Porto di Napoli, la lotta continua. Nella notte tra il 2 e 3 maggio scorso i lavoratori CULP (Compagnia Unica Lavoratori Portuali di Napoli) hanno bloccato l’area di approdo della motonave GNV (Grandi Navi Veloci) Crystal, proveniente da Palermo, che tentava di effettuare operazioni di derizzaggio in autoproduzione, costringendo i lavoratori marittimi imbarcati a lavorare, fuori dalle loro competenze e sotto ricatto, al posto dei lavoratori portuali.
I provvedimenti in materia portuale come il ddl ‘Concorrenza’ del MiSE di qualche tempo fa e la ‘riforma’ della L.84/94 proposta dal MiT, negli ultimi vent’anni, pur avendo drasticamente colpito le attività portuali, avevano almeno definito la distinzione dei “mercati” di riferimento delle imprese ex. Artt. 16, 17 e 18, la specializzazione del lavoro e la navigazione garantita dai sevizi tecnico nautici. Oggi, armatori e padroni mai sazi dei loro profitti e rendite parassitarie pensano di poter disporre del Porto, dei lavoratori del Porto e dei marittimi di bordo a proprio piacimento e avere mano libera nella definizione dell’assetto strategico di strutture, infrastrutture e logistica, linee di navigazione e attracco, nel silenzio-assenzo delle Autorità Portuali e degli enti pubblici di riferimento. Il Presidente dell’Autorità Portuale di Napoli Pietro Spirito, infatti, a fronte dello stato di agitazione dei lavoratori, solo nel tardo pomeriggio di ieri è stato costretto a prendere una posizione, per giunta a favore dell’autoproduzione padronale. La violazione aperta delle norme e regolamenti in materia, il tentativo reiterato di sottrarre lavoro ai lavoratori ex Art.17, il rischio che l’ingresso dell’autoproduzione padronale nel Porto inneschi la “guerra tra poveri” in cui i lavoratori marittimi di bordo, già pressati da sfruttamento intensivo e salari da fame, vengano utilizzati contro i lavoratori portuali, presentati da armatori e padroni come “troppo costosi” e “dei privilegiati” è già realtà. La realtà di armatori come Luigi Aponte, padrone della GNV al 57% (quota MSC di sua proprietà) attraverso la finanziaria Marinvest srl, la stessa che controlla Co.Na.Te.Co., la più importante azienda logistica portuale di Napoli, nata dalla privatizzazione di parte della CULP. La realtà di padroni che, per mantenere profitti, rendite e controllo sociale puntano a dividere i lavoratori per “governarli”, a metterli di fronte a scelte obbligate: o, per i portuali, accettare la riduzione dei livelli salariali e rinunciare ai propri diritti, fino allo smantellamento del CCNL di categoria e, per i marittimi, accettare di lavorare di più, con ulteriori mansioni e a parità di salario o, per entrambe le categorie, andare incontro una nuova ondata di licenziamenti.
La lotta all’autoproduzione, dunque, è lotta che non riguarda solo i portuali e, men che meno, i soli lavoratori CULP. È terreno, invece, dove rilanciare la battaglia per il lavoro, il salario, il reddito, i diritti conquistati in anni di dure lotte operaie. È ambito di mobilitazione, organizzazione, coordinamento operaio e popolare.
Lo sciopero generale indetto dai Sindacati Confederali e cui hanno aderito e partecipato sigle del sindacalismo autonomo come il Si.Cobas lo scorso 13 marzo, la grande manifestazione svoltasi nel Porto di Napoli e che ha visto la partecipazione di importanti delegazioni dai principali porti del Paese, il sistema di unità d’azione e di coordinamento che i le compagnie portuali stanno attuando a Napoli come a Genova, a Gioia Tauro come a Civitavecchia, a Salerno come a Ravenna, a Livorno come a Trieste dimostrano che la resistenza operaia cresce! Dimostrano la fermezza e capacità di organizzazione dei portuali e danno un insegnamento ad altri operai e lavoratori anche fuori dal Porto: laddove esiste foss’anche un piccolo nucleo organizzato di operai decisi a lottare e vincere, quella resistenza si rafforza e si sviluppa, fa scuola di organizzazione e coordinamento, crea esempio. Per vincere è necessario allargare il più possibile il fronte sociale di forze solidali attorno alla lotta, rendendola parte di quella più generale per cambiare il corso delle cose. La classe operaia, mobilitandosi, diventa centro autorevole in grado di mobilitare altri settori sociali, fare e far fare schieramento, tanto costringere finanche Istituzioni e autorità a prendere posizione: o con gli operai o con gli armatori.
Opporsi alle politiche e ai ricatti di padroni e armatori senza scrupoli è, allora, solo il primo passo. Bisogna prendere in mano la gestione delle aziende e delle compagnie, stendere piani alternativi a quelli di padroni e armatori che salvaguardino il lavoro e imporli ad aziende, enti e autorità, puntare alla società. Operativamente, organizzarsi e coordinarsi nel porto, tra i porti e fuori dai porti, legandosi al resto dei movimenti di resistenza sociale diffusi sul territorio e in altre aziende a partire da quelle che del Porto si servono per la movimentazione merci (FCA e AVIO a Pomigliano, le aziende della logistica a Nola o del gruppo Finmeccanica come Alenia a Capodichino, Ansaldo a Gianturco o Hitachi a Ponticelli, per fare solo alcuni esempi).
Prendere e far prendere posizione! Creare legami e sinergie tra lavoratori, precari, disoccupati, così come il Comitato dei Lavoratori Portuali di Napoli (CLP) sta facendo in queste ore rispetto alla lotta per il Reddito di Cittadinanza portata avanti dai licenziati politici della FCA di Pomigliano che, insieme ai Disoccupati 7 Novembre, hanno scritto e imposto un incontro al Ministro Di Maio ieri in visita allo stabilimento AVIO di Pomigliano e l’hanno fatto dentro lo stabilimento, con gli operai dello stabilimento. Per abolire dal dispositivo di legge le misure che ne escludono l’erogazione ai proletari poveri; per equipararlo al massimale del contratto di settore in cui i percettori di Reddito verranno inquadrati; per individuare e moltiplicare i lavori di pubblica utilità, invece di limitarli a quelli strettamente necessari per tenere i percettori di Reddito “sotto controllo”; per sviluppare controllo operaio e popolare su apparati ed enti burocratici di Stato (Ministeri, INPS, Regioni, Amministrazioni, ecc.) quanto all’erogazione del Reddito, contro la corruzione e il clientelismo che all’erogazione saranno connessi, affinché siano le organizzazioni operaie e popolari a indicare quali siano i lavori di pubblica utilità che servono alle aziende e al territorio e in base ai quali organizzare e coordinare operai, lavoratori, altri precari e disoccupati.
I portuali di Napoli possono aprire una strada. Non soluzioni particolari a casi particolari, siano essi la lotta dei lavoratori CULP contro l’autoproduzione padronale o la rivendicazione di Reddito dei licenziati politici, ma l’uso di ogni conflittualità per creare e rafforzare legami e organizzazione tra operai, lavoratori, masse popolari, azienda per azienda, città per città, territorio per territorio, indipendentemente dalle sigle politiche o sindacali di appartenenza dei singoli operai e lavoratori o dall’appartenenza a nessuna organizzazione politica o sindacale, affinché si occupino della salvaguardia delle aziende, prevengano le manovre di padroni e armatori (chiusura, delocalizzazione, derizzaggio in autoproduzioneecc.) e facciano fronte comune per combattere il degrado sociale e ambientale che va diffondendosi nelle nostre città e territori.
Concretamente, significa
- costituirsi come centro propulsore dell’individuazione dei lavori e del numero dei lavoratori che servono, partire dal nel Porto di Napoli, per la garanzia e il funzionamento efficiente dei servizi portuali e di banchina;
- spingere i portuali licenziati, “a chiamata” o sottopagati dalle aziende private come Co.Na.Te.Co o So.Te.Co. a organizzarsi per il Reddito di Cittadinanza e la sua equiparazione al massimale del contratto di categoria, dichiararne l’“integrazione” nella CULP secondo questa modalità reddituale (sulla base della considerazione che la mole di lavoro portuale complessivamente è in crescita, a dispetto del taglio dei posti di lavoro cui puntano padroni e armatori);
- contrastare l’autoproduzione padronale scrivendo e incontrando i marittimi di bordo, costretti come sono da padroni e armatori, a lavorare fuori dalle loro competenze e “al posto” dei portuali, affinché facciano fronte unico con i portuali e rifiutino le imposizioni e i ricatti cui sono sottoposti, facendo leva sulle misure di “garanzia” dei lavoratori contenute nel Contratto di governo (incoraggiandoli, ad esempio, a denunciare anche in forma anonima ricatti e pressioni di padroni e armatori e così via);
- partecipare attivamente all’Assemblea operaia indetta dai licenziati politici della FCA di Pomigliano il prossimo 18 maggio per la costruzione di un tavolo al MiSE dove porre in questione i dispositivi di legge in materia di lavoro e reddito, stornandone le misure di workfare (divisive, vincolanti, punitive), rivedendone la possibilità stessa dell’uso massiccio e strumentale alla CIG cui padroni e armatori ricorrono e, tramite appositi decreti ministeriali, modificando i parametri ISEE di riferimento quanto all’accesso alle misure di previdenza sociale.
- inchiodare il Governo alle sue responsabilità, alle sue promesse elettorali, agli impegni presi, incalzandone gli esponenti ovunque si presentino pubblicamente e nei loro stessi Ministeri, costringendoli a rendere pratica quello che le forze di governo dichiarano, imparando ad utilizzare a vantaggio della lotta e dell’organizzazione tutte le contraddizioni in seno al Governo stesso, quelle all’interno dei partiti che lo compongono, quelle tra la loro base di aderenti e nella loro base elettorale.
- spingere i candidati alle prossime Europee e quelli che, fin da ora, sono già in campagna elettorale per le prossime Regionali in Campania a fare fin da subito quello che promettono di fare se e quando eletti.
Detto in un’unica espressione: utilizzare tutti gli appigli che la situazione politica offre per trasformare l’iniziativa e le “rassicurazioni” del Governo (Quota 100, Reddito di Cittadinanza e promesso allargamento dei parametri di accesso, reintroduzione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori e revisione del JobsAct, ecc.) da tentativi di “calmierazione sociale” che il Governo stesso usa, non sapendo né potendo risolvere le sue contraddizioni interne, in ambiti di mobilitazione, organizzazione, coordinamento operaio e popolare e di solidarietà proletaria.
Questo, per i comunisti, significa sostenere attivamente la lotta dei portuali e degli stessi marittimi che i padroni vorrebbero utilizzare come “esercito di riserva” per ricontrattare al ribasso le già difficili condizioni di vita e di lavoro dei portuali stessi. Questo, per i comunisti, significa assumersi il compito di rilanciare la lotta, passare dalla difesa all’attacco, dalla rivendicazione alla conquista. Su tutto costruire una rete di organizzazioni operaie e popolari attive dentro le aziende e sui territori in grado di piegare il Governo alle proprie istanze ed esigenze.
I comunisti organizzati nelle fila della Carovana del (nuovo) Partito Comunista Italiano cui il Partito dei CARC è sempre appartenuto sostengono la lotta dei portuali di Napoli come pezzo della lotta più generale per promuovere organizzazione e mobilitazione della classe operaia e del resto delle masse popolari, affinché si diano un piano di guerra alla guerra che padroni e armatori quotidianamente conducono contro la classe operaia e il resto delle masse popolari e gli strumenti per attuarlo e vincere. Perché i comunisti puntano a vincere, non a rivendicare ad autorità, enti, agenzie della classe dominante che non possono rispondere alle richieste della classe operaia e delle masse popolari, ma possono solo esserne piegate.
Vincere, oggi, significa puntare a costruire un governo delle organizzazioni operaie e popolari che faccia fronte agli effetti più gravi della crisi e dia forza e forma di legge ai provvedimenti di volta in volta assunti, caso per caso, dalle organizzazioni operaie e popolari stesse!
Il rafforzamento di un coordinamento nazionale dei portuali, la solidarietà attiva tra i portuali e altri settori sociali e di lavoratori in lotta, il moltiplicarsi dei tanti comitati operai che oggi si costituiscono e sono attivi in tante aziende da un capo all’altro del Paese (così come, ad esempio, il Movimento Operai Autorganizzati Fiat-FCA sta promuovendo nei principali stabilimenti del gruppo FCA), i tanti comitati di scopo che sorgono, agiscono e lottano in aziende pubbliche come quelle sanitarie e sui territori come quelli ambientali sono la base di un’alternativa realistica di potere nelle aziende stesse e nella società. Pongono, cioè, le condizioni per la costruzione di un’alternativa politica per il Paese tutto: un governo di emergenza popolare, il Governo di Blocco Popolare.
I portuali nuovamente in lotta dimostrano che, nonostante l’iniziativa sporca e martellante di padroni e armatori, tra gli operai, i lavoratori, i precari, i disoccupati, così come nel resto della società non regna sfiducia e rassegnazione, ma cova ribellione e voglia di riscatto, capacità organizzativa e solidarietà sociale. Su tutto, dimostra che padroni e armatori, saranno pure ricchi e “potenti”, ma sono forti solo fintantoché la classe operaia e il resto delle masse popolari non si organizzano e fanno valere la propria forza. Quella che faranno valere, faremo valere.
Solidarietà ai portuali in lotta!
Costruiamo in ogni porto, azienda e in ogni territorio organizzazioni operaie e popolari!
Avanziamo verso il Governo di Blocco Popolare!
Per il socialismo!
Fino alla vittoria!
La Segreteria federale
Partito dei CARC – Federazione Campania