Dopo l’articolo di Resistenza di luglio/agosto 2019 in cui abbiamo definito “esemplare” la battaglia dell’Italpizza, pubblichiamo questa intervista a Marcello Pini, del coordinamento Si Cobas Modena, che come sindacalista ha seguito, da dirigente, la lotta fin dal primo giorno.
Questa intervista cala nel concreto, e arricchisce con numerosi spunti, il ragionamento su quelli che indicavamo nell’articolo come due aspetti importanti della lotta che oggi possiamo dire hanno contribuito alla recente e sia pur contraddittoria vittoria: 1) l’allargamento del fronte di solidarietà contro la repressione e il suo rilancio rispetto alla gestione politica del territorio; 2) la capacità di combinare la battaglia sul terreno dei picchetti con l’intervento sui politici locali e non (vedi il coinvolgimento della deputata del M5S Stefania Ascari), cosa che ne ha fatto un caso politico nazionale e di fatto ha forzato il governo a schierarsi contro il blocco padronale locale, supportato dai partiti delle Larghe intese e dalle segreterie dei confederali.
Gli insegnamenti di cui parla Pini stesso nell’intervista sono preziosi per tutti i lavoratori e le lavoratrici che in questo paese sono impegnati nella lotta per difendere e conquistare un posto di lavoro utile e dignitoso e contro la morte lenta e la delocalizzazione delle aziende. Per questo rilanciamo l’invito agli operai e ai delegati del Si Cobas a partecipare in massa e portare la loro esperienza al dibatto operaio organizzato su questi temi al Parco di Ricortola a Marina di Massa, sabato 3 agosto 2019 alle ore 17:00, a cui parteciperanno diverse altre organizzazioni operaie.
Il movimento operaio e comunista deve unire quello che la borghesia imperialista vuole dividere e contrapporre! Le lotte dei lavoratori del Si Cobas dimostrano la potenza che sprigiona l’unità tra operai e lavoratori italiani e immigrati!
Il nostro giornale, Resistenza, ha pubblicato un articolo sul numero di luglio/agosto di quest’anno in cui definiva “esemplare” la lotta degli operai e delle operaie dell’Italpizza. Ti chiedo, per prima cosa, di descriverci le ragioni e i passaggi più importanti di questa lotta.
La vertenza comincia a fine novembre 2018, quando un piccolo gruppo di nove lavoratrici e quattro lavoratori si iscrive al Si Cobas. L’azienda chiede la flessibilità totale, disponibilità 24/7 a chiamata via SMS. Non c’è giorno di riposo, si fanno i doppi turni e in queste condizioni i lavoratori non riescono nemmeno a organizzare la propria vita. Gli operai e le operaie sono sottoinquadrati in forza di un accordo del dicembre 2015 sottoscritto da CGIL, CISL e UIL. Dentro Italpizza lavorano mille persone, di cui solo un centinaio assunti direttamente dall’azienda col contratto alimentari, quasi tutti amministrativi. Il resto dei lavoratori è stato esternalizzato e diviso tra due cooperative a cui è stata appaltata la produzione, Evologica e CoFaMo. Le cooperative hanno assunto tutti col contratto pulizia/multiservizi che, rispetto al contratto alimentari, si traduce in un abbattimento del 50% dei salari, una differenza di 450 euro lordi mensili. Se consideriamo mille persone, stiamo parlando di quasi mezzo milione di euro al mese che vengono risparmiati dai padroni con questo sistema e spartiti con le cooperative che lo garantiscono. Una forma criminale di caporalato della veste legale.
Quando a novembre le prime nove lavoratrici si iscrivono al Si Cobas, vengono allontanate dall’azienda. Immediatamente parte lo sciopero in solidarietà. Parte da un piccolo gruppo. Gli altri lavoratori, però, passando davanti ai cancelli, parlavano coi compagni e le compagne e si iscrivevano al Si Cobas, cominciando a partecipare anche loro allo sciopero. Nell’arco di una settimana passiamo da 13 a 110 iscritti. I primi di dicembre si arriva a un incontro in prefettura in cui otteniamo che tutte le lavoratrici vengano reintegrate. Sono le prime lacrime di gioia dopo una settimana di lacrimogeni e violenze da parte della Polizia.
A fine gennaio un’assemblea dei lavoratori fa il punto sulla situazione perché l’azienda non sta rispettando gli accordi. In più i nostri iscritti subiscono ritorsioni. Vengono mandati sui tetti ghiacciati a pulire alle cinque di mattina le vetrate a quindici metri d’altezza con l’acqua gelata, a spalare la neve o addirittura vengono tenuti fermi nel piazzale al freddo senza poter entrare. Si torna ai cancelli. Le lavoratrici che erano stati reintegrate dopo i primi scioperi vengono nuovamente licenziate. La lotta prosegue durissima. Duecentocinquanta lavoratori e lavoratrici entrano in sciopero e affrontano cariche selvagge, pestaggi indiscriminati e lanci di granate CS. Il primo febbraio le cooperative comunicano che i lavoratori verranno reintegrati e rimessi alle proprie mansioni. Si arriva così a una seconda vittoria, che però ristabilisce di fatto la situazione iniziale.
Il problema della flessibilità e dei contratti, infatti, resta. L’accordo in prefettura di dicembre è disatteso. La UIL tenta di siglare un accordo separato con l’azienda che viene sonoramente bocciato dai lavoratori con un referendum. Tra marzo e aprile rilanciamo con una serie di scioperi e, grazie a una trattativa informale, di fatto viene abolito il lavoro domenicale, i doppi turni, vengono tolti i marcatempo nei bagni, vengono garantite delle pause. L’azienda, pur di chiudere la partita, comincia a offrire soldi a tutti, ai lavoratori e ai sindacalisti, ma le offerte vengono rispedite al mittente. A quel punto arriva una direttiva pubblicamente espressa da Confindustria e dalle cooperative: “coi Cobas non si tratta”. I nostri interlocutori cambiano. La strategia padronale e dello Stato cambia. La prefettura si allinea e smetterà di convocare tavoli. In questa fase – è il periodo della lotta per l’assoluzione di Aldo Milani – sono scese apertamente in campo anche le forze politiche [delle Larghe intese, NdR] in appoggio a Confindustria. Il 27 marzo la Lega con un’interrogazione alla Regione Emilia Romagna chiede in sostanza di metterci fuori legge e lo stesso fa il PD (e +Europa) con dichiarazioni pubbliche per bocca del Segretario di Modena e del Sindaco.
L’obiettivo di Italpizza è sempre stato cercare di convocare un tavolo separato che ci escludesse ma fino a un certo punto non c’era mai riuscita perché al loro tavolo avevano aderito prima solo la UIL, poi la UIL e la CISL, ma non la CGIL. La CGIL era spaccata al suo interno sia alla base (circa un centinaio di iscritti fra i lavoratori) che nelle segreterie. C’era chi appoggiava la lotta e chi voleva riportare tutto all’accordo del 2015. Almeno una parte di loro, inoltre, sosteneva che dovevano partecipare tutti i sindacati coinvolti e che non poteva essere Confindustria a scegliere i rappresentanti dei lavoratori ai tavoli di trattativa. Del resto la CGIL stessa subisce questo trattamento, per esempio in FIAT, dove la FIOM non è ammessa ai tavoli. Il 19 maggio parte uno sciopero congiunto Si Cobas – CGIL che prosegue giorno e notte per diversi giorni. In CGIL gira un appello interno allo sciopero generale. In Segreteria provinciale, probabilmente su indicazione del nazionale, si consuma una resa dei conti e, con le buone o le cattive, convincono i lavoratori a sospendere il sciopero. Il gruppo di dirigenti firmatari dell’appello rinuncia a forzare e si adegua. La CGIL aderisce al tavolo separato e il non riconoscimento del Si Cobas diventa ufficiale. L’obiettivo padronale del tavolo separato è raggiunto.
Nonostante ciò, noi per tutto giugno continuiamo a scioperare per l’applicazione del contratto alimentare. Il livello dello scontro si alza: abusi di potere, aggressioni, pestaggi, minacce, fermi e un arresto. Finché il 17 luglio CGIL, CISL e UIL, al tavolo separato, raggiungono con Italpizza un accordo che di fatto dà ragione alle nostre rivendicazioni. Nel 2022 verranno assunte da Italpizza le 600 persone ora assunte dalle cooperative. Divideranno i lavoratori su tre tipi diversi di contratti: alimentari, logistica e multiservizi, tutti a livelli minimi di retribuzione e con aumenti graduali, tali per cui per cui solo una parte di questi lavoratori arriverà nel 2022 alle stesse condizioni di prima dell’accordo del 2015. La questione fondamentale, comunque, è che si parla di internalizzazioni. Nessuno può negare che questi risultati siano stati portati dalla mobilitazione. D’altra parte, dal punto di vista degli inquadramenti, si tratta di un accordo deludente, innanzitutto per i livelli minimi che per lavoratori di quell’esperienza e di quella mansione non sono giustificabili. Parliamo di differenze sostanziali in busta. Fondamentale sarà la vigilanza operaia sul rispetto degli accordi.
Ai cancelli dell’Italpizza nei nove mesi di lotta abbiamo visto la celere schierata ininterrottamente per settimane sparare armi chimiche da guerra in faccia alle operaie e agli operai, un vostro coordinatore, Simone Carpeggiani, con quattro costole rotte, la tua aggressione e fermo a freddo, attentati incendiari a un delegato e l’arresto di un altro, piantonato al Pronto Soccorso come un criminale. A fronte di tutto questo abbiamo visto l’estendersi della solidarietà da parte delle masse popolari. Come per il processo di Aldo Milani, quando la lotta continua, la repressione scoppia in mano a chi la orchestra. Ci racconti come avete alimentato questo fronte di solidarietà?
La solidarietà è stata crescente. A livello di opinione pubblica e in generale da parte della città. Abbiamo visto che c’era la necessità di coinvolgere e valorizzare la voglia che di tante organizzazioni del territorio di mettersi in gioco per supportare la lotta. Nel giro di pochi giorni dall’inizio dello sciopero c’è stato un cambio di atteggiamento da parte della stampa, fatto inedito. Italpizza ha infatti capito che doveva rispondere su questo piano fondamentale. Attraverso una sua agenzia di marketing ha puntato moltissimo sull’aspetto comunicativo, facendo una campagna acquisti con finanziamenti a pioggia su radio, televisioni e giornali, in tutte le sagre di paese o come nel caso del festival di Amnesty international (che gli si è ritorto contro). In alcuni casi questi contributi erano talmente alti che i destinatari hanno dovuto rifiutarli perché sostanzialmente sembrava che se li stessero comprando.
La nostra necessità era quella di fare una campagna organizzata di solidarietà, di invito al boicottaggio e al consumo socialmente consapevole. Abbiamo aggregato una dozzina di organizzazioni del territorio che poi sono diventate molte di più. Sono organizzazioni di vario genere: NonUnaDiMeno di Modena e Bologna, Modena Volta Pagina, che è una lista civica che si è candidata alle elezioni, PaP, ovviamente il collettivo Guernica, la Rete No CPR, i comitati ambientali come Mobastacemento, la Casa Spartaco di Correggio, il collettivo Iskra di Carpi e altri. Ognuno si è impegnato a fare una parte della campagna secondo i propri contenuti e il proprio ambito di riferimento e la cosa si è espansa a macchia d’olio. L’altro giorno, per esempio, siamo stati a Padova alla festa di RadiAzione e tutti gli incassi della cena finale sono stati dati per la cassa di resistenza. Quando la macchina del delegato venne incendiata, nel giro di pochi giorni raccogliemmo i fondi necessari per ricomprarla. Abbiamo anche preparato dei video spot di denuncia (“Ti sembra giusto?”) che possono essere trovati su Youtube e che hanno avuto molto successo.
Questo processo ha svolto un ruolo fondamentale nella lotta. L’obiettivo dello Stato e dei padroni è quello di isolare i lavoratori. Quando tu dimostri che più ti attaccano, più aumenta la solidarietà, più organizzazioni e persone si stringono intorno a te, la cosa è determinante. L’operazione di isolamento del Si Cobas come i “violenti che vengono da fuori” crolla. Adesso c’è l’esigenza, che viene da più parti, di dare un seguito anche politico a questa esperienza. Non deve esaurirsi tutto con la semplice campagna di solidarietà ma deve diventare un’occasione per fare un punto politico e strategico rispetto al sistema Modena, al governo del territorio e a come affrontare la repressione. È chiaro che adesso colpiscono noi, ma come hanno messo fuori legge delle ONG internazionali, possono mettere fuorilegge qualsiasi comitato di quartiere che si batte ad esempio contro la costruzione di nuove palazzine.
Accanto al piano sindacale avete portato la battaglia sul piano degli eletti locali e nazionali. In particolare la deputata M5S Stefania Ascari ha portato il caso in parlamento e con dichiarazioni pubbliche ha espresso solidarietà verso i lavoratori, per te e per Carpeggiani, rispedendo al mittente la criminalizzazione della lotta. Come avete gestito questo fronte e che ruolo a giocato?
Il rapporto con Stefania Ascari era già cominciato alcuni mesi prima quando, per scrivere la legge sul caporalato industriale, ci chiese di fornire un po’ un punto sulla situazione modenese. Da lì è seguita la vertenza G.M. di Camposanto, un’azienda metalmeccanica che fa le carrozzerie per Ferrari, Maserati, Lamborghini e Ducati, in cui l’intervento della Ascari è stato molto importante e ha portato a ispezioni che sono tutt’ora in corso e che stanno trovano un sacco di irregolarità. C’è stata un’interrogazione parlamentare su questo e su Alcar uno, prima che su Italpizza. La Ascari ha partecipato al corteo a Castelnuovo ed è venuta a diversi picchetti, pur mantenendo sempre la sua autonomia politica.
Su Italpizza, grazie alla mobilitazione e all’intervento della Ascari è stato coinvolto il Ministero del Lavoro e il parlamento. Il 14 gennaio il Si Cobas è stato ricevuto al MISE dal Sottosegretario al Lavoro, Claudio Cominardi, mentre il giorno seguente il parlamento è stato informato – con risposta all’interrogazione parlamentare presentata dalla Ascari – dei risultati delle ispezioni svolte all’interno dello stabilimento e delle cooperative. Siamo poi stati invitati in parlamento a febbraio, in occasione della risposta del governo alla prima interrogazione fatta dalla Ascari. Il governo ha riconosciuto l’irregolarità della situazione e ha risposto impegnandosi a far rispettare i contratti giusti, di fatto, prendendo posizione a favore delle nostre ragioni (i locali ispettori del lavoro, al contrario, non avevano mai trovato niente di irregolare).
Il 25 giugno c’è una nuova interrogazione da parte della Ascari (siamo nel periodo in cui – come dicevo prima – il prefetto aveva smesso di chiamarci ai tavoli) a seguito della quale il Sottosegretario Cominardi convoca (15 maggio) un tavolo a Roma con tutte le parti, considerato che le istituzioni a livello locale non stavano facendo il proprio dovere. Al tavolo andiamo noi, CGIL e CILS ma Italpizza non si presenta e neanche la UIL, dando per inciso dimostrazione lampante di essere tutt’uno col blocco padronale. Lì il Ministero ci dice che, a causa della Legge Biagi, non hanno alcuna possibilità di intervenire sulle questioni aziendali del lavoro, che sono considerate trattative private. Ci dicono cioè che hanno le mani legate dalla legge e che non possono imporre all’azienda di presentarsi. Dal nostro punto di vista è però chiaro che il governo avrebbe tutti gli strumenti per far esaudire la sua volontà, anche semplicemente intensificando l’attività degli ispettori, per esempio.
Per quanto ha fatto, la Ascari si è attirata gli attacchi degli esponenti più reazionari del sistema modenese. Antonio Montanini, di per sé irrilevante consigliere comunale, ma rappresentante di specifici interessi economici del territorio, ha chiesto con un O.d.g. presentato al Comune di Modena le dimissioni della Ascari dalla commissione antimafia. Dicevano che una che sta col Si Cobas non può far parte di una commissione antimafia! Ad ogni modo, mentre abbiamo avuto questo appoggio da un’eletta nazionale, va detto che su Modena il M5S locale è stato pressoché assente. Questo anche per un cambio di orientamento sembra ordinato dallo stesso Di Maio sotto elezioni, per cui il gruppo che c’era prima, giudicato diciamo troppo “movimentista”, è stato cambiato e questo ha innescato anche problemi interni tra di loro.
Ovviamente, la relazione con il M5S è difficile perché loro sono al governo con la Lega e hanno votato il Decreto Sicurezza. La Ascari lo rivendica apertamente. Questa è una contraddizione che crea anche malumori fra di noi. C’è chi vede la possibilità di aprire crepe e altri che vedono più il fatto di avere dei rapporti con chi poi ti sbatte in galera. C’è un dibattito interno in corso su questo.
Il primo luglio avete fatto un presidio nazionale sotto il MISE in cui il Si Cobas ha chiesto l’apertura di un confronto col Ministro, perché prendesse posizione contro la repressione, facesse atti concreti per far fronte all’ondata di crisi aziendali e modificasse i parametri di accesso al Reddito di Cittadinanza. Come è andata e come pensate di dare continuità a quell’azione?
Io personalmente non c’ero ma c’erano i lavoratori di Italpizza. È chiaro che deve continuare un rapporto di quel tipo anche perché nei fatti il Ministero del Lavoro è l’unica istituzione che si è dimostrata attenta, interessata e preoccupata rispetto a quanto sta succedendo. È stata davvero l’unica. Quindi è giusto andare avanti su quella strada.
Restano tutti i limiti che abbiamo già sottolineato, in primo luogo quello di “non poter intervenire”. Loro dicono che il loro impegno è quello di far passare la legge sul caporalato industriale, promossa dalla Ascari. Effettivamente, se passasse quella legge il sistema degli appalti crollerebbe. Sarebbe una cosa sconvolgente a livello nazionale. La proposta di legge dice che possono essere appaltate dall’azienda soltanto i settori che non siano di produzione e che siano accessori (manutenzione, pulizie o cose similari). Tutto il resto deve essere in capo all’azienda con il contratto di riferimento dell’azienda e non della cooperativa o S.r.l. di turno. Le rivendicazioni come quelle su Italpizza sarebbero già tutte prescrizioni di legge.
Sul se e come dar gambe a una prospettiva del genere si dibatte. Le aziende oggi possono fare quello che vogliono. Possono applicare il contratto che vogliono, possono rifiutare di sedersi ai tavoli, possono portare la trattativa sul piano individuale col singolo lavoratore, possono appaltare tutta la produzione. Ci sono delle aziende che non sono proprietarie neanche dei muri dei capannoni dove producono. È chiaro che dove tu hai i rapporti di forza, come nella logistica, puoi far rispettare gli accordi, ma dove non hai questi rapporti, oggi non hai neanche una base legale su cui far leva. Il padrone può dirti che il fuorilegge sei tu e la può rendere una questione di ordine pubblico. Questa legge, invece, permetterebbe alle mobilitazioni di partire da una base ben diversa. Dal mio punto di vista questa è una strada che noi dovremmo sostenere alla grande con delle campagne pubbliche. Dovremmo farla diventare una proposta di legge non del M5S, ma la proposta con cui noi asfaltiamo tutto il sistema e sulla base dalla quale diamo continuità alle mobilitazioni e all’azione su un livello politico nazionale.
Quali sono i più importanti insegnamenti della lotta di Italpizza che pensi possano essere validi per le altre migliaia di operai che in tutta Italia stanno lottando per difendere o conquistare un posto di lavoro utile e dignitoso e contro la morte lenta e la delocalizzazione delle aziende?
Questa lotta dice innanzitutto che è possibile resistere, vincere e contrattaccare contro un sistema che sembra indistruttibile e che mette in campo un’enorme quantità di risorse per sconfiggere dei gruppi tutto sommato piccoli di operai.
Poi dice cose importanti riguardo alle questioni di genere. C’è stato un protagonismo femminile importantissimo, perché di fatto le famose “leonesse” del Si Cobas sono state il cuore e l’anima della lotta. Lottando hanno anche cambiato i loro rapporti familiari e le loro relazioni sociali. C’è stata un’emancipazione femminile grazie alle lotte che poi ha fatto progredire anche gli uomini rispetto al maschilismo.
C’è stata, inoltre, la solidarietà tra magazzini. Alla CGIL ammettono sempre che il loro limite (e la nostra forza) è che noi siamo un sindacato intercategoriale: se tocca uno tocca tutti. Non esiste una divisione per settori in cui ognuno guarda al suo. Se c’è un problema in un’azienda, io che ho ottenuto già i diritti vengo nella tua e mi batto perché se cede un punto cedono anche tutti gli altri. Questo forma i lavoratori alla lotta di classe.
L’altra cosa è che con l’uso intelligente della solidarietà e con una corretta veicolazione dei messaggi politici si può raggiungere l’obiettivo di spaccare il fronte nemico. Nel caso di Italpizza è successo nella stampa, è successo tra i confederali e tra gli stessi industriali. La cosa ha aperto, infatti, grosse contraddizioni anche all’interno degli industriali. Così come è successo sul fonte politico. Insegna quindi di non valutare mai tutto come un blocco monolitico ma di valutare con chi si sta avendo a che fare e quali sono le possibilità di piegare a proprio vantaggio la situazione.
Come comunisti crediamo che sia importante dare supporto alle lotte e coordinarle per elevarle e orientarle verso il lavoro di costruzione di un nuovo potere, un potere fondato sulle organizzazioni operaie e popolari (comitati operai e popolari, organismi sindacali, politici, circoli culturali) che sia capace di scalzare quello dei padroni sulla società. Questo è il processo di costruzione della rivoluzione socialista, un lavoro che non è in contraddizione con le migliori aspirazioni di un sindacato combattivo come il vostro. Ti chiedo se tu ti poni la questione del Partito e anche se questa questione è dibattuta nel tuo sindacato e quali sono le posizioni in campo.
Ci sono diverse visioni e tendenze. Il Si Cobas è un sindacato ma di fatto è anche un’organizzazione politica. A volte queste due cose si confondono. C’è chi dice che noi siamo un sindacato e quindi dobbiamo fare solo il lavoro sindacale e chi dice che il sindacato è utile solo se raggiunge obiettivi politici. Una cosa non esclude l’altra, anzi il problema è quando una cosa esclude l’altra. C’è un sentimento e un’aspirazione politica fortissima, anche se è difficoltoso fare un lavoro ideologico e politico. La base, il 95% dei nostri iscritti, è composta da cittadini di un numero impressionante di paesi del mondo che hanno sensibilità, idee e storie molto diverse.
Nel Si Cobas, comunque, c’è una direzione politica marxista ma ritengo non sia ben compresa dalla base. Personalmente io mi pongo la questione del Partito. Oggi manca il fatto che venga riconosciuta la direzione di un Partito comunista. In alcuni manca anche l’idea che ci voglia un Partito comunista per poter avere una prospettiva che non sia solo di lotta, lotta, lotta. Si parte da parole d’ordine fondamentali come l’antifascismo, l’antirazzismo, la lotta ai padroni ma manca una vera prospettiva strategica. Io credo che dovremo dire apertamente che la nostra lotta è per il socialismo.