Il partito comunista, la classe operaia e il reddito di cittadinanza.

Il 18 maggio si è svolta a Pomigliano un’assemblea pubblica organizzata dal SI COBAS dai cinque licenziati e cassintegrati FCA per dare continuità all’iniziativa di aprile sul Reddito di Cittadinanza e alla parziale vittoria ottenuta (incontro con il commissario dell’INPS Pasquale Tridico, impegno del governo ad estendere il sussidio ai disoccupati e licenziati in gran parte esclusi in virtù dell’aggancio dei criteri di accesso all’ISEE del 2017) costituendo un comitato di lotta per il Reddito di Cittadinanza.

Si tratta di un risultato importante che conferma la tendenza ad allargare sempre di più la breccia apertasi con il voto del 4 marzo. La breccia è il distacco non più recuperabile tra le masse popolari e i partiti delle Larghe Intese, fautori del programma di lacrime e sangue della borghesia imperialista, distacco ancora più marcato dopo le elezioni del 26 maggio scorso, di cui parla il Comunicato del (n)PCI n.10 (in http://www.nuovopci.it/voce/comunicati/com2019/com10-19/Com.CC-10-2019_Su_risultati_elez_europee.html). Il Comunicato dice:

Ogni lotta concreta e particolare deve saldarsi con quanto avviene nel territorio in cui si sviluppa, attingere a sua volta sostegno e forza da esso, alimentare la resistenza che le masse popolari oppongono al programma di lacrime e sangue della borghesia e dei suoi partiti: smantellamento sanità, scuola e trasporti pubblici, assenza di lavori di manutenzione delle infrastrutture, devastazione dell’ambiente, pignoramenti e sfratti, diffusione dell’emarginazione e del degrado a causa dell’assenza di un lavoro utile e dignitoso per tutti, ecc. 

La brace cova ovunque sotto la cenere: le masse popolari ovunque cercano di far fronte al degrado creato dalla borghesia imperialista, di resistere, di non essere travolte e la loro combattività cresce man mano che per propria esperienza si rendono conto che il partito comunista indica la direzione giusta. In alcuni casi questa resistenza ha acquistato già forma organizzata (comitati, associazioni, sindacati, reti, ecc.) e in altre l’organizzazione ancora non prende forma solo perché manca chi si pone alla testa della sua promozione. Il nostro è un paese che resiste: altro che masse popolari pecorone! Anche l’esito delle elezioni del 4 marzo 2018 e del 26 maggio 2019 lo hanno confermato: le masse popolari non hanno più fiducia nei partiti delle Larghe Intese che per quarant’anni hanno governato il nostro paese (il Partito Democratico e il Partito di Berlusconi) attuando lo stesso programma, il programma di lacrime e sangue della borghesia imperialista. La Lega di Matteo Salvini farà la stessa fine del PD di Matteo Renzi e il M5S con essa se ne subisce il ricatto. Chi vuole porre fine all’attuale corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista, e in particolare nelle file del M5S molti sono i compagni che sinceramente lo vogliono, devono diventare promotori dell’organizzazione delle masse popolari.

La mobilitazione spontanea della masse popolari quindi è grande, e la loro resistenza si articola in molti modi e su tutti i piani. Una delle forme più avanzate è questa del Comitato per il Reddito di Cittadinanza sorto a Pomigliano, in un luogo che è centro della lotta tra la classe operaia e la borghesia imperialista dall’inizio di questo decennio. La domanda è: la mobilitazione spontanea delle masse popolari e l’organizzazione degli operai nelle lotte rivendicative bastano a se stesse, oppure è loro necessario il partito comunista? Di questo si è parlato nell’assemblea di Pomigliano.

Il responsabile provinciale del SI COBAS di Milano parlando delle lotte dei cinque licenziati FCA e di quelle della logistica condotte dal suo sindacato, ha invitato gli operai e i lavoratori a “prendere le distanze dalla politica” che li avrebbe traditi e ad “affidarsi solo alla lotta, perché solo la lotta paga”. Altri sono intervenuti per contraddirlo e per dire che per la classe operaia il partito è necessario.

Cento anni fa gli operai della Fiat di Torino furono protagonisti di un ciclo di lotte che è rimasto nella storia del paese. Nel maggio di cento anni fa  Antonio Gramsci diede il via a Torino alla rivista L’Ordine nuovo, che era scritto per quegli operai, che a loro volta furono una delle sue fonti di insegnamento e di indirizzo. Molti anni più tardi, infatti, avrebbe scritto: “ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale. Mi sono appassionato così alla vita, per la lotta, per la classe operaia”.

L’altra fonte di insegnamento per Gramsci fu la Rivoluzione d’Ottobre. Da quella rivoluzione e dal contatto con gli operai torinesi imparò a vedere nell’organizzazione della classe operaia dentro e fuori l’azienda, a prescindere dalle sigle e dalle burocrazie sindacali, l’ossatura della nuova società socialista, il corrispettivo in Italia dei soviet russi. La rivista fu lo strumento con cui Gramsci intese elaborare quell’ossatura.

Gli scopi del periodico furono alimentare la discussione interna al PSI sulla forma che doveva assumere l’organizzazione rivoluzionaria della classe operaia e indicare agli operai la via dell’autorganizzazione e del controllo diretto delle fabbriche, superando le vecchie commissioni interne legate ai vertici sindacali. Gramsci e il gruppo de L’Ordine Nuovoindividuarono nei consigli di fabbrica il fondamento per costruire la nuova società socialista e con il lavoro di propaganda e organizzazione promosso anche tramite il periodico riuscirono a radicare profondamente i consigli nella classe operaia, tanto da arrivare a mettere sotto controllo operaio molte delle principali fabbriche dell’Italia centro – settentrionale, seminando nella borghesia il terrore di una rivoluzione imminente.

Tuttavia l’enorme mobilitazione messa in campo non bastò a condurre vittoriosamente la rivoluzione socialista e ad evitare che la borghesia ricorresse alla mobilitazione reazionaria instaurando il fascismo quale proprio regime terroristico. Solo dopo aver studiato e assimilato a fondo il marxismo –  leninismo, prima in URSS e poi in carcere, Gramsci comprese che il motore della rivoluzione socialista, l’elemento decisivo per assicurare la sua vittoria, non è e non può essere il Consiglio di Fabbrica ma è il Partito Comunista. Al termine del Biennio Rosso infatti fu costituito il primo Partito comunista italiano che fu il protagonista della lotta di classe e della storia del nostra paese per tutto lo scorso secolo. Non riuscì a conquistare il potere e a fare dell’Italia un paese socialista, e dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale finì sotto la direzione dei revisionisti, che lo costrinsero sempre di più nell’orbita della borghesia imperialista e che tradirono la classe operaia, ma il fatto che il partito degenerò non significa che la classe operaia non ha bisogno del partito! Se l’aria è inquinata non per questo diciamo che non abbiamo bisogno d’aria! Abbiamo bisogno d’aria purificata a nuova! Nel campo della lotta di classe, questo significa che la classe operaia ha bisogno di un partito comunista nuovo, libero dai limiti che hanno impedito la crescita del primo PCI, capace di prevenire “fattori inquinanti” di ogni genere, elementi che in buona o cattiva fede conducono la classe alla sconfitta, e soprattutto capace di tracciare la linea di costruzione della rivoluzione socialista fino alla vittoria.

Alla costruzione di questo partito si è dedicata un’area di compagni via via più vasta e solida nel corso degli ultimi 40 anni. Questa area è la carovana del (nuovo)PCI, e il Partito dei CARC ne è parte. Noi, Partito dei CARC, invitiamo tutti gli operai avanzati e tutti gli elementi avanzati delle masse popolari a prendere esempio dalla combattività e dalla tenacia dei licenziati FCA così come da quello dei Consigli di Fabbrica di cui si tratta nelle pagine de “L’Ordine Nuovo”. Allo stesso tempo invitiamo ad imparare dall’esperienza del Biennio Rosso, di cui quest’anno ricorre il centenario. Essa conferma che la resistenza delle masse popolari per far fronte alla crisi può svilupparsi oltre un certo limite solo se diretta da un partito comunista all’altezza del suo compito di Stato Maggiore, in grado di inserire ogni lotta e ogni mobilitazione in un piano di guerra per la conquista passo dopo passo del potere.

In questa direzione va l’appello promosso dal Partito dei CARC a fare della lotta per il riconoscimento ai cinque licenziati del Reddito di Cittadinanza un primo momento della lotta

– per abolire dal dispositivo di legge le misure che ne escludono l’erogazione ad altri proletari poveri;

– per equipararlo al massimale del contratto di settore in cui i percettori di Reddito verranno inquadrati;

– per individuare e moltiplicare i lavori di pubblica utilità, invece di limitarli a quelli strettamente necessari per tenere i percettori di Reddito “sotto controllo”;

– per sviluppare controllo popolare da parte delle organizzazioni operaie e popolari su apparati ed enti burocratici di Stato (Ministeri, INPS, Regioni, Amministrazioni, ecc.) quanto all’erogazione del Reddito; contro la corruzione e il clientelismo; perché siano le stesse organizzazioni operaie e popolari a indicare quali siano i lavori di pubblica utilità che servono al territorio e in base ai quali organizzare e coordinare altri disoccupati e precari.

  Partito dei CARC – Commissione Gramsci

29 maggio 2019

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