Trasmettiamo di seguito la lettera che Rosalba Romano, della redazione di Vigilanza Democratica, ha inviato al vice Ministro dell’Interno Vito Crimi sulla condanna che ha subito per “diffamazione” contro il VII Reparto Mobile di Bologna.
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Vigilanza Democratica·Lunedì 16 settembre 2019
Lettera al vice Ministro dell’Interno, Vito Crimi
Caro vice-Ministro Vito Crimi
mi chiamo Rosalba Romano e sono un’attivista politica e le scrivo perchè tra i temi di cui mi sono più volte occupata ce ne sono alcuni che hanno una particolare attinenza con il ruolo che oggi lei ricopre e per cui lei ha mostrato un positivo interesse in un passato neanche troppo lontano: gli abusi di polizia, la necessità della trasparenza nella catena di comando delle Forze dell’Ordine, l’introduzione del codice identificativo per gli agenti di Polizia e di un reale reato di tortura.
Il 30 marzo 2018 sono stata condannata in primo grado a seguito della denuncia di Vladimiro Rulli, ex agente del VII Reparto Mobile di Bologna che si è sentito “diffamato” da un articolo (pubblicato sul sito Vigilanza Democratica a me intestato) che traendo spunto dalla vicenda di Paolo Scaroni, il tifoso bresciano reso invalido a vita da una carica immotivata e violentissima di celerini, andati tutti assolti ormai anche in II grado di giudizio, ripercorreva alcune delle purtroppo numerose e documentate storie di abusi che hanno visto come protagonisti agenti e dirigenti di questo Reparto.
La vicenda di Scaroni, lei la conosce bene avendo tra l’altro presentato nel 2013 un‘interrogazione parlamentare che partendo dalle violenze subite da Paolo chiedeva l’introduzione dei codici identificativi per gli agenti impegnati in attività di ordine pubblico e di un’altra interrogazione con cui chiedeva nel 2016 di verificare la legittimità della rimozione del funzionario Margherita Taufer (grazie a cui è stato possibile aprire “un caso Paolo Scaroni” e che ha condotto alcune delle più importanti indagini sulla corruzione a Verona) dal suo incarico di responsabile della Polizia giudiziaria presso la procura di quella città.
Ora il prossimo 25 settembre si terrà l’udienza d’Appello del mio processo.
Io vivo serenamente l’attesa della sentenza perché assieme alle persone che mi appoggiano e sostengono, considero anche il processo come un’opportunità per fare sentire la mia voce, per propagandare assieme alla mia vicenda quella dei tanti giornalisti colpiti da provvedimenti giudiziari per aver esercitato il diritto/dovere alla controinformazione o quella dei familiari di morti di Stato che per aver chiesto “verità e giustizia” sono stati oggetto di campagne ignobili da parte di sindacati di polizia che irridono alle vittime e applaudono i criminali. O ancora quella degli ultras oggetto di aggressioni poliziesche che hanno tutto il gusto della sperimentazione/preparazione di metodi e reparti stile G8 di Genova da estendere all’uopo a contesti ben differenti e più ampi.
La sentenza che mi attende però, quale che sia, costituirà a mio parere un precedente importante, perché, per chi voglia studiare gli atti processuali, è ben evidente che l’intenzione è quella di colpire (anche con forzature importanti dal punto di vista giuridico) non la persona singola, ma il collettivo che ha lavorato per portare alla luce legami e collegamenti che è meglio tenere sotto il tappeto. La diffamazione al poliziotto Rulli è il mezzo per colpire chi ha osato ragionare e collegare i pezzi di un unico puzzle che ha al centro un Reparto, ma che rimanda ai collegamenti, alle protezioni di cui godono anche altri reparti speciali, all’utilizzo che di essi si fa.
Quando viene istituito un processo per un abusi di polizia, esso stesso diviene di fatto la principale dimostrazione che le “mele marce” non esistono. Emergono ben presto infatti, oltre i frutti marci, i loro legami con i rami, si intravedono i legami con il tronco, si intuiscono quelli con le radici e quelli con il terreno in cui le radici sono piantate. Non sono mai le mele ad essere marce, è l’intera pianta che va tagliata e il terreno su cui sorge e da cui attinge va bonificato.
Lei è ora vice-ministro di un Governo che a parole si è proposto di arginare la minaccia della deriva reazionaria rappresentata da Salvini ed è esponente di un Movimento (il M5S) che in origine ha saputo rappresentare gli interessi di ampi settori delle masse popolari, schifate dai giochi di palazzo, dagli interessi della casta.
Ma gli interessi di casta continuano ad esistere, la corruzione continua a prosperare e il teatrino della politica diviene sempre più evidente. Che da questo non siano immuni le aule dei Tribunali lo dimostra bene lo scandalo che ha travolto il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Magistrati asserviti alle varie correnti politiche, difensori di interessi particolari, altro che giustizia super partes! Le aule dei Tribunali lavorano a pieno regime per i delinquenti comuni (espressione e prodotto della crisi sociale), per i lavoratori costretti per difendere il proprio posto di lavoro a violare la legge, per chi manifesta per difendere il diritto a vivere in un ambiente salubre, per gli immigrati che scappano da fame e miseria e per il terrorista di turno che occorre agitare per distogliere l’opinione pubblica da problemi più gravi e reali. Gli autori e i mandanti della macelleria messicana di Genova invece dove sono? Quanto tempo resta in carcere (se ci va) e in quali condizioni un Formigoni?
E’ possibile avere rispetto della Giustizia e delle Istituzioni, se Magistrati e poliziotti che provano a contrastare l’omertà e la collusione vengono isolati e repressi, mentre vittime di abusi ma anche gente qualsiasi si trova a dover chiamare finanche onorevole o senatore chi si è fatto beffe di ogni più elementare forma di legalità e giustizia?
“Siamo di fronte a un passaggio delicato: o sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti”: sono le parole pronunciate da David Ermini all’assemblea plenaria del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), di cui è vicepresidente, nei giorni dello scandalo, nel giugno scorso
E’ vero, caro vice-ministro, sono i fatti a fare la differenza. Sono il mantenimento delle parole d’ordine agitate inizialmente anche da lei, che permetteranno a quelle forze ancora sane presenti in questa nuova compagine governativa di reggere al giudizio popolare, di contrastare realmente una possibile deriva reazionaria, di assottigliare quello scollamento ormai profondo Istituzioni e cittadini. Il legame con la base lei lo sa è vitale. Se non lo si alimenta, non bastano sondaggi artificiosi a garantirlo
Trasparenza nella catena di comando delle Forze di Polizia, rispetto dell’articolo 52 della nostra Costituzione che recita tra l’altro: “L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”, adozione del codice identificativo per gli agenti di Polizia, introduzione di un reale reato di tortura, sono temi non “rivoluzionari in sè” ma “rivoluzionari per il contesto in cui li porterà” sono temi su cui potrà spendersi se lo vorrà e rispetto a cui sarà giudicato tanto il suo operato che quello di questo nuovo governo.
Le invio questa lettera non solo come spunto di riflessione, ma anche come invito a usare il suo attuale ruolo per affermare una netta discontinuità con il passato. Buon lavoro
Rosalba Romano