In questi giorni tanti, sia tra chi ha la falce e martello nel cuore, sia tra i politicanti e gli intellettuali della destra e della sinistra borghese, hanno celebrato il trentacinquesimo anniversario della morte di Enrico Berlinguer, avvenuta nel 1984 per un malore avvenuto durante un comizio a Padova in Piazza della Frutta.
Berlinguer era uno dei più autorevoli esponenti di quella schiera di giovani intellettuali di buona famiglia, spesso formatisi nelle scuole e nelle università fasciste, che aderirono al PCI alla fine della seconda guerra mondiale sull’onda della Resistenza condotta vittoriosamente contro il nazifascismo.
Grazie al legame con l’URSS di Stalin e al lavoro di mobilitazione e organizzazione svolto nella clandestinità e culminato con la costituzione del CLN il PCI riuscì a costruire un vero e proprio sistema di potere organizzato della classe operaia e delle masse popolari e divenne così il punto di riferimento per tutti coloro che volevano lottare contro il fascismo.
I limiti di assimilazione della concezione comunista del mondo da parte del PCI, attinenti in particolare all’incomprensione della natura e della causa della crisi generale del capitalismo, della forma della rivoluzione socialista e della natura che deve avere il Partito Comunista, fecero sì che il Partito non fosse in grado di passare all’offensiva e di instaurare il socialismo nel nostro paese. La destra dunque si rafforzò e la cooptazione dei nuovi dirigenti sancì la rinuncia a promuovere la rivoluzione socialista e la linea della collaborazione con la DC e il Vaticano nel quadro della nascente Repubblica Pontificia, spacciata ai militanti come “via italiana al socialismo”.
Gli anni della segreteria di Berlinguer (1972-’84) coincisero grossomodo con l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e con l’inizio della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. In quel periodo il PCI divenne il capofila dei revisionisti moderni all’interno dei paesi imperialisti facendosi promotore, insieme al Partito Comunista Spagnolo di Santiago Carrillo e al Partito Comunista Francese di Marchais, dell’eurocomunismo.
Inoltre, man mano che la crisi economica e politica si aggravava, il PCI contribuiva ad aprire la stagione dell’attacco alle conquiste delle masse popolari (si veda il discorso di Lama all’EUR) e delle Larghe Intese (compromesso storico, solidarietà nazionale) funzionali a distruggere il più importante tentativo di ricostruire un Partito Comunista rivoluzionario nel nostro paese (le Brigate Rosse).
Infine, con l’individuazione della “questione morale” come questione politica principale per i comunisti in luogo della lotta di classe (intervista a Scalfari), Berlinguer avvia ufficialmente la trasformazione del PCI in un partito della sinistra borghese, culminata con la “Svolta della Bolognina” di Occhetto (1989 -’91).
Gli eredi di Berlinguer sono coloro che hanno governato tramite le Larghe Intese tra “centro-destra” e “centro-sinistra” fino a quando le masse popolari non li hanno estromessi dal governo con voto del 4 marzo 2018 e la costituzione del governo M5S-Lega. I loro governi hanno sottomesso sempre più il nostro paese ai gruppi imperialisti americani, europei e sionisti, liquidando le conquiste delle masse popolari e alimentando la mobilitazione reazionaria (dalla riabilitazione dei “ragazzi di Salò” da parte di Violante fino alla persecuzione dei migranti da parte di Napolitano prima e Minniti poi). Tuttavia il ricordo di Berlinguer per molti è legato a quello della grandezza e della forza del vecchio PCI che con lui raggiunse il massimo storico sul piano elettorale. È facendo leva su questo sentimento, così come sullo sdegno delle masse popolari per la corruzione dilagante, che la borghesia e il suo clero si affannano a magnificare le doti umane e la dirittura morale del defunto (“Berlinguer era una brava persona…”), ad esaltare l’individuo o la persona.
In effetti la borghesia e il clero non possono fare altro, sia per la loro concezione del mondo sia per l’esigenza che hanno di distrarre le masse dal fare un giusto bilancio storico del movimento comunista.
Ma noi comunisti giudichiamo un uomo dai risultati della sua azione, inseriamo questa nel contesto storico in cui si è esplicata e la usiamo per fare il bilancio della nostra storia e trarre insegnamenti per la nostra azione.
Oggi siamo ad una svolta storica. La crisi generale del capitalismo alimenta la resistenza delle masse popolari, allarga sempre più la breccia apertasi nel sistema politico col voto del 4 marzo e crea sempre più spazi per la rinascita del movimento comunista, come testimoniano anche i tanti voti presi alle elezioni europee dal Partito Comunista.
La vicenda di Berlinguer, e più in generale quella del vecchio PCI, insegna a tutti i comunisti e a tutti coloro che aspirano a ricostruire un grande e forte Partito Comunista: a) che il Partito Comunista diventa grande e forte se è in grado di dirigere la classe operaia e le masse popolari a costruire la rivoluzione socialista moltiplicando le organizzazioni operaie e popolari e facendole agire come una rete di Nuove Autorità Pubbliche in grado di instaurare il socialismo; b) che il Partito Comunista disperde gradualmente la sua forza se non la usa per condurre vittoriosamente la rivoluzione socialista, ma si infogna nell’elettoralismo e nell’economicismo come successo al vecchio PCI.
Facciamo dunque tesoro della nostra storia! Un esercito che impara dai propri errori è destinato a vincere! Imbocchiamo con decisione la strada della costruzione del Nuovo Potere che farà dell’Italia un nuovo paese socialista!