La classe operaia non vuole tornare alle Larghe Intese, ma il “governo del cambiamento” è seduto su un barile di polvere da sparo
Nell’articolo “FIOM, FIM e UILM chiamano allo sciopero generale i lavoratori metalmeccanici il 14 giugno” sul numero 5/2019 di Resistenza abbiamo messo in luce quale fosse la natura della mobilitazione promossa dai sindacati di regime. In sostanza, lo sciopero andava a inserirsi in una mobilitazione più ampia che ha coinvolto anche altri settori, come i pensionati e che, a cavallo delle elezioni europee, aveva il fine di dare una spallata al governo, tentando di recuperare parte del consenso perduto dai partiti delle Larghe Intese fra le masse popolari e in particolare nella classe operaia. Nell’articolo abbiamo fatto un sevizio di chiarezza, smascherando le intenzioni dei suoi promotori, ma abbiamo anche espresso un orientamento mirato ad approfittare di questa mobilitazione per farne un momento alto della lotta di classe. L’indicazione che abbiamo dato è stata quella di trasformare questo tentativo di utilizzare la classe operaia come massa di manovra contro il governo e a favore del ritorno delle Larghe Intese (il ritorno al potere di presunti soggetti “più responsabili”) in una massiccia mobilitazione che, azienda per azienda, mettesse al centro gli interessi della classe operaia e la sua organizzazione a perseguirli direttamente e con decisione, senza attendere le indicazioni sindacali.
L’operazione pro-Larghe Intese non è riuscita e seppur le adesioni allo sciopero in alcuni casi siano anche buone (ma tante grandi aziende in varie parti d’Italia hanno visto adesioni più basse del previsto), risulta però evidente il flop delle manifestazioni di piazza, con numeri ben inferiori a quanto siamo abituati a vedere in occasione di scioperi promossi dai sindacati dei metalmeccanici. I sindacati di regime hanno convocato uno sciopero “contro il governo”, ma l’esito dimostra che il seguito che hanno fra i lavoratori è sempre più esiguo. CGIL CISL e UIL con le loro organizzazioni di categoria pagano la collusione sempre più evidente e sfacciata con i partiti delle Larghe Intese, coronata dal recente documento di sostegno alle “forze politiche responsabili” e alle istituzioni della UE firmato insieme alla Confindustria!
Il Partito dei CARC ha partecipato ai cortei registrando interviste e raccogliendo le impressioni e gli umori dei lavoratori, con domande inerenti lo sciopero, l’operato del governo e le misure necessarie per fare fronte alla crisi generale. Le risposte alle domande poste ha fatto emergere con molta chiarezza due questioni. La prima è la difficoltà incontrata dalle RSU aziendali a promuovere la partecipazione: in tanti hanno affermato che parecchi lavoratori hanno rifiutato di partecipare a uno sciopero percepito chiaramente come contro l’attuale governo. È diffusa la consapevolezza della diversità di questo governo, della sua particolarità, del fatto che, seppur con misure contraddittorie e parziali, ha già fatto molto di più rispetto a un qualsiasi centro-sinistra che si presentava come “amico dei lavoratori”. La seconda questione è che la maggior parte dei partecipanti (e ricordiamo che nel campione di operai intervistati, tanti erano anche RSU della FIOM) a precisa domanda non si schieravano apertamente contro il governo, ma auspicavano che questo facesse di più, che mantenesse le promesse favorevoli alla classe operaia fatte in campagna elettorale (in particolare sulle pensioni, sul ripristino dell’articolo 18 e sulla tutela dei posti di lavoro e dell’apparato produttivo del nostro paese). Abbiamo parlato con operai simpatizzanti o elettori del Movimento 5 Stelle, altri che erano invece della Lega e altri vicini ai vari partiti della sinistra o con la falce e il martello nel cuore: la volontà comune era comunque quella di non tornare indietro ai governi che hanno smantellato tutto lo smantellabile per quanto riguarda i diritti e le conquiste delle masse popolari. L’esito di questo sciopero dimostra il flop dell’operazione delle Larghe Intese, che speravano di recuperare attraverso i loro organismi di massa principali almeno una parte del consenso perduto nel campo della classe operaia. Contemporaneamente dimostra che l’attuale governo continua a restare seduto sopra un barile di polvere da sparo, che il credito e il sostegno che ancora ha nel campo delle masse popolari è strettamente legato a quanto mantiene o meno le promesse con le quali ha raccolto i voti. Alla luce di questo è possibile comprendere perché il Partito dei CARC ha dato indicazione di promuovere la partecipazione massiccia e critica allo sciopero: va sostenuto e alimentato ogni focolaio di mobilitazione che mette in moto le masse popolari, che ha in sé le potenzialità di acuire le contraddizioni sfuggendo al controllo dei suoi stessi promotori, che allarga la breccia apertasi nel sistema di potere delle Larghe Intese con le elezioni del 4 marzo 2018.
Questo governo provvisorio e di compromesso è stretto in una morsa: non può fare a meno di essere qualcosa di diverso dai governi precedenti, ma non ha gli strumenti né la volontà politica per rompere risolutamente con i cosiddetti “poteri forti”, italiani e stranieri. La guerra per bande che dilania il fronte della classe dominante (vedi L’alternativa al governo M5S-Lega… a pag.1) non permette la caduta di questo governo, perché i vertici della Repubblica Pontificia non hanno pronta una soluzione di ricambio possibile: l’esito dello sciopero del 14 non fa che confermare questa realtà. Allo stesso tempo, la crisi generale non concede tregua e la situazione procede sempre più speditamente verso una diffusa ingovernabilità, già evidente da tempo nel campo della classe dominante e sempre più palese anche nel campo delle masse popolari, che sono sempre più spinte a organizzarsi per fare fronte agli effetti della crisi.