Per un ragionamento su Salvini e sulla Lega, all’indomani dell’apertura del processo che vede 9 attivisti dei movimenti napoletani imputati per i fatti dell’11 marzo 2017, quando respingemmo la provocazione dell’attuale Ministro degli Interni in visita a Napoli, quando c’eravamo tutti. Non folklore contro folklore, ma questione di interessi contrapposti.
L’esposizione mediatica di Salvini rientra in vari modi in quella campagna di intossicazione dell’opinione pubblica finalizzata a sviare l’attenzione delle masse popolari su problemi e questioni secondarie (quando non inventate), presentandole come principali. Il populismo di Salvini ha come referenti operai, lavoratori classi popolari in genere e, benché la Lega sia ben lontana dai “fasti” di 20 anni fa, di certo, oggi – le elezioni europee 2019 insegnano – fa presa su una parte di loro. Questo non perché chi subisce il fascino del populismo leghista sia stupido, ma perché spesso non vede un’alternativa: o quella spazzatura o le litanie trite e ritrite della sinistra borghese, se non la propaganda patriottarda e padronale del PD.
Si tratta, allora, di mettere al centro la lotta di classe e di farla valere, di partire dalla pratica, dai fatti, non dalle opinioni. Di contro, lo specifico lavoro che la classe dominante fa per staccare l’esperienza pratica delle masse popolari dalle opinioni, giacché queste sono facilmente manipolabili. È la prova dei fatti che trasforma il presenzialismo di Salvini, le sue provocazioni, i suoi “ragionamenti” e le sue “soluzioni” per quello che sono: spazzatura, “monnezza”. È la prova dei fatti che alimenta, infatti, la comprensione di quali siano gli interessi reali degli operai, dei lavoratori, delle masse popolari, partendo dalla loro origine di classe. Sulla base di questa origine di classe ed in osservanza agli interessi reali degli operai, dei lavoratori, della masse popolari che quell’11 marzo 2017 ci organizzammo e ci mobilitammo per respingere Salvini e i suoi amici e fronteggiare l’imponente schieramento di forze dell’ordine che lo protessero! Più di diecimila in piazza. Organizzazioni operaie e popolari, movimenti, comitati e collettivi, partiti e sindacati, singoli cittadini. Masse popolari che hanno rivendicato orgoglio antifascista e dignità, contrariamente alle facili etichette e i cliché sui quali Salvini ha costruito parte del suo consenso. Non una contrapposizione meramente “geografica” (Sud contro Nord), però, rispondendo con folklore al folklore della Lega, ma una questione di classe, per stanare Salvini e la sua retorica che tanto fa leva sull’insicurezza sociale diffusa in un Paese in crisi. Le invettive contro politicanti e “i partiti dei poteri forti” di cui Salvini dice, infatti, nascondono che la Lega è al governo del Paese non dal 4 marzo 2018, ma da 20 anni. Al grido di “Roma ladrona”, Salvini e i suoi hanno partecipato direttamente o retto il sacco e chiuso gli occhi davanti al malaffare, alle speculazioni e alle lottizzazioni. Il cortocircuito fra gli slogan su secessione e autonomia e la realtà è evidente: MOSE a Venezia, TAV in Val Susa, EXPO a Milano, TAP in Salento, MUOS a Niscemi. Di fronte a mazzette e favori, i capi della Lega, se e dove non sono implicati direttamente, fanno gli gnorri. Del resto, anche il sistema di finanziamento della Lega ricalca quello di altri grandi trafficanti e non sono bastate le inchieste che hanno decimato la Lega di Bossi per cambiare registro: rapporti fra la Lega di Maroni prima e Salvini poi e faccendieri come Orsi, ex Amministratore Delegato di Finmeccanica, sono al vaglio dei tribunali. Nel frattempo, i tribunali processano noi. Devastazione e saccheggio per 9 attivisti sociali che, insieme ad altre diecimila persone, mostrarono il volto delle masse popolari di una città ostile alle provocazioni di Salvini, la fierezza di una città medaglia d’oro alla Resistenza antifascista, l’ostinazione del suo essere ancora oggi resistente alle derive reazionarie, razziste e xenofobe che la Lega porta con sé.
“Prima gli italiani!”, dice infatti la Lega. A parte qualche provocazione propagandistica, lo slogan meno riuscito di sempre è proprio quello che la Lega ha copiato dai fascisti. È il meno riuscito perché oltre ad essere uno slogan, dovrebbe provare ad attuarlo a partire dalla questione centrale: il lavoro. Crediamo forse che dove la Lega amministra (non solo il comune sperduto nelle Alpi, ma le Regioni Lombardia e Veneto, ad esempio) uno slogan tanto stupido abbia avuto un seguito? E come? Cosa hanno fatto per difendere i posti di lavoro, anche solo “degli italiani”, ma comunque degli operai? L’aumento della disoccupazione e la chiusura di un’infinità di aziende anche in queste regioni la dice lunga sul ruolo degli amministratori leghisti. In Lombardia, la “locomotiva d’Italia”, il tasso di disoccupazione è passato dal 3,4% del 2007 all’8% del 2014 ed è in crescita progressiva, Dati quasi identici li vediamo in Veneto. La percentuale tanto non cresce esponenzialmente solo perché migliaia e migliaia di lavoratori immigrati vengono inseriti in produzione a basso costo e fanno statistica. Ebbene, quegli immigrati che non fanno franare del tutto il tessuto produttivo del Triveneto, ad esempio, sono o non sono una risorsa? Tace, la Lega. Tace Andrea Gibelli, fin dai tempi delle giunte Formigoni vicepresidente lombardo con delega alle attività produttive (industria, artigianato, servizi, edilizia). Tace Salvini.
Tacciono sulla vicenda delle case popolari: perché, evidentemente, “prima gli italiani” vale solo per i manager immotivatamente assunti da ALER (l’azienda che gestisce il patrimonio immobiliare pubblico, le case popolari) e immotivatamente pagati svariati milioni di euro, tanto da decretarne, in pochi anni, la bancarotta, dato che l’azienda, gestita dalla Lega attraverso la Regione Lombardia, sfratta regolarmente, sgombera e butta in strada allo stesso modo centinaia di famiglie, italiane e immigrate.
Tace sui rapporti con il Vaticano. Altro che “Roma ladrona!”, visto il sacco costante che il Vaticano esercita ai danni della casse pubbliche fin dal tempo dell’Unità d’Italia. Questo, però, non è uno slogan, ma un dato di fatto! Dai finanziamenti alle scuole e alle cliniche private in mano al clero fino alla partecipazione diretta di Salvini e Maroni al convegno omofobo, qualche tempo fa, dal titolo Difendere la famiglia per difendere la comunità, organizzato da Alleanza Cristiana e Obiettivo Chaire (una di quelle associazioni che ha fra i suoi obiettivi quello di “guarire” con la preghiera gli omosessuali).
Allora, oltre ad averlo respinto quell’11 marzo e riprometterci di farlo ovunque, sfidiamolo, questo Salvini! Facciamolo ancora e ancora. Fabbrica per fabbrica, scuola per scuola, territorio per territorio, strada per strada. Faciamolo finanche dalle aule di tribunale, mettendo sotto accusa chi ci accusa, rovesciandone il tavolo.
Oggi la brace cova ovunque sotto la cenere: le masse popolari ovunque cercano di far fronte al degrado creato dalla borghesia imperialista, di resistere, di non essere travolte e la loro combattività cresce man mano. In alcuni casi questa resistenza ha maturato già forma organizzata (comitati, associazioni, sindacati, reti sociali, ecc.) e, in altre, l’organizzazione ancora non prende forma solo perché manca chi si pone alla testa della sua promozione. A noi, ai comunisti, il compito di orientare e dirigere la resistenza spontanea delle masse popolari al procedere della crisi generale del capitalismo. Far fare loro esperienza di organizzazione e coordinamento affiché quella resisteza cresca e si sviluppi. Perchè, il nostro, complessivamente, è un Paese che resiste! Finanche l’esito delle Europee 2019, con buona pace dei “frignoni” della sinistra borghese, lo hanno confermato: le masse popolari non hanno più fiducia nei partiti che hanno governato il paese negli utlimi 40 anni (negli ultimi 20, il Partito Democratico e Forza Italia e i loro accoliti) attuando lo stesso programma, il programma di “lacrime e sangue” per le masse popolari della borghesia imperialista. Hanno votato a destra, è vero, ma la Lega di Salvini farà la stessa fine del PD di Renzi, perché non potrà attuare le sue promesse elettorali e il M5S altrettanto, se continuerà a subirne il ricatto. Chi vuole porre fine all’attuale corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista deve uscire dalla trincea, passare dalla difesa all’attacco, diventare promotore dell’organizzazione delle masse popolari.
Chi vuole porre fine all’attuale corso delle cose non si difende da Salvini, non lo teme, non si ferma alla sola denuncia del cattivo presente: lavora e si organizza, invece, per rovesciarne il tavolo e l’agenda politica: perché Salvini non mobilita subito i governatori leghisti con tutti i loro sindaci ad attuare i provvedimenti che ritengono così urgenti, come l’annunciata violazione del Patto di Stabilità, affinché usino le risorse per il lavoro, la sanità, la piccola e media impresa, l’allargamento della platea degli aventi diritto al Reddito di Cittadinanza? Perché Salvini e la Lega non dispongono, come pure potrebbero, il taglio delle tasse a livello locale, rifiutandosi di tutelare il debito contratto dai Comuni con quei grandi gruppi finanziari e bancari che proprio Salvini e la Lega dicono di voler contrastare? Perché i ministri del governo italiano nel Consiglio Europeo non puntano i piedi per rompere tutti quegli accordi che danneggiano la condizione di vita e di lavoro delle masse popolari italiane di cui Salvini e la Lega dicono di rappresentare gli interessi? Salvini ha forse paura di scontentare i burattinai che tirano i fili suoi e del suo partito? I suoi finanziatori? I gruppi di potere cui risponde? Probabilmente sì. Ecco perché non lo farà.
Ma a Napoli, con buona pace del luogo comune lombrosiano e razzista che Salvini e la Lega diffondono, i “teatrini” non ci piacciono. E per arrivare a chieder conto ai burattinai, quell’11 marzo scassammo le marionette. Quell’11 marzo, quando c’eravamo tutti.
Igor Papaleo