Il 17 settembre si è concluso il processo di primo grado contro i compagni che furono denunciati in occasione della mobilitazione contro la provocatoria presenza di Salvini il 25 aprile 2014 a Reggio Emilia: condanna a 9 mesi (con pena sospesa) per “lesioni dolose” (capo di imputazione aggravato rispetto a “tentate lesioni” per cui era iniziato il processo) per Mattia C. del P. CARC e Gianmarco dP. del TPO. Per il Tribunale sono colpevoli per aver fatto valere i valori della Resistenza e della Costituzione scendendo in piazza, insieme a decine di lavoratori e cittadini, per impedire la provocazione razzista e reazionaria dell’ex ministro degli Interni.
Che si trattasse di un processo politico, era chiaro fin dal suo inizio e la sentenza ne è solo una conferma: le contraddizioni nelle testimonianze dei poliziotti, la presenza di un video che scagiona i due compagni dalle accuse e le numerose testimonianze a loro favore non sono state prese in considerazione.
Prima del processo, il P.CARC ha organizzato due banchetti e il giorno della sentenza un presidio di solidarietà con gli imputati: sono stati raccolti moltissimi attestati di sostegno, di solidarietà e di vicinanza, firme, piccole sottoscrizioni economiche e fotografie con i cartelli “Io sto con Mattia e Gianmarco sotto processo per aver applicato la Costituzione” e “Io sto con Rosalba e Vigilanza Democratica”. Il presidio è stato frequentato da compagni e compagne, ma anche dagli elementi più diversi: dagli elettori della Lega agli iscritti al PD che nonostante le molte ed evidenti differenze politiche (le nostre bandiere con la falce e il martello erano ben visibili) volevano capire i motivi del presidio e ragionare sulla situazione politica.
L’esito del processo di primo grado, la solidarietà raccolta e la disponibilità a mobilitarsi, il riscontro ai banchetti e al presidio sono la dimostrazione che la prima e principale arma contro gli attacchi repressivi è dare continuità all’iniziativa perché per quanto possa pesare una condanna – anche economicamente – essa non deve recidere i legami con le masse popolari, anzi può e deve essere occasione per costruirne di nuovi e più solidi.