In un articolo de “Il Manifesto” pubblicato il 27 agosto viene trattato il problema della scarsa manodopera immigrata nel settore agricolo a seguito dell’approvazione del decreto flussi. L’articolo sciorina una serie di dati e previsioni che manifestano come la manodopera immigrata in questo campo sia di un peso notevole rispetto a quella autoctona e la soluzione a cui arriva l’autore dell’articolo è “apriamo i porti perchè ci serve più manodopera”, come se il problema della manodopera nei campi fosse una questione di porti chiusi o aperti a fronte di circa il 12% di disoccupazione nel nostro paese.
Prendiamo ad esempio questo articolo, come ce ne sono tanti, che puntano (partendo da sinistra) a trovare soluzione per il fenomeno migratorio ma a partire dal presupposto che il capitalismo durerà per sempre: in questo senso, le soluzioni vengono trovate sempre all’interno della società borghese e delle attuali relazioni sociali. Stante le condizioni in cui versa il lavoro agricolo in Italia (sottopagato, senza tutele e contratti ecc.) e considerate le condizioni in cui vivono gli operai agricoli immigrati (barraccopoli e tendopoli), l’articolo afferma tra le righe una cosa che nemmeno Salvini affermerebbe: apriamo i porti per importare nuovi schiavi, nuova manodopera a costo zero che si aggiunge alla vecchia manodopera a costo zero, facendo eco a tutti quei padroni che si lamentano che non c’è manodopera da sfruttare nel proprio settore di lavoro, a proprio uso e consumo (il lavoro stagionale). Trattare il “problema” immigrazione quindi senza parlare della crisi del capitalismo e della sua soluzione, il Socialismo, e di come si costruisce, vuol dire alimentare la confusione e la diversione, alimentare tra le masse l’idea che si possa riformare il capitalismo, che si possa mettere una pezza ai vari problemi, alimentando di fatto la mobilitazione reazionaria: tra operai autoctoni e immigrati, tra “chi si fa sfruttare di più e chi meno”, come se il problema di per se non fosse lo sfruttamento ma la sua gravità!
Nel nostro paese non sono esuberi solo gli immigrati, sono esuberi anche milioni di lavoratori, di giovani, di donne e di anziani nati in Italia. Questo è il vero problema. La produzione di beni e servizi è subordinata all’andamento degli affari dei grandi capitalisti e al gioco d’azzardo del mercato finanziario, quindi tutto quello che non produce profitti viene “tagliato”, chiuso, smantellato, distrutto… È questo che non consente una vita dignitosa neanche per le masse popolari italiane di nascita, è qui la fonte della miseria, della disoccupazione, della disgregazione sociale.
La soluzione alle contraddizioni alimentate dalla borghesia tra gli immigrati e gli autoctoni, al problema dello sfruttamento della manodopera immigrata, dei morti nel Mediterraneo, delle morti sul lavoro, della disoccupazione e della concorrenza tra individui per un posto di lavoro sta nella promozione dell’unità tra lavoratori immigrati e italiani per ottenere un lavoro dignitoso, l’organizzazione in comitati di lavoratori che lottano per la sicurezza nelle aziende e nei campi, per un salario garantito e per la creazione di posti di lavoro. La soluzione definitiva sta nella costruzione di una società socialista dove ad ogni individuo viene assegnato un lavoro socialmente utile a partire dalle sue capacità che gli viene richiesto di svolgere con dedizione e lealtà in cambio di ciò di cui ha bisogno, dove nessun individuo sarà un esubero.
In Italia oggi ci sono molti esempi positivi a cui ispirarsi: i lavoratori del SiCobas italiani e immigrati che lottano fianco a fianco per il riconoscimento di contratti e salari dignitosi, gli organismi di disoccupati che si mobilitano per la creazione di posti di lavoro, i comitati di immigrati che lottano per il lavoro e non sottostanno ai ricatti dei caporali e al destino di abbrutimento e criminalità cui li relega la borghesia. Integrazione dignitosa degli immigrati e creazione nel nostro paese di un sistema di relazioni economiche, politiche e sociali adeguato alla vita dignitosa delle masse popolari italiane sono la stessa cosa: è un obiettivo che solo l’organizzazione e la lotta comune dei lavoratori e delle masse popolari italiane e immigrate può realizzare, non di certo la borghesia con le sue “toppe” al sistema capitalista.
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Da IlManifesto.it
I migranti sorreggono l’agricoltura ma il decreto flussi li blocca
Rapporto sulle aree rurali. L’Italia assorbe otto punti in più di stranieri nel settore rispetto alla media Ue
Edizione del 27.08.2019
Pubblicato 26.8.2019, 23:59
Tra il 2011 e il 2017, nell’Ue la quota di migranti che lavora in agricoltura è aumentata dal 4,3% al 6,5% del totale degli occupati nel settore. In Danimarca, Spagna e Italia l’agricoltura assorbe una percentuale di lavoratori stranieri più alta di quasi 8 punti rispetto alla zona Ue. Sono i dati raccolti dal rapporto sulla migrazione e le aree rurali, pubblicato dal Centro comune di ricerca della Commissione europea. In Italia, in particolare, la percentuale dei lavoratori stranieri impiegati nel settore è aumentata dal 15 al 20% del totale dei migranti, soprattutto lavoratori stagionali per la produzione di frutta e ortaggi.
I paesi europei con la più alta presenza della popolazione migrante nelle aree rurali, in termini relativi, sono Lussemburgo (40%), Cipro (15,1%), Svezia (14,9%), Irlanda (11,9%), Germania (9,6%) e Italia (circa 9%). Nell’Ue i migranti rappresentano il 14,5% della popolazione totale che vive nelle grandi aree metropolitane, a differenza del 10,2% che vive nelle città e del 5,5% nelle aree rurali. In Italia la distribuzione geografica è più omogenea, con un alto numero di migranti che vivono nelle aree rurali e una piccola differenza delle quote tra aree rurali e città. Secondo il Centro di ricerca, la presenza di migranti nei paesi agricoli presenta sfide come lontananza, isolamento, accesso limitato ai servizi e opportunità come, in particolare, contrasto allo spopolamento.
Eppure un anno di Matteo Salvini al Viminale (e del leghista Gian Marco Centinaio al dicastero delle Politiche agricole) non ha aiutato il settore nel superleghista Veneto. Paolo Quaggio, presidente di Cia Venezia, ha commentato le quote di ingresso per lavoratori extracomunitari previste dal decreto flussi per il 2019, predisposte dal ministero dell’Interno: «Su un totale italiano di 18mila ingressi consentiti, alla provincia di Venezia ne sono stati assegnati 20 per lavoratori extracomunitari stagionali, che possono essere impiegati in qualsiasi settore. Venti persone per bar, ristoranti, alberghi, spiagge. E le imprese agricole, che sono anch’esse fortemente condizionate dalla stagionalità? Siamo in fase di semina di colture e raccolta di altre. Tra poche settimane comincerà la vendemmia. Con sempre meno posti stagionali regolari, rischiamo di aprire le porte allo sfruttamento e al caporalato».