Le popolazioni terremotate manifestano a Roma per la ricostruzione, per il lavoro, per la trasparenza

Il tema della ricostruzione delle zone terremotate è troppo spesso silenziato dalle polemiche strumentali sugli immigrati, sull’immigrazione, sulla sicurezza che manca. Addirittura, la propaganda leghista era riuscita nei mesi scorsi ad alimentare la polemica sul fatto che “mentre gli italiani sono costretti nelle tende sotto la neve, agli immigrati è garantito vitto e alloggio”, sorvolando sul fatto che di “italiani nelle tende” non ce ne sono più, ma soprattutto sul fatto che la Lega è al governo e deve risolvere i problemi anziché denunciarli o inventarli di sana pianta.

Per rompere la cappa di silenzio e speculazione politica, il 18 maggio scorso i comitati popolari delle zone distrutte dal terremoto in Centro Italia, in particolare quello dell’agosto 2016, hanno organizzato una manifestazione a Roma. Al grido di “non ci sono governi amici” e ricordando gli impegni presi – e disattesi – per la ricostruzione da parte del governo M5S-Lega, alcune migliaia di persone si sono radunate a Montecitorio con parole d’ordine semplici e chiare:

“C’è una parte dell’Italia dove il tempo si è fermato – hanno scritto nell’appello di convocazione della manifestazione – Nel cuore dell’Appenino la ferita del sisma è ancora aperta. Il centro Italia colpito dal terremoto continua a morire lentamente giorno dopo giorno da ben due anni e mezzo, perché chi aveva un lavoro non lo ha più e ci sono migliaia di posti di lavoro, aziende artigiane, agricole, commercianti, costretti a chiudere”. Pertanto, rivendicano “una ricostruzione veloce, partecipata, democratica; misure urgenti per il lavoro, il reddito e la dignità dei terremotati; la trasparenza nella gestione dei fondi pubblici”.

Le zone distrutte e ancora abbandonate, le popolazioni sfollate e deportate, le famiglie installate nelle “casette” che sono già fatiscenti sono il convitato di pietra di ogni discussione sulla “ripresa”, sul “cambiamento”, sulla “salvaguardia, salvezza e ricostruzione del paese”. Sono la condanna dei politicanti e dei parolai, sono la dimostrazione della necessità e della possibilità di un grande piano che permetta di creare subito migliaia di posti di lavoro.

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