La Whirlpool è una delle poche fabbriche rimaste nella zona orientale di Napoli. Le lotte organizzate della classe operaia, già dal tempo della Ignis, sono riuscite ad impedire fino a oggi la chiusura dello stabilimento. La memoria delle lotte degli anni scorsi è patrimonio ed eredità per gli operai Whirlpool, alle prese con la revisione unilaterale degli accordi stipulati tra le parti sociali lo scorso ottobre sul Piano industriale del gruppo 2018-2021. Il 31 maggio scorso, infatti, i sindacati Fim-Fiom-Uilm hanno incontrato a Roma i vertici dell’azienda che hanno annunciato di voler “rivedere il piano industriale” e chiudere lo stabilimento di Napoli: mandare a casa 420 lavoratori e compromettere l’indotto di zona che impiega altri 600 operai circa. Comincia la lotta.
Gli operai si organizzano in presidio permanente davanti allo stabilimento. 150 operai a turno di presidio su tre turni giornalieri. Determinazione a non perdere il posto di lavoro (“Non accetteremo nessun piano di reindustrializzazione – dice l’operaio Accurso in presidio – l’unica soluzione che prenderemo in considerazione è quella di tornare a svolgere il nostro lavoro di sempre”) e indignazione diffusa per un’azienda che da una parte usufruisce del sostegno statale (dal 2014 a oggi 27 milioni di euro di fondi pubblici), ma già da tempo costringe gli operai a contratti di solidarietà in tutti gli stabilimenti e a volumi produttivi ridotti, dall’altra cinque volte premiata per produttività, eccellenza del prodotto top gamma e sicurezza sul luogo di lavoro, ma è sacrificata sull’altare del profitto di cui i padroni mai sono sazi.
È in questo scenario che la Segreteria Federale Campania del P.CARC è intervenuta, partecipando e sostenendo il presidio operaio con tre volantinaggi e diffusione della stampa comunista nel mese di giugno, sviluppando legami con alcuni operai d’avanguardia, trattando con loro temi e proposte per avanzare nella lotta e nell’organizzazione. La continuità dell’intervento, anche quando la Whirlpool, dopo i primi giorni, già non faceva più notizia sui media borghesi, ci ha permesso di entrare nel merito di alcune questioni di natura non solo “vertenziale”, ma politica con alcuni operai e di sviluppare con loro alcuni ragionamenti sul da farsi.
Confronti, discussioni, ragionamenti comuni. Partendo dalla giusta tendenza manifestata dagli operai a chiamare in causa il governo affinché “mettesse in riga i padroni” obbligandoli a rispettare gli accordi sul piano industriale, dati anche i sovvenzionamenti che questi ultimi hanno intascato, si è ragionato della situazione politica più complessiva: della breccia che le masse popolari hanno aperto nel sistema politico delle Larghe Intese con il voto del 4 marzo 2018; della provvisorietà del governo M5S-Lega che da una parte affida la sua sorte al mantenimento del consenso elettorale e all’osservanza del “contratto di governo”, ma dall’altra è sottoposto alle pressioni e ai ricatti dei capitalisti, dei padroni, dell’UE, della BCE e più in generale della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti e dei suoi agenti in Italia. Si è parlato, in definitiva, della necessità e della possibilità di inchiodarlo alle promesse elettorali sulle quali ha ottenuto il “voto operaio”.
La questione del coordinamento fra varie vertenze, fra i lavoratori di varie aziende che hanno annunciato chiusura o ristrutturazioni o che sono avviate verso la morte lenta è stato lo spunto per trattare gli obiettivi e le modalità di partecipazione allo sciopero nazionale del 14 giugno scorso indetto dalle sigle del sindacalismo confederale di categoria: non un momento di sola denuncia, ma un’opportunità per fare appello alla solidarietà operaia e popolare, la premessa per costruire, indipendentemente dalle sigle sindacali, alleanze solide tra operai di diverse aziende, in crisi o meno (dall’AVIO alla FCA a Pomigliano, dalla Hitachi di Ponticelli all’Alitalia e Atitech a Capodichino fino alle aziende della logistica, ovunque ci siano operai che si organizzano).
La necessità di rimettere in funzione la produzione e comunque di elevare la capacità e il livello organizzativo della mobilitazione (ad esempio, anche imparare a combinare meglio il presidiopermanente con le necessità di svolgere iniziative “all’esterno”: delegazioni che prendono contatto con gli operai dell’indotto, con quelli di altri stabilimenti del gruppo o di altre aziende, partecipare agli incontri al MiSE, ecc.) è stata occasione per aprire un ragionante più ampio sulle forme e il contenuto dell’organizzazione e per suggerire agli operai in servizio di richiamare gli operai Whirlpool in pensione (ex-Ignis) che data l’esperienza che hanno conoscono il processo produttivo, sanno come organizzare un consiglio di fabbrica che rimetta in funzione la produzione e organizzi la lotta indipendentemente dalla sola azione sindacale di contrattazione, possono e sanno mantenere un presidio ai cancelli, come al tempo delle lotte alla Ignis, dalla quale Whirlpool viene.
Solidarietà e mobilitazione: l’iniziativa deve restare in mano agli operai. La mobilitazione operaia ha imposto tre incontri al MiSE in cui i padroni hanno presentato un “nuovo piano industriale” rifiutato dagli operai poiché riconosciuto come inconsistente; il governo è stato obbligato a tener fede alle sue dichiarazioni (“se l’azienda delocalizzerà ci faremo restituire tutti i fondi pubblici che ha preso in questi anni”, ha dovuto dichiarare e disporre il ministro Di Maio) e gli operai hanno riaffermato la ripresa della produzione dello stabilimento come unica soluzione accettabile (e a tal proposito sono rientrati sulle linee di produzione, in autorganizzazione, al fine di osservare le commesse in sospeso).
In occasione dello sciopero del 14 giugno lo striscione Whirlpool apriva il corteo e la mobilitazione nazionale (vedi articolo a pag.1) è stata effettivamente occasione sia per fare pressione sul governo affinché assuma soluzioni operaie per la difesa e ripresa produttiva dello stabilimento, sia per sviluppare la rete di solidarietà e coordinamento con altri operai del gruppo (quello di Cassinetta di Biandronno, polo Emea per i prodotti da incasso per le categorie freddo e cottura, quello di Melano, hub regionale toscano per i piani cottura ad alta gamma e quello di Siena, dedicato alla produzione di congelatori orizzontali).
Cresce inoltre la solidarietà attorno alla lotta: altri organismi di movimento intervengono al presidio permanente o organizzano iniziative a sostegno della mobilitazione, con particolare continuità interviene PaP, sia a Napoli che nello stabilimento di Siena. A fine giugno, gli operai Whirlpool hanno partecipato al dibattito operaio della Festa della Riscossa Popolare della Campania decidendo con gli operai delle altre aziende presenti alla discussione (AVIO, Vodafone, FCA, Unilever, della Sanità, delle Aziende Partecipate di Comune e Regione) la costruzione di un’assemblea cittadina a settembre sul tema dei vincoli di fedeltà aziendale e sul rapporto tra fabbriche e territori.
Gli operai Whirlpool, come il resto della classe operaia, sono oggi a un bivio: subire o combattere! I tentativi di raccogliere la ricca e gloriosa esperienza degli operai Ignis, la “vecchia guardia” degli operai Whirlpool, si moltiplicano, anche se con esiti alterni. La principale difficoltà attiene alla conoscenza e comprensione del ruolo dei Consigli di Fabbrica: allo stato attuale gli operai fanno affidamento sulla rinnovata unità sindacale di piazza e di vertenza, anche se non mancano contraddizioni tra i sindacalisti che stanno curando la trattativa “istituzionale” e i delegati i stabilimento e la base di iscritti che rivendicano meno concertazione e più decisione nella contrattazione.
Cresce, infatti, il livello di mobilitazione diretta: fermo il nuovo incontro la MiSE, il prossimo 25 luglio, nuove manifestazioni pubbliche, blocchi temporanei della circolazione stradale di zona, irruzioni nelle sessioni di lavoro delle istituzioni di prossimità (Consigli di Municipalità, Comune e Regione, imponendo all’ordine del giorno la “questione operaia”) sono le pratiche che gli operai in lotta stanno attuando.
Gli operai Whirlpool, come il resto della classe operaia, sono oggi a un bivio: subire o combattere. Subire l’iniziativa dei padroni o mettere in discussione le loro autorità facendo valere la propria capacità di organizzazione e mobilitazione. L’organizzazione per promuovere conoscenza e formazione operaia per difendere il lavoro e espanderne i poteri, in modo indipendente dalle autorità, enti, agenzie dei padroni e per promuovere la ripresa produzione, il controllo e la vigilanza operaia nell’azienda (scavalcando procedure e consuetudini, sulla base del principio pratico “è legittimo tutto quanto è conforme agli interessi degli operai e delle masse popolari anche se non è legale”); la mobilitazione per fare della lotta contro la chiusura o la morte lenta ed annunciata degli stabilimenti una questione politica, giacché politica è la soluzione per le aziende oggi in crisi come in crisi è la società borghese per intero.
Il ruolo dei Consigli di Fabbrica, la loro natura ed esperienza, storica (ricorre quest’anno il centenario del biennio rosso) e più recente (i consigli di fabbrica degli anni Settanta), saranno argomento
dei prossimi interventi che porteremo tanto ai cancelli della Whirlpool che nei legami che stiamo sviluppando con alcuni fra i più avanzarti operai di questa lotta. Affinché gli operai in organico chiedano e ottengano sostegno da quelli in pensione, ma anche da tecnici, professionisti, studenti universitari a) per avanzare nella costruzione di un’organizzazione operaia allargato che elabori un piano di azienda alternativo ai piani del padrone; b) per far funzionare l’azienda in autonomia dal ricatto dei vertici dell’azienda e sotto controllo operaio; c) per impedirne lo smantellamento e rilevarne gli impianti come indennizzo per gli operai; d) per costringere il governo a dare forza e forma di legge ai provvedimenti assunti dagli operai organizzati e così prendere posizione concreta: o dalla parte degli operai o dalla parte dei padroni.
Anche a Siena gli operai della Whirlpool EMEA sono in stato di agitazione, dato quello che sta succedendo allo stabilimento di Napoli. L’azienda senese, oltre che far parte dello stesso gruppo, ha un volume di produzione e numero di impiegati molto simile (circa 340 operai) e questo non fa prevedere niente di buono per il futuro. Lo stabilimento è ormai da svariati anni avviato su un percorso di morte lenta, che costringe oggi gli operai a lavorare su soli 2 turni di 4 ore e nemmeno tutta la settimana, avvalendosi di ammortizzatori sociali e contratti di solidarietà.
A seguito dell’annuncio del gruppo di voler chiudere lo stabilimento napoletano, il 3 giugno a Siena è stato indetto dalle sigle sindacali della fabbrica (FIOM CGIL, FIM CISL, UILM e COBAS) un presidio di solidarietà ai colleghi partenopei, ma anche per chiedere conto alle istituzioni cittadine del futuro della fabbrica. Erano presenti il vice-sindaco della Lega di Siena, l’ex sindaco del PD, la Sezione di Siena del P.CARC, alcuni compagni di Potere al Popolo, oltre a giornalisti e molti agenti della DIGOS.
Gli operai hanno parlato a lungo con le compagne della Sezione che conoscono bene (intervengono davanti alla fabbrica da più di due anni) e hanno affermato di essere scoraggiati e spaventati, rispetto a possibili proteste, a causa del Decreto Sicurezza che reprime “non solo gli immigrati, ma anche e soprattutto gli operai che lottano”.
Ragionando su quanto raccolto dalle discussioni con gli operai e considerando che autorità e istituzioni locali si sono dovute “mettere in moto” sulla vicenda – in particolare gli esponenti leghisti, che devono rendere conto del cambiamento che hanno promesso e per cui sono stati premiati anche in tante zone della Toscana – in occasione della seduta del Consiglio Comunale la Sezione di Siena ha scritto una lettera aperta al sindaco De Mossi (Lega) e all’amministrazione comunale, invitandoli ad assumersi la responsabilità di farsi garanti e che gli operai in caso di mobilitazioni in difesa del loro posto di lavoro non verranno perseguiti e il Decreto Sicurezza, tanto voluto dal suo partito, non sarà applicato.
Nella lettera si invitava inoltre il Sindaco a essere lui in prima persona a chiamare a partecipare al Consiglio gli operai dello stabilimento, insieme al resto della cittadinanza, per organizzarsi e prevenire la chiusura dell’azienda.
Come era facile immaginare, la lettera al momento non ha ottenuto risposta. E’ tipico delle istituzioni borghesi nascondersi quando qualcuno mette “il coltello nella piaga”. Si nascondono quando c’è da prendersi delle responsabilità e fanno buon viso a cattivo gioco quando devono reggere il sacco ai padroni: fino ad oggi, da quando la Whirlpool ha cominciato a procedere a passo più svelto con lo smantellamento, le istituzioni cittadine hanno fatto sempre un sacco di rassicurazioni agli operai, salvo poi lasciare mano libera ai padroni dell’azienda. E’ il caso di tornare a chiederew al sindaco di quale cambiamento è promotore….
Intanto anche altre forze politiche e organismi stanno continuando a mantenere alta l’attenzione sulla vicenda: i compagni di Potere al Popolo si sono fatti promotori di un’assemblea cittadina invitando alla discussione anche gli operai della Bekaert di Figline Valdarno e della Piaggio di Pontedera.