Dal 2016 è in atto in tutti i paesi imperialisti una svolta politica causata dal malcontento, dalla sfiducia e dalla ribellione delle masse popolari verso la classe dominante: i partiti e gli esponenti del sistema delle Larghe Intese che negli ultimi quarant’anni (1976-2016) hanno promosso e gestito l’attuazione del “programma comune” della borghesia imperialista sono scomparsi o sono stati messi in grosse difficoltà o addirittura sono stati scalzati dal governo da avventurieri alla Trump e alla Macron o da persone di buoni propositi alla Di Maio e alla Tsipras. Il fenomeno si innesta in una situazione di crescente ingovernabilità dovuta alle contraddizioni fra gruppi di potere e comitati di affari, una situazione per cui la crisi del sistema politico, che si manifesta in forme diverse in ogni paese, non può essere risolta attraverso le “normali procedure” della lotta politica borghese. Anzi le normali procedure (come lo svolgimento delle elezioni) producono effetti anche peggiori.
Negli USA l’elezione di Trump e l’opera della sua Amministrazione hanno acuito sia le contraddizioni a livello internazionale (fra USA e UE, fra la Comunità Internazionale di cui gli imperialisti USA sono alla testa e Russia e Cina) che quelle interne (le mobilitazioni contro il razzismo di stato, contro i gruppi reazionari e neofascisti che con Trump hanno trovato spazio per proliferare e la persecuzione delle minoranze – afroamericani, nativi, immigrati dal sud del continente – e quelle della classe operaia – ha fatto recentemente notizia lo sciopero a oltranza di 49 mila operai della General Motors per il salario e la sicurezza, il primo in 12 anni). Gli USA, inoltre, stanno proseguendo nell’opera di destabilizzazione politica e militare ai quattro angoli del mondo (dal Venezuela allo Yemen, dalla Siria all’Iran, passando per la Corea del Nord e Hong Kong), ma sono alle prese con i problemi della crisi economica globale: per fare fronte alla crisi di liquidità delle banche, la FED (la banca centrale USA) ha cominciato a inondare il mercato bancario di miliardi di dollari (75 al giorno fino al 10 ottobre): un simile intervento non accadeva dall’epoca dello “scoppio” della crisi finanziaria nel 2008.
In Germania prosegue il declino della Grande Coalizione con il crollo nelle elezioni regionali in Sassonia e Brandeburgo di CDU e SPD. Esso è manifestazione dello sgretolamento del sistema politico su cui hanno poggiato tre dei quattro governi di Angela Merkel (a capo del governo dal 2005 a oggi) e soprattutto è il contesto politicamente instabile in cui si innesta la crisi industriale di quella che per anni è stata presentata come “la locomotiva della UE”.
In Francia la presidenza di Macron (che In Francia la presidenza di Macron (anch’egli il frutto della crisi politica) è rimasta in piedi, ma è pesantemente indebolita da scandali e colpi di mano (vedi il caso Benalla, ex “collaboratore” di Macron, oggi in carcere), ma soprattutto dalle intense, vaste e radicali mobilitazioni popolari. Da 10 mesi scendono in piazza i Gilet Gialli, una mobilitazione che si è via via intrecciata alle lotte operaie, alle lotte per la difesa delle pensioni, alle manifestazioni contro la violenza poliziesca e la repressione, alle lotte ambientaliste.
La Gran Bretagna è alle prese con una crisi sulla gestione della Brexit che non ha precedenti nella storia moderna: il Primo Ministro Johnson, subentrato alla dimissionaria May e campione dell’uscita “senza condizioni” dall’UE, ha persino chiuso il Parlamento per un mese e minaccia elezioni anticipate. In realtà, le trattative per la Brexit sono in corso e non sarà facile neppure per Johnson portare avanti l’uscita senza accordo che agita le stesse istituzioni finanziarie del suo paese e alimenta le contraddizioni in Irlanda, soprattutto per il fuoco che cova sotto la cenere nel Nord, senza considerare, poi, le istituzioni scozzesi favorevoli invece alla permanenza nella UE.
In Spagna la borghesia non riesce a trovare una soluzione di governo nonostante le recenti elezioni politiche, provocate a loro volta dagli effetti della crisi che aveva portato alla caduta del governo Rajoy nel 2018 e al fallimento del governo Sánchez sostenuto da PSOE e Podemos. Questo porterà gli spagnoli alle urne per la quarta volta in quattro anni.
In Israele le elezioni politiche anticipate del 17 settembre hanno prodotto una situazione di stallo e di impossibilità di formare un esecutivo sia per Netanyahu che per il rivale Gantz, un outsider proveniente dagli ambienti militari. Nel momento in cui scriviamo sono in corso primi abboccamenti per la formazione di un governo di unità nazionale. Quello che resta invariato è che nel frattempo i sionisti continuano a bombardare il Libano, la Siria e, con l’appoggio USA, anche l’Iraq, oltreché a opprimere il popolo palestinese, uccidendo con un qualunque pretesto anche donne e bambini.
Chi cerca la relazione fra la crisi politica in atto in Italia (vedi l’articolo “Imporre il governo degli organismi operai e popolari”) e i sommovimenti a livello internazionale, troverà molte prove del fatto che l’unica soluzione positiva alla crisi del sistema politico della borghesia imperialista la possono imporre la classe operaia e le masse popolari organizzate sovvertendo la democrazia borghese, facendo la rivoluzione socialista e instaurando il socialismo. In ogni paese imperialista la classe dominante è alle prese con il medesimo problema: non ha più strumenti per governare e non ha più scappatoie in cui rifugiarsi.