connivenza fra Mossos d’Esquadra, gruppi fascisti e nazionalisti spagnoli hanno dimostrato che un conto sono i proclami di indipendenza e libertà fatti dai politicanti borghesi (che da tali si comportano contro le masse popolari) e un altro conto sono le aspirazioni, gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari. Per questo, la rabbia nelle strade ha preso di mira non solo la polizia, ma direttamente anche le istituzioni autonome catalane: a Barcellona la sede della Comunità Autonoma è stata attaccata e a Lleida è stata incendiata la Prefettura. Gli studenti medi e universitari, intanto, sono passati dalla partecipazione ai cortei e ai blocchi all’indizione dello sciopero studentesco a tempo indeterminato.

Il 18 ottobre si è registrato il momento culminante della mobilitazione: in tutta la Catalogna è stato proclamato lo sciopero generale e ciò ha permesso che la classe operaia scendesse nelle strade in massa, arricchendo il contenuto della protesta e, soprattutto, dandole più chiaramente una connotazione di classe. Cinque cortei partiti da varie parti della regione sono confluiti a Barcellona e hanno dato vita a una imponente manifestazione, attaccata duramente dalla polizia e aggredita in modo premeditato e organizzato da gruppi fascisti, a testimonianza del legame ancora vivo fra le mobilitazioni di questi mesi e il ruolo che gli operai e la classe operaia di Barcellona ebbero nella lotta al fascismo e nella Guerra di Spagna. Nel frattempo, i Comitati di Difesa della Repubblica hanno bloccato la frontiera con la Francia.

Il 19 ottobre, anche a fronte della necessaria risposta alla repressione e alle violenze poliziesche e fasciste, si sono svolte a Bilbao, Madrid e in molti centri minori, oltre che a Barcellona ingenti manifestazioni in solidarietà con il popolo catalano, contro la repressione, in solidarietà con i rivoluzionari prigionieri ancora detenuti nelle carceri spagnole.

Tuttora, a fine ottobre, si svolgono manifestazioni, blocchi e scontri. È possibile che questa “nuova fiammata” si esaurisca e torni sotto traccia per alcune settimane, per alcuni mesi e forse anche per alcuni anni. È certo che la borghesia imperialista non può risolvere la questione dell’autodeterminazione del popolo catalano e che non esistono “accordi possibili” fra borghesia catalana e gruppi imperialisti internazionali: le violenze contro le masse popolari, tanto dei Mossos d’Esquadra quanto della Policia nacional, indicano chiaramente che la contraddizione non è di “nazionalità”, ma di classe.

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