Le dimostrazioni della natura conciliatoria del governo M5S-Lega sono molte, ma l’esempio del Jobs Act è emblematico. Per dare seguito alle promesse di cambiamento, ai proclami e agli impegni rispetto “all’eliminazione delle leggi ingiuste” e “al ridare dignità ai lavoratori”, una fra le prime e principali riforme del governo M5S-Lega avrebbe dovuto essere l’abrogazione del Jobs Act, il colpo finale dato dal governo Renzi all’articolo 18. Invece l’abrogazione è stata sostituita da una parziale revisione contenuta nel Decreto Dignità, ma la questione della liberà di licenziamento – anche senza giusta causa – è rimasta intatta.
Lo scorso agosto il Tribunale di Milano, nel contesto di un ricorso contro il licenziamento di una lavoratrice della Consulmarketing della quale ha disposto il reintegro, ha inviato la parte attinente ai licenziamenti del Jobs Act alla Corte di Giustizia dell’UE, sollevando la sua incompatibilità con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione e con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione.
I titoli dei giornali (“Jobs Act, il Tribunale di Milano lo fa a pezzi” è quello del Fatto Quotidiano) semplificano un discorso ben più articolato: ogni legge è soggetta a interpretazione (lo sappiamo bene, ad esempio, in relazione alla causa contro il licenziamento politico del nostro compagno Luciano Pasetti da Carrefour, ancora in corso), pertanto non basta la sentenza di Milano per fare a pezzi il Jobs Act e non basterà neppure l’eventuale pronunciamento della Corte di Giustizia della UE, è necessario abrogare la legge!
Questa situazione, tuttavia, è estremamente utile per ragionare sul fatto che se pure il governo M5S-Lega non ha avuto il coraggio, la volontà e la capacità di cancellare il Jobs Act, le condizioni per farlo ci sono tutte e l’aspetto decisivo per riuscirci non è porre fiducia incondizionata a questo o quel governo, a questa o quella autorità borghese, ma la mobilitazione dei lavoratori. La mobilitazione dei lavoratori può usare come leva anche il singolo caso sporadico che per le autorità borghesi è “un incidente di percorso”. I lavoratori possono – e quindi devono! – usare ai fini della loro lotta tutte le contraddizioni, le crepe e gli appigli prodotti dallo scontro per bande fra fazioni della classe dominante. La sentenza del Tribunale di Milano sul Jobs Act è una di esse.