Una lettera di un nostro simpatizzante rispetto al dibattito sul salario minimo.
“Cari compagni dell’Agenzia Stampa del P. CARC, da settimane si discute, a seguito della proposta di legge incentivata dal M5S, sull’istituzione di una legge che stabilisca un salario minimo a 9 euro lordi l’ora. Contro questa misura, attualmente al vaglio del Senato, si sono rispettivamente scagliati i partiti delle Larghe Intese (PD e FI e affini), Confindustria e le associazioni padronali e i sindacati di regime (CGIL, CISL, UIL). I motivi sono tra i più svariati: dalla paura che i padroni siano costretti a pagare “troppo” una manodopera che serve sempre di più a costo zero (e giù di minacce di delocalizzazioni e catastrofismi di vario genere, come se i padroni non delocalizzassero già), alla “crisi di rappresentanza” paventata dai sindacati di regime. Effettivamente, il salario minimo sarebbe una sciagura per chi ha fatto della contrattazione (e non della difesa dei lavoratori) il suo senso di esistere, poco importa se questa contrattazione è al ribasso da decenni. Allo stesso tempo partiti dei padroni e padroni ritengono anch’essi una sciagura l’istituzione di un salario minimo: per loro un operaio guadagnerà sempre troppo rispetto a quanto profitto vorrebbero estrarre la lavoro ogni singolo individuo che impiegano in produzione. Ma questo mio contributo non vuole essere una difesa a spada tratta del salario minimo (anche perchè non è ancora in vigore nulla), nel senso in cui viene proposto dal M5S, e nemmeno “in generale”. Vi spiego perché.
Prendendo spunto dal comunicato del (n)PCI sul Reddito di Cittadinanza, uno degli elementi generali che emerge dall’azione del Governo M5S-Lega è che ogni misura che tentano di mettere in campo che vada negli interessi delle masse popolari, seppur “disposta in legge”, è transitoria e velleitaria. Misure favorevoli come il Reddito di Cittadinanza, il Decreto Dignità, Quota 100, il Salario Minimo ecc. sono misure che seppur positive nelle intenzioni e negli effetti immediati, nella loro attuazione pratica incontrano un ordine di problema ineludibile: la società gestita dai capitalisti.
Per quanto un governo, di qualsiasi estrazione, voglia almeno in parte concedere qualcosa alle masse popolari, è costretto in ogni modo a doverci fare i conti: esempio palese è la notizia del ricatto occupazionale che Arcelor Mittal, proprietaria dell’ILVA di Taranto, sta promuovendo per ottenere l’immunità penale, ossia la possibilità di continuare a inquinare e ammazzare migliaia di famiglie senza il rischio di essere puniti dalla legge italiana.
Se è pur vero che i capitalisti, gli affaristi, le organizzazioni criminali e le istituzioni della Comunità Internazionale si oppongono (e si opporranno) in ogni modo a tutte le misure favorevoli alle masse, la “semplice” promessa o proposta di legge di misure come il salario minimo generano sommovimenti per noi positivi. In questo senso, l’introduzione del salario minimo avrà, in positivo, l’effetto benefico di alimentare e rafforzare la lotta per condizioni contrattuali migliori da parte di quelle categorie di lavoratori che oggi subiscono infami condizioni salariali (logistica, pulizie, stagionali, riders ecc.) dando forza alle numerose vertenze in corso oltre che dare la possibilità a tutto coloro che “ingoiano” queste condizioni di ribellarsi. In negativo, al tempo stesso, alimenterà quella schiera di padroni nel più dispregiativo senso del termine che approfitterà della situazione da un lato per peggiorare le condizioni contrattuali di chi ancora ha delle garanzie dignitose (e su questo, la CGIL e i sindacati padronali tutti echeggiano scagliando anatemi contro il salario minimo, contrapponendo di fatto chi oggi gode di un CCNL dignitoso e chi no), dall’altro a favorire il lavoro nero. Il salario minimo quindi sarà una misura parziale che sarà sempre tenuta sotto il ricatto dei capitalisti se restiamo in una società in cui i capitalisti sono liberi di fare ciò che vogliono. Guardiamo al Decreto Dignità: se da un lato ha migliorato la situazione dei precari (costringendo il padrone ad assumere dopo due anni di lavoro a tempo determinato), dall’altro ha favorito che i padroni assumessero a nero o non assumessero per nulla dopo i due anni di precariato. Insomma, il problema di una misura giusta è che può essere efficace solo se ad attuarla è un governo che si fa forza sulla mobilitazione dei lavoratori per farla attuare: che mobiliti i lavoratori per denunciare il più possibile le situazioni di lavoro nero, per riaprire le aziende che i padroni chiudono per delocalizzarle, per far funzionare meglio le aziende in generale, per controllare le condizioni di lavoro (sicurezza, salute ecc.) nei reparti, ecc. Senza mobilitazione dei lavoratori, non c’è misura favorevole che tenga. Per quanto riguarda gli appigli che questa misura creerebbe per l’intervento dei comunisti dobbiamo tener conto che:
– il governo M5S-Lega non ha ancora abolito il Jobs Act: l’istituzione del salario minimo è un appiglio per avanzare nella lotta per l’abolizione del Jobs Act e per il ripristino dell’Articolo 18;
– sono centinaia di migliaia i lavoratori che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora (regolari e non) e che si attiverebbero per ottenere la regolarizzazione della propria situazione, che prenderebbero forza dalla sola possibilità di ottenere migliori condizioni: vedi gli esempi di disoccupati (Napoli, Milano, Palermo, Piombino ecc.) che hanno iniziato a chiedere il RdiC per i lavori di pubblica necessità che hanno fatto o hanno intenzione di fare, per occuparsi della propria città;
– il salario minimo sarebbe una conquista per i lavoratori, dopo decenni di lotte “in difesa” (resistere alle riduzioni contrattuali, al peggioramento generale di condizioni di lavoro ecc.). Infonderà ancora più fiducia nei lavoratori sul fatto che è possibile cambiare il corso disastroso delle cose. Costringerà quindi ad uno schieramento sempre più netto dei sindacati (di regime e di base) e li costringe a mobilitarsi per affermare gli interessi della classe operaia: come risponderanno di fronte alla crescente mobilitazione dei lavoratori?
Tocca a noi comunisti lavorare, manovrare, intervenire tra la classe operaia per mobilitare gli Organismi Operai non solo ad affermare la necessità del salario minimo, ma a fare in modo che i padroni non trovino escamotage per sabotarlo o non applicarlo, ad agire da sprone e leva sui sindacati per costringerli allo schieramento, ad organizzarsi e coordinarsi tra Organismi Operai e Popolari affinchè questa misura sia estesa ai disoccupati, ai precari, a coloro che per forza di cose saranno esclusi: la battaglia vittoriosa dei 5 licenziati della FCA di Pomigliano (NA) per l’estensione del RdiC ai licenziati del 2018 dimostra che è possibile!
A pugno chiuso,
Francesco P.”