Per vincere ed essere veramente i continuatori dell’opera del vecchio movimento comunista, occorre essere innovatori e superare gli errori e i limiti che lo portarono alla sconfitta
Sul numero 5/2019 di Resistenza, nell’articolo di presentazione de “L’estremismo, malattia infantile del comunismo” di Lenin, abbiamo trattato della differenza fra comunisti di nuovo tipo e comunisti di vecchio tipo in un modo che qui riassumiamo nella differenza fra i comunisti che si uniscono e agiscono sulla base della concezione comunista del mondo (come strumento di analisi e guida per l’azione) e i comunisti che si uniscono e agiscono principalmente su base di appartenenza identitaria.
L’argomento è ampio e non si può esaurire in una formula, nella letteratura della Carovana del (nuovo)PCI vi è già dedicato molto spazio, in particolare su La Voce, e la Redazione ritiene opportuno trattarlo in profondità con una serie di articoli che saranno pubblicati in parallelo e in combinazione con gli articoli della rubrica di Storia del movimento comunista dedicati al Centenario della fondazione dell’Internazionale Comunista e del Biennio Rosso. Pubblicheremo quindi stralci di articoli già comparsi nella nostra letteratura, ma anche approfondimenti elaborati alla luce della situazione politica attuale, specifica, contingente poiché se è certamente vero che viviamo in una situazione rivoluzionaria (vedi Lenin, Il fallimento della Seconda Internazionale), è altrettanto vero che la rivoluzione socialista non scoppia, che il capitalismo da solo non crollerà e che l’instaurazione del socialismo non cade dal cielo. C’è bisogno dell’azione lucida, coerente, intraprendente dei comunisti che trasformano la resistenza spontanea delle masse popolari al procedere della crisi in mobilitazione rivoluzionaria, che promuovono l’organizzazione della classe operaia e delle masse popolari, che fomentano la loro partecipazione attiva alla trasformazione della società, che alimentano la costruzione del nuovo potere che soppianterà il vecchio potere della borghesia imperialista portando il movimento comunista a un punto finora mai raggiunto, l’instaurazione del socialismo in almeno un paese imperialista.
Questo schiuderà la strada alla seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale e aprirà una nuova fase per l’umanità.
Su questo numero pubblichiamo un’intervista che il cui principale obiettivo è mostrare il legame d’acciaio fra i comunisti che hanno diretto vittoriosamente la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e i comunisti che promuovono la seconda ondata, fra i comunisti che nel secolo scorso hanno diretto la rivoluzione socialista fino alla vittoria (in Russia come in Cina) e i comunisti che oggi non si limitano a ricordare i fasti di un passato glorioso, ma usano gli insegnamenti per portare un nuovo “assalto al cielo”. Ma questa intervista ha anche un altro obiettivo più particolare: offrire un orientamento “da comunisti” rispetto alle tante contraddizioni che la fase terminale della crisi ci pone di fronte.
L’URSS di Lenin e Stalin, l’Internazionale Comunista e i partiti comunisti sorti in tutti i paesi su loro impulso hanno cambiato la storia dell’umanità. Il (n)PCI raccoglie questa eredità ma afferma che per fare dell’Italia un nuovo paese socialista bisogna fare alcune innovazioni sul piano teorico. Molti compagni quando sentono parlare di “innovazioni” sono diffidenti, dati i numerosi fautori del “superamento del marxismo”… puoi fare chiarezza su questo punto?
La Rivoluzione d’Ottobre (1917) mostrò che la rivoluzione socialista era possibile, che il proletariato poteva prendere il potere. Fu un avvenimento senza precedenti, che scosse tutto il movimento socialista e operaio e tutti i movimenti che nei paesi oppressi (colonie e semi-colonie) lottavano per la liberazione nazionale. Mao ha ben sintetizzato questa spinta proclamando: “I cannoni dell’Aurora hanno risvegliato la Cina!”. Vincere era possibile!
L’URSS di Lenin e Stalin fu la base rossa della rivoluzione proletaria mondiale: attraverso la sua opera e quella dell’Internazionale Comunista sostenne la nascita di partiti comunisti in tutto il mondo, lo sviluppo del movimento comunista e la rivoluzione socialista in tutti i paesi.
L’Internazionale al suo IV congresso (1922) contava ben 58 partiti comunisti. Alla fine del 1950 i partiti comunisti operavano in 81 paesi del mondo, con più di 25 milioni di membri. Nel 1949 il campo socialista si estendeva dal Mar Adriatico al Mar Baltico fino all’Asia (Mongolia, Cina e Corea del Nord). Nei paesi socialisti vivevano oltre 700 milioni di persone, più di un terzo dell’umanità di allora. L’onda rivoluzionaria sollevata dall’URSS durò anche dopo e nonostante la svolta dei revisionisti moderni di Kruscev e dei suoi successori. Il socialismo venne instaurato in altri paesi (Vietnam, Laos, Cambogia, Cuba). Il sistema coloniale venne abbattuto e sorsero Stati indipendenti in Asia (India, Indonesia e altri), in Medio Oriente (Siria, Libano, Irak, Giordania), in Africa dal Nord (Egitto, Libia, Algeria, Tunisia, Sudan) e in tutta l’Africa subsahariana (le colonie francesi, inglesi (Zambia, Zimbabwe), portoghesi (Mozambico e Angola) e l’eroica lotta antiapartheid dell’Africa del Sud). Potente fu lo sviluppo del movimento comunista e antimperialista anche in Sud America fino al Guatemala di Arbenz, al Cile di Allende, al Nicaragua di Ortega e al Venezuela di Chavez.
Nei paesi imperialisti le masse popolari guidate dai partiti comunisti hanno abbattuto i regimi nazi-fascisti e successivamente con dure lotte strapparono alla borghesia imperialista una dopo l’altra diritti e conquiste di civiltà e benessere.
In sintesi: il movimento comunista, sorto come movimento cosciente e organizzato solo nel 1848 con Il Manifesto di Marx-Engels, è stato il protagonista assoluto del secolo scorso e con la sua azione ha cambiato la storia dell’umanità. Mai nessun movimento politico, religioso o di altro genere prima di esso (compresi il cristianesimo, l’Islam e le rivoluzioni promosse dalla borghesia nel 1600-1800) aveva avuto uno sviluppo così rapido e cambiato il mondo in così poco tempo e in modo così radicale.
Il patrimonio di esperienza accumulato è ricchissimo. Basta pensare alla varietà di paesi e di contesti in cui il movimento comunista si sperimentò nell’edificazione del socialismo e nella transizione dal capitalismo al comunismo; le diverse situazioni in cui ha operato (nei paesi imperialisti e nei paesi oppressi, in condizioni di guerra e di pace, sotto regimi dittatoriali e nelle democrazie borghesi, ecc.); le differenti forme di lotta che ha adottato (insurrezione, guerriglia, guerra popolare rivoluzionaria, fronti popolari, lavoro pubblico e lavoro clandestino, intervento alle elezioni o loro boicottaggio, lotte rivendicative, intervento nell’esercito nemico, ecc.). Tutto questo costituisce per noi un prezioso bagaglio di esperienza a cui attingere per la rinascita del movimento comunista e per la costruzione di nuovi paesi socialisti.
Il (n)PCI raccoglie questa eredità e fa suo questo patrimonio di esperienza rivoluzionaria, costruito grazie allo sforzo eroico di milioni di comunisti e di figli delle masse popolari che osarono dare l’assalto al cielo.
Siamo i continuatori della loro azione ma proprio per questo non sfuggiamo alle responsabilità che quel percorso ci pone davanti: perché nel nostro paese (come in tutti gli altri paesi imperialisti) il movimento comunista, nonostante tutta la sua forza, non è riuscito a instaurare il socialismo? Per portare a compimento l’opera lasciata incompiuta dei nostri predecessori dobbiamo tirare le dovute lezioni. Non basta “riprendere il cammino da dove si è interrotto”. Non basta la buona volontà o tornare ad abbracciare i principi del marxismo-leninismo. Occorre un salto di qualità. Le sconfitte mettono in luce che ciò che avevamo non bastava per vincere. Che non avevamo compreso adeguatamente la strada che dovevamo percorrere. Che non avevamo, quindi, la giusta strategia.
Per vincere ed essere veramente i continuatori dell’opera del vecchio movimento comunista, occorre essere innovatori e superare gli errori e i limiti che lo portarono alla sconfitta. “Un esercito che impara dalle sue sconfitte, è un esercito destinato a vincere!” (Mao Tse-tung).
Oggi nel movimento comunista italiano c’è la tendenza ad affermare l’importanza della strategia, senza però indicare quale strategia bisogna seguire. Manca uno studio e un dibattito serio sulla questione e si rinvia al futuro: la posizione diffusa è “prima costruiamo il partito, poi ragioneremo su che tipo di strategia adottare”. Puoi illustrarci quale è la strategia che il (n)PCI segue e le basi su cui essa poggia?
Nel secolo scorso i comunisti dei paesi imperialisti non si sono liberati dalla concezione sostanzialmente riformista che predominava nella II Internazionale socialista (1889-1914). In questi paesi vigeva un sistema politico democratico borghese: i capitalisti dominavano nell’economia e nelle istituzioni della società civile (culturali e altre), ma periodicamente una larga parte dei maschi adulti erano chiamati ad eleggere organi (i parlamenti) che avevano ruoli costituzionalmente definiti nelle attività dello Stato. Questo mascherava l’effettiva dittatura della borghesia sulla società.
Stante la situazione, occorreva uno sforzo particolare da parte dei partiti comunisti dei paesi imperialisti per liberarsi dalla concezione riformista ereditata dai partiti socialisti. Già Engels lo aveva intuito. Lenin e Stalin lo hanno detto chiaramente e fin dai primi congressi dell’Internazionale Comunista hanno chiamato i partiti comunisti dei paesi imperialisti a “bolscevizzarsi”. Ma invano.
La concezione del partito comunista diffusa nella sinistra del vecchio PCI (la parte più dedita al comunismo) e nella sinistra di tutti i partiti comunisti dei paesi imperialisti era la seguente: il partito comunista era un partito pubblico che propagandava il socialismo, promuoveva lotte rivendicative e partecipava alle elezioni accumulando per questa via forze, in attesa che la situazione economica, politica e sociale precipitasse e la rivolta delle masse si estendesse. Il partito ne avrebbe allora assunto la direzione guidando le masse alla presa del potere (concezione della “rivoluzione che scoppia”). La prova provata che questa concezione del partito e della rivoluzione socialista non era abbastanza avanzata è data dal fatto che i comunisti non riuscirono a instaurare il socialismo, nonostante le condizioni di miseria e guerra che nella prima metà del secolo la borghesia ha imposto alle masse dei paesi imperialisti.
Oggi nel nostro paese questa concezione continua ad esistere ed è diffusa tra quelli che si professano marxisti-leninisti, aspirano al socialismo ma non hanno tirato insegnamenti dalla sconfitta del vecchio PCI (ad esempio, il Partito Comunista di Marco Rizzo).
Una delle principali innovazioni che il (n)PCI ha portato nella concezione comunista riguarda la strategia da seguire nel nostro paese per arrivare a instaurare il socialismo. La rivoluzione socialista è la costruzione per tappe del nuovo potere (costituito dal partito e dalla rete capillare di organizzazioni operaie e popolari generate e non generate da esso, ma da esso orientate). Questo, giunto ad un certo grado del suo sviluppo, sostituirà (eliminerà) il vecchio potere della borghesia e instaurerà il socialismo. La rivoluzione socialista è quindi un processo che inizia con la fondazione del partito comunista. Solo con la concezione del “dualismo di potere” (lotta tra vecchio e nuovo potere) è possibile comprendere l’essenza della rivoluzione socialista, promuoverla e dirigerla.
Quindi è fuori strada chi afferma: “prima costruiamo il partito e rendiamolo grande e forte, poi penseremo alla strategia per la presa del potere”. Il tipo di partito comunista da costruire e il tipo di azione da svolgere, dipendono dalla strategia che il partito deve seguire. La “teoria dei due tempi” (prima facciamo il partito, poi ci occupiamo di strategia) non porta lontano: fa navigare a vista sulla base dei pregiudizi esistenti e conduce inevitabilmente a ripetere i vecchi errori.
Il carattere innovativo della strategia che seguiamo richiede di trovare soluzioni creative per superare i molti ostacoli che incontriamo sul nostro percorso. Il partito comunista per essere all’altezza del suo compito, deve essere innanzitutto una comunità scientifica che, libera dal controllo e dal ricatto degli apparati repressivi della borghesia imperialista, studia e analizza la situazione concreta alla luce della scienza elaborata da Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, traccia linee di intervento, le sperimenta nella pratica, tira il bilancio dell’esperienza ricavando insegnamenti e affinando, tappa dopo tappa, la propria comprensione della realtà e la propria “arte” nell’intervenire nella lotta di classe per costruire il nuovo potere.
Nel movimento comunista del nostro paese c’è un acceso dibattito sulla linea da seguire rispetto alle mobilitazioni promosse dai sindacati confederali e dal PD e all’intervento da fare sulle masse popolari mobilitate dalla Lega e dagli scimmiottatori del fascismo del XX secolo. Qual è l’orientamento che il (n)PCI sta seguendo in merito?
I comunisti devono intervenire ovunque ci sono le masse popolari, indipendentemente da chi le organizza, mobilita e orienta. Tra le masse popolari cresce giorno dopo giorno il malcontento per il corso delle cose determinato dalla borghesia e dai partiti delle Larghe Intese (PD e Partito di Berlusconi). Questo malcontento sempre più si trasforma in mobilitazione e assume forme organizzate. In alcuni casi assume la forma di movimenti popolari come il NO TAV o il NO TAP, in altri casi quella di comitati di lotta autorganizzati (di operai, disoccupati, occupanti casa, ecc.). In altri casi è invece orientato da organizzazioni di movimento (ad esempio l’ex OPG), da sindacati di base e alternativi, della sinistra borghese di vecchio tipo (PRC e affini) o dai sindacati confederali. In altri da esponenti del PD (che, nel disperato tentativo di recuperare seguito, mobilitano contro misure del governo M5S-Lega che sono in continuità con quanto da loro fatto negli ultimi quarant’anni), dalla Lega o addirittura dagli scimmiottatori del fascismo del XX secolo.
I comunisti devono intervenire in tutti gli ambiti dove ci sono le masse popolari e manovrare per orientarle, distinguendo le contraddizioni in seno al popolo da quelle tra masse popolari e borghesia (tra oppressi e oppressori). I comunisti non devono aver timore di “sporcarsi le mani” e di intervenire in mobilitazioni promosse dalla sinistra borghese, dai sindacati confederali, dal PD, dalla Lega o da Casa Pound. Così facendo non “portiamo l’acqua al loro mulino”, ma operiamo per non lasciare a loro la direzione delle masse popolari che oggi orientano e usiamo a questo fine la mobilitazione che loro stessi promuovono. Quando le masse popolari sono in moto, infatti, è più facile orientarle; quando le masse popolari lottano, è più facile “far venire i nodi al pettine” e portarle a capire, attraverso la loro esperienza pratica, chi sono gli amici e chi i nemici, conquistando via via gli elementi migliori.
Non dobbiamo aspettare che le masse popolari si stacchino da queste formazioni, ci diano ragione e vengano a noi. I comunisti per conquistare le masse, devono andare dove esse oggi sono e “contendere sul campo” la loro direzione a chi le orienta e guida. Non è detto che questi vadano sempre attaccati frontalmente. L’aspetto centrale è sostenere le rivendicazioni che le masse avanzano e orientarle su cosa fare per vincere la battaglia in corso: dato che queste rivendicazioni sono causate dal sistema economico vigente, lo sviluppo della lotta rivendicativa porterà le masse popolari allo scontro con la classe dominante e sarà questa l’esperienza concreta con cui strapperemo le masse dall’influenza del falsi “amici del popolo” e dei gruppi reazionari, se le avremo accompagnate in questo percorso.
Se estendiamo il campo del ragionamento, vediamo che le contraddizioni sono anche nelle Forze dell’Ordine e nelle Forze Armate della borghesia. La battaglia di Ilaria Cucchi per la “verità e la giustizia”, ad esempio, sta alimentando contraddizioni già esistenti dentro l’Arma dei Carabinieri, nel governo (le prese di posizione del Ministro Trenta e del presidente del Consiglio Conte rafforzano questa lotta) e sta mettendo in difficoltà i vertici dell’Arma: ora che il depistaggio è venuto fuori, cercano di “recuperare il recuperabile” e parlano di presentarsi come “parte lesa”. Un altro esempio è la lotta in corso nelle Forze Armate e nel governo per il Sindacato dei Militari: il riconoscimento del sindacato da parte del Ministro Trenta ha sollevato un “vespaio”. L’istituzione di questo sindacato è indicativo delle contraddizioni esistenti dentro le Forze Armate: non sono un “blocco unico”, lo spirito di corpo non cancella le contraddizioni di classe che anche all’interno del corpo ci sono, ad esempio tra alti graduati e soldati semplici.
Tutto questo indica, conferma quanto in realtà la situazione è propizia per l’azione dei comunisti.
Concludendo, qual è l’aspetto centrale del lavoro che i comunisti devono svolgere nel nostro paese in questa fase per avanzare nella rinascita del movimento comunista?
La questione di fondo non è cosa fanno i partiti borghesi e i sindacati di regime. La questione decisiva è cosa noi comunisti dobbiamo portare a fare innanzitutto gli operai (i lavoratori delle aziende capitaliste) e i lavoratori delle aziende pubbliche per “scrivere la storia”, per prendere in mano le redini del paese, per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
Bisogna costruire collettivi di lavoratori, di cassintegrati e di disoccupati che prendono in mano la direzione della lotta contro la chiusura delle aziende e per un lavoro utile e dignitoso per tutti, che ragionano e agiscono come un vero e proprio “Stato Maggiore” nel condurre la lotta: analizzano la situazione, studiano le mosse della controparte, le contrastano e le ribaltano contro di essa, imparano via via ad anticipare le mosse della borghesia e a dettare essi il “ritmo delle danze”, scegliendo il terreno di lotta, mettendo in atto un susseguirsi di operazioni e mosse diversificate, articolate e incalzanti che via via ribaltano i rapporti di forza, aggregano altre persone alla lotta, fanno aumentare la fiducia nella vittoria della battaglia, estendono il campo delle alleanze, incalzano la controparte e la mettono alle strette, la fanno contorcere, la inducono a fare passi falsi, la obbligano a indietreggiare e a ingoiare misure che non vorrebbe (come ad esempio per un padrone rinunciare alla chiusura dell’azienda, assumere nuovi lavoratori, migliorare le condizioni di lavoro, il rispetto delle norme sulla sicurezza e sulla salvaguardia dell’ambiente, ecc).
Agendo in questo modo, anche le manovre dei sindacati di regime, dei politici locali, del prete, del comune, della regione e del governo diventano ingredienti da sfruttare a vantaggio della lotta specifica in corso, giocando sulle contraddizioni tra le parti, i contrasti elettorali, i tentativi dei vertici sindacali di recuperare terreno e “isolare le teste calde”, ecc. Tutte cose che se non abbiamo un nostro piano di guerra finiamo per subire. L’esito della lotta dipende quindi da chi “detta le danze” e le danze le detta chi prende l’iniziativa!
La lotta specifica deve saldarsi con quanto avviene nel territorio in cui si sviluppa, con la resistenza che le masse popolari oppongono contro il programma di lacrime e sangue della borghesia e dei suoi partiti (smantellamento sanità, scuola e trasporti pubblici, devastazione dell’ambiente, ecc.): deve alimentarla e a sua volta attingere sostegno e forza.
In questo senso l’opera di Camping CIG di Piombino è un’esperienza d’avanguardia, da far conoscere e da emulare. Il progetto per svolgere Lavori di Pubblica Necessità che servono per la collettività, sotto controllo operaio e popolare, è un esempio di cosa significa porsi nell’ottica di giocare d’attacco e di combinare la battaglia specifica con la lotta per il cambiamento del paese.
Per molti versi, Camping CIG sta svolgendo un’azione analoga a quella svolta, sul versante della lotta contro le grandi opere, dal Movimento NO TAV: oltre a contrastare le opere speculative si pone nell’ottica di individuare le misure che servono per le masse popolari e di mobilitarsi per la loro adozione.
Sono questi gli esempi concreti di quelle che indichiamo come Nuove Autorità Pubbliche che devono prendere in mano, passo dopo passo e battaglia dopo battaglia, le redini del paese e che rappresenteranno (come i soviet in URSS) le fondamenta del futuro Governo di Blocco Popolare e dello Stato socialista!