A fine aprile le cronache hanno portato alla luce un altro caso di abuso ai danni di una donna. Una 36enne che in provincia di Viterbo è stata indotta ad ubriacarsi e che dopo aver opposto resistenza alle molestie subite è stata colpita con calci e pugni e violentata da due militanti di CasaPound. La vicenda ha destato particolare indignazione perché oltre ad essere giovani uomini, gli stupratori erano un consigliere comunale di Vallerano (VT) e un militante entrambi di estrema destra ma che, dopo essere stati arrestati per violenza sessuale di gruppo, sono stati espulsi dal partito (https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/29/viterbo-arrestati-consigliere-comunale-e-militante-di-casapound-per-violenza-sessuale-di-gruppo-su-36enne/5141316/). La notizia ha riacceso i riflettori sulla violenza di genere e quindi sui numerosi casi di stupro che periodicamente si verificano ai danni di madri, mogli, sorelle, figlie e anche compagne di lotta.
Nella nostra letteratura abbiamo affermato spesso, e l’esperienza del movimento comunista lo dimostra, che senza la costruzione di una società socialista che ha come obiettivo l’eliminazione della divisione in classi della società, ogni lotta per l’emancipazione delle donne è destinata ad esaurirsi e finisce con il favorire la contrapposizione di genere (donne contro uomini), una particolare forma della mobilitazione reazionaria (masse contro masse). Allo stesso tempo, però, è giusto, naturale (nel senso di spontaneo, è la società stessa che lo impone) che le donne delle masse popolari sperimentino, trovino e promuovano forme di lotta e di organizzazione specifiche, perché vivono condizioni particolari. Il movimento comunista deve incoraggiare (non basta genericamente dire “incoraggia”, è una questione che ha riscontri e risvolti pratici) l’auto-organizzazione attraverso la quale le donne si legano alla più generale lotta per la trasformazione della società.
L’oppressione delle donne è secolare, ha radici molto lontane piantate nella divisione in classi della società; per secoli sono state sfruttate e umiliate, vessate e represse, escluse non solo dalla gestione della società da parte delle classi dominanti, ma anche oppresse dalla stessa cultura patriarcale e oscurantista che porta la parte più abbrutita e arretrata degli uomini delle masse popolari a umiliare, maltrattare, opprimere ed esercitare violenza (nelle sue tante forme) contro le donne.
Queste dinamiche e concezioni sono diffuse in tutti gli ambiti della società perché sono un prodotto della società in cui viviamo. Esse rappresentano una contraddizione che ci troviamo ad affrontare quotidianamente, la cui risoluzione non può che essere politica e pratica, va concepita come ambito della lotta di classe. Ci sono stati, infatti, episodi che hanno riguardato gli ambienti militanti di sinistra, che non sono avulsi da questa società intrisa di maschilismo, frutto di una divisione in classi sempre più marcata nella fase terminale del capitalismo e preservato dall’influenza del Vaticano per cui la donna viene stigmatizzata come “l’angelo del focolare” e che di fatto riversa sulle masse quelle perversioni, come la violenza psicologica oltre che finisca sulle donne, per cui non ha mai pagato.
Lo scorso anno ad esempio si è verificato un episodio di tentata violenza ai danni di una donna, di una compagna che vive presso la Schipa Occupata, uno dei palazzi di Napoli occupati a scopo abitativo. Malgrado siano state prese tutte le misure necessarie per impedire altri episodi simili tra le quali espellere dall’occupazione chi aveva ospitato il molestatore, non si può far finta che gli ambienti più progressisti e in cui si vuole riprodurre un modello socialmente più avanzato rispetto a quello borghese siano estranei a queste dinamiche.
Nel 2010 invece, nella sede della Rete Antifascista di Parma una ragazza non in grado di dare il proprio consenso è stata stuprata. Il fatto però non è stato mai denunciato fin quando anni dopo, nel corso di un’inchiesta, è stato ritrovato un telefonino contenete il video della violenza e la ragazza è stata riconosciuta e convocata per far luce sui fatti. Dopo aver fatto i nomi di chi ricordava essere presente quella sera in quel luogo dove lei non aveva più avuto il coraggio di tornare, è stata qualificata come un’”infame” rea di aver identificato i suoi aguzzini alla polizia e dunque di aver tradito i compagni.
È questo infatti quello che accade quando chi lotta per mettere mano alle contraddizioni e alle problematiche sociali non è in grado di elaborare risposte e soluzioni concrete: rimane imbrigliato nel sistema di relazioni economiche e sociali appannaggio della borghesia volto ad opprimere le masse popolari e ad acuire sempre più le sue contraddizioni, come quella tra uomo e donna.
Infatti oggi la doppia oppressione è destinata ad aggravarsi a causa della morsa stringente della crisi che di fatto allontana le donne dal trovare la strada per la propria emancipazione, le relega alla dipendenza economica, alla cura dei figli, degli anziani, della famiglia in generale e spesso le costringe a fare diversi lavori per sopravvivere. Vengono private degli strumenti necessari volti a garantire lavoro e una vita dignitosa.
Questo però non accade a tutte le donne, le donne appartenenti alla borghesia non vivono gli stessi problemi delle donne delle masse popolari: hanno i mezzi economici per uscire da situazioni di violenza, per abortire privatamente visto che negli ospedali pubblici la Legge 194 è troppo spesso violata, per la cura e l’educazione dei loro figli (anzi spesso prediligono le loro scuole private a quelle pubbliche fatiscenti e sempre più degradate), per girare sicure (mica hanno bisogno di metropolitane o autobus…), per vivere in case più che dignitose e per, le più disagiate, disintossicarsi in cliniche di lusso e ricevere ogni tipo di cura. Anzi, le donne esponenti della borghesia imperialista, in quanto tali, sono dall’altro lato della barricata e al di là di proclami e attestati di solidarietà concorrono allo sfruttamento e all’oppressione delle donne e degli uomini della classe operaia e delle masse popolari, di chi per vivere ha bisogno di lavorare.
La Resistenza ci insegna che la lotta per la costruzione del socialismo apre alle conquiste delle donne delle masse popolari e che le organizzazioni delle donne delle masse popolari sono necessarie come ambito di protagonismo e formazione per le donne: non solo dal PCI ma anche dai Gruppi di autodifesa della donna, che emersero grandi dirigenti come Teresa Noce, Marina Sereni, Rita Montagnana, Camilla Ravera, Carla Capponi.
Raccogliere il testimone dell’opera incompiuta dai partigiani per attuare gli insegnamenti della Resistenza, significa imparare a trovare soluzioni affinché ogni individuo sia messo nella condizione di avere un lavoro utile e una vista dignitosa, imparare a unire, in nome degli stessi interessi di classe, ciò che la borghesia divide, significa imparare ad assumere un ruolo di direzione dell’intera società.