La sovranità appartiene al popolo

 

Il dibattito del 3 agosto alla Festa nazionale della Riscossa Popolare

“La sovranità appartiene al popolo” era il titolo del dibattito che il P.CARC ha organizzato il 3 agosto alla Festa nazionale della Riscossa Popolare. Un’iniziativa particolarmente riuscita per partecipazione e livello degli interventi: dalle delegazioni di organizzazioni operaie toscane (GE, indotto ILVA come la SANAC di Massa, acciaierie ex Lucchini di Piombino) ai portuali del Collettivo Autorganizzato Lavoratori Porto di Genova e i lavoratori in lotta della Whirpool di Napoli, dagli esponenti sindacali del SICOBAS a quelli della CUB attivi nella vertenza Alitalia, passando per gli esponenti di organizzazioni politiche come Programma 101 e Fronte Sovranista Italiano ed esponenti del gruppo parlamentare M5S alla Camera, come Laura Bottici.

Il successo del dibattito è legato anche alla chiarezza del legame fra la lotta per la sovranità nazionale e il suo naturale – e positivo – contesto. Le strumentalizzazioni promosse a piene mani tanto dalla destra reazionaria che dalle Larghe Intese si sono sciolte come neve al sole poiché in ogni momento della discussione ha vissuto quanto il movimento comunista ha elaborato a riguardo nella sua storia e Stalin ha sintetizzato nel 1952: la borghesia ha lasciato cadere la bandiera della sovranità nazionale e solo la classe operaia e le masse popolari guidate dal movimento comunista possono afferrarla e levarla in alto, poiché hanno l’interesse a preservare ogni ricchezza del paese, a difendere le conquiste di civiltà e benessere raggiunte al prezzo di dure lotte, perché esse sono la base per edificare il socialismo.

L’iniziativa, tuttavia, ha avuto anche uno specifico limite le cui cause risiedono negli stessi motivi che ne hanno decretato il successo: molte realtà presenti, molti interventi, molte questioni emerse e poco tempo per dibatterle adeguatamente.

Con questo articolo affrontiamo, brevemente e in modo non certo esaustivo, tre di esse per alimentare il dibattito. Le trattiamo, inoltre, perché permettono di approfondire alcuni aspetti dell’orientamento e dell’opera del governo di emergenza che le organizzazioni operaie e popolari devono costituire per fare fronte da subito ai problemi più gravi causati dalla crisi generale del capitalismo.

In primo luogo la questione della sovranità monetaria e la lotta contro la sottomissione alla UE. Una tesi che alcuni partecipanti al dibattito hanno affermato (Programma 101 e Fronte Sovranista Italiano, benché in modi diversi) attiene al fatto che il successo di un governo capace di porsi al servizio degli interessi delle masse popolari dipende dal predisporre le “giuste” politiche monetarie; una su tutte, l’arma risolutiva, l’uscita dell’Italia dall’UE. Indubbiamente quanto sollevato da P101 e FSI è argomento che dovrà essere affrontato dal futuro Governo di Blocco Popolare e che i suoi promotori devono affrontare già oggi, ma la rottura con la UE non risolve i problemi di sottomissione del nostro paese; essi riguardano anche i gruppi imperialisti USA e il loro potere politico e militare, nonché lo strapotere delle multinazionali e dei grandi gruppi finanziari che imperversano e infine il Vaticano. E’ anche per questo che è fuorviante e limitante individuare una sola misura risolutiva per risollevare il nostro paese dal corso disastroso in cui le Larghe Intese e la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA, UE e sionisti l’hanno precipitato. Un’Italia libera dalla morsa dell’UE ma che non regola i conti con gli altri attori responsabili della sua oppressione sarà semplicemente un paese in cui al posto dei vertici UE avranno maggior voce in capitolo altre combinazioni di gruppi imperialisti. E’ per questo che non bisogna confondere l’eradicazione di singole manifestazioni del corso disastroso delle cose con la soluzione al corso disastroso delle cose. Soluzioni definitive alla situazione possono esserci solo nell’ambito della rivoluzione socialista e della mobilitazione della classe operaia e delle masse popolari che, guidate dai comunisti, instaurano il socialismo. Ed è sempre la mobilitazione della classe operaia e delle masse popolari il presupposto di ogni azione che un futuro governo al servizio delle masse popolari intraprenderà. Senza un adeguato livello di mobilitazione ed organizzazione delle masse popolari è vano e peregrino qualunque tentativo di “rottura della gabbia dell’UE”. Lo dimostra l’esperienza del governo Tsipras ma anche, da ultimo l’attività del governo M5S-Lega: cosa ne è stato dei minibot di Claudio Borghi della Lega, addirittura inseriti nel programma elettorale della Lega e poi nel Contratto di Governo? Né più e né meno che una delle tante sparate da campagna elettorale cui la Lega ha abituato nella sua storia, prima tirata fuori come la genialata del secolo (Borghi è in buona compagnia di una vasta schiera di economisti d’accademia pronti a spacciare la propria ricetta come il non plus ultra) e poi nascosta di gran fretta per timore delle ritorsioni dei vertici UE e degli operatori del mercato finanziario.

La seconda e la terza questione sono emerse dal positivo e serrato confronto dei presenti con la Senatrice del M5S Laura Bottici. Sono questioni legate e insieme le trattiamo. “Non è possibile creare posti di lavoro, poiché c’è la crisi e per le imprese manca la domanda”, sostiene Bottici, affermando anche che “ci stiamo provando, ma non ci lasciano cambiare il paese”. Le considerazioni su queste affermazioni e sul loro legame richiedono un discorso articolato, ampio e profondo, ci soffermiamo su alcuni aspetti.

La società capitalista è governata da leggi economiche oggettive (cioè che prescindono la volontà dei singoli, i valori, la rettitudine morale, l’onesta, ecc.) che derivano tutte dalla legge suprema, quella del profitto. Nella società capitalista tutto funziona solo finché garantisce profitto ai capitalisti e tutto funziona soltanto in modo tale che i capitalisti possano fare profitti. Da questa legge oggettiva derivano il sistema politico, le leggi, il sistema giudiziario, ecc., tutte sovrastrutture create attorno e in funzione del modo di produzione.

Le leggi economiche oggettive del capitalismo – oggi è drammaticamente evidente da mille catastrofi ambientali che di “naturale” non hanno nulla, sono tutte causate dall’attuazione di tali leggi – sono diventate incompatibili con il livello di civiltà e benessere raggiunto dalle ampie masse popolari e con le stesse condizioni della vita umana sulla terra. La sottomissione a tali leggi, come se fossero dettami millenari e immutabili, comporta di dover assistere nell’impotenza totale al disastro in atto, il cui culmine è una imminente catastrofe di portata sconosciuta nella storia dell’umanità. Ma ribellarsi a tali leggi e invertire il corso disastroso delle cose comporta di dover profondamente sovvertire il sistema economico, e dunque politico, della società – cambiare il modo di produzione e conformare l’intera società al nuovo modo di produzione che prende il posto dell’attuale – comporta di compiere la rivoluzione socialista e avanzare, attraverso il socialismo, verso il comunismo. Questa non è una prospettiva più o meno bella, più o meno utopistica, più o meno suggestiva: in primo luogo i presupposti del socialismo esistono già nella società capitalista e anzi è proprio il modo di produzione capitalista a creare costantemente le condizioni che rendono necessario il suo superamento (lo sviluppo delle forze produttive e del loro carattere collettivo), in second’ordine non esiste altra prospettiva positiva per le masse popolari e, in definitiva, per l’umanità intera.

Cosa c’entra tutto questo con le affermazioni di Laura Bottici? C’entra perché è sulla disponibilità della classe dominante a permettere “che qualcuno cambi il paese” che si infrangono le illusioni e i buoni propositi. Per cambiare il paese sono necessarie due cose: la consapevolezza che l’unica forza in grado di cambiare sono la classe operaia e le masse popolari; la comprensione che l’unica strada per cambiare il paese è anteporre ciò che è legittimo per gli interessi delle masse popolari a ciò che è legale e, con essa, la decisione a farlo. Non si può cambiare un bel niente rispettando le regole, le leggi, le norme, le consuetudini proprie della classe dominante: bisogna avere il coraggio e la volontà politica di rompere. La questione del lavoro che manca perché non c’è domanda da parte delle aziende si presta bene, con un ragionamento estremamente pratico, come esempio. La legge della domanda e dell’offerta è una delle leggi oggettive del capitalismo, è una delle basi elementari su cui si fonda la ricerca del profitto. Ma è una legge superata: ci sono milioni di tonnellate di merci invendute che traboccano dai magazzini e dai supermercati eppure vengono distrutte anziché distribuite. Ci sono, al contrario, specifiche esigenze di beni e servizi (due casi emblematici: i servizi pubblici e i medicinali per malattie rare) che non vengono prodotti perché il loro commercio non garantisce sufficienti margini di profitto. Ma la vita e l’esistenza dignitosa delle masse popolari non possono essere sottomesse al profitto. Mettere mano, “forzare” se non infrangere, la legge domanda/offerta è possibile, se a dirigere parti crescenti della produzione è lo Stato e se – sulla base di criteri di trasparenza, di partecipazione nella direzione, di valutazione, di controllo e di verifica – tale direzione è funzionale alle esigenze delle ampie masse ed esercitata dalle organizzazioni operaie e popolari. Miliardi di euro che oggi lo Stato usa per mantenere in piedi i dispositivi sul debito pubblico, miliardi di euro destinati a sopportare l’esistenza del Vaticano, altri miliardi destinati a contribuire forzosamente al dominio degli USA e dei sionisti, oltre che dalla UE, possono essere usati per creare posti di lavoro, per far funzionare le aziende che i capitalisti chiudono e delocalizzano, per ammodernarle negli impianti e nelle lavorazioni, per convertire la produzione se e dove necessario, per le bonifiche, per la sicurezza. Andare in questa direzione è già possibile oggi. Per andare in questa direzione non è necessario instaurare il socialismo – anzi, andare in questa direzione è uno di quei processi che contribuiscono a far avanzare la rivoluzione socialista – è “sufficiente” il Governo di Blocco Popolare. E’ importante che elementi come Laura Bottici, ma ce ne sono molti altri, usino il loro mandato nelle istituzioni per affermare questa direzione, primo fra tutti attraverso il sostegno e lo sviluppo delle organizzazioni operaie e popolari esistenti e la nascita di organizzazioni operaie in quelle aziende che – sono più di 150 – hanno “inutili” tavoli aperti al MISE.

La soluzione al corso catastrofico delle cose è l’instaurazione del socialismo, la via più breve e meno distruttiva per arrivarci, per avanzare nella rivoluzione socialista, è la costituzione del Governo di Blocco Popolare. Esso ha il compito di attuare in modo sistematico e organico le misure straordinarie per fare fronte agli effetti della crisi e, in virtù del suo profondo legame con le masse popolari, ha il compito di far compiere alle organizzazioni operaie e popolari quella esperienza pratica che le porta a diventare classe dirigente della società, che le porta ad imparare a fare fronte autonomamente e in conformità ai propri interessi ai problemi e alle contraddizioni che incontrano e incontreranno. In questo modo, e solo in questo modo, affermiamo la sovranità nazionale.

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