Editoriale
Il rogo che ha distrutto parte della Cattedrale di Notre-Dame a Parigi il 15 aprile è ben più di un generico “incidente disastroso”. Contemporaneamente, esso rappresenta l’ipocrisia su cui si fonda la società borghese, la natura predatoria e la spietatezza dei ricchi, la completa incapacità e impossibilità della borghesia imperialista di gestire il presente e di prospettare il futuro e, per questo, ci offre spunto per un ragionamento più generale. Andiamo con ordine.
E’ bruciato uno dei monumenti dell’umanità (proprietà dello Stato francese e utilizzo affidato alla Chiesa cattolica). Ha fatto impressione il cordoglio unanime e corale promosso dall’informazione di regime: trovano sistematicamente meno spazio i bombardamenti dei caccia israeliani su Gaza e il genocidio dei palestinesi, la guerra di sterminio in Yemen, l’inesorabile devastazione ambientale… per non parlare dello stillicidio di omicidi sul lavoro in nome del profitto dei padroni. La macchina della manipolazione dell’opinione pubblica ha ritenuto saggio e conveniente riversare la costernazione, il dolore e l’inquietudine diffusa per il mondo che va in sfacelo sul rogo di Notre-Dame, ma i risultati sono controversi perché sul rogo pesa una domanda grossa come il danno artistico, culturale e materiale: perchè un patrimonio di quella portata non era dotato di un sistema antincendio? Primo cortocircuito: l’operazione mediatica mette in evidenza l’ipocrisia della società dello spettacolo (pessimo), mentre lo stato di degrado e di abbandono della struttura mette in evidenza la completa incapacità delle autorità di preservare un bene di quel valore (in questo caso autorità francesi… ma non è che le Larghe Intese italiane o la UE siano mai state tanto più attente ai patrimoni come Pompei o il Colosseo, per citarne due). Perché era lasciato al degrado? “Perché non c’erano soldi per ristrutturarlo e metterlo in sicurezza!”. Ma davvero non c’erano soldi? Lanciata la campagna di raccolta sottoscrizioni per ricostruire Notre Dame “più bella di quanto fosse” con donazioni fiscalmente detraibili, i Re Mida del mondo hanno iniziato una “gara di solidarietà” e in una settimana è stato raccolto poco meno di un miliardo di euro. Un miliardo di euro! In una settimana! Secondo cortocircuito: non è stata preservata perché non c’erano soldi, ma in una settimana trovano un miliardo di euro per ricostruirla. Distruggere e ricostruire è la cruda legge che lor signori conoscono per fare profitti: lo vediamo bene nelle grandi opere inutili e dannose, nelle alluvioni, ecc.
La domanda successiva porta al tilt: ma come, questi pezzi di… spremono i lavoratori e lamentano che non ci sono soldi per creare posti di lavoro utili e necessari, per alzare i salari e gli stipendi, per fare i lavori che servono e per la manutenzione del territorio, per la sanità, per la scuola, per l’università e per una cattedrale (specifichiamo: una grande opera d’arte patrimonio dell’umanità, ma di una sola e singola cattedrale si tratta), cacciano un miliardo di euro col sorriso sulle labbra e lo sguardo di chi mette gli spiccioli nel cappello del questuante.
La distruzione di Notre-Dame, per la gravità del fatto, per la risonanza che ha avuto e per quanto è legittimamente entrata nell’immaginario collettivo, è un simbolo di un’epoca, di una civiltà, di un modello sociale che, esaurita la fase positiva al servizio dell’umanità da circa 200 anni, producono flagelli e devastazioni sotto ogni punto di vista.
La borghesia imperialista e il suo codazzo di ricchi avvoltoi si muovono solo se hanno un qualche guadagno diretto da trarre, altrimenti “muoia Sansone con tutti i filistei”, e si muovono sempre incuranti di tutto tranne che del profitto (valorizzazione del proprio capitale).
Già oggi, però, i paesi imperialisti funzionano o sulla base della costrizione del ricatto che la classe dominante esercita sulle masse popolari attraverso il salario (e sul cui lavoro i capitalisti traggono profitto) oppure sulla base del volontarismo delle masse popolari, del volontariato, altrimenti vanno allo sfascio.
L’umanità si trova di fronte alla necessità di compiere un salto evolutivo similare, ma di portata superiore, a quello che ha compiuto con il passaggio dalla società feudale alla società borghese. All’epoca si è trattato di passare
– dalla situazione in cui “l’umanità viveva principalmente grazie a una moltitudine di lavoratori individuali ognuno dei quali produceva quello che gli serviva per vivere e proteggersi dalle intemperie e quanto altro le relazioni familiari e di vicinato, da un lato, e le classi dominanti, dall’altro, gli chiedevano o imponevano di produrre. Ogni lavoratore faceva questo lavorando per conto suo, con le sue mani o al massimo con un attrezzo manuale che di regola si era lui stesso costruito, quello che trovava in natura. (…) In larga misura la divisione del lavoro esisteva principalmente a livello familiare o di vicinato;
– alla situazione attuale in cui “già oggi, e ancora più lo sarà in prospettiva, la produzione dei beni e servizi che l’umanità impiega è affidata a un unico sistema produttivo mondiale (che solo in una certa misura è ancora articolato in sistemi produttivi nazionali). La produttività (cosa produce e quanto in termini di beni e servizi) è potenzialmente illimitata e dipende principalmente dall’applicazione alla produzione del patrimonio conoscitivo generale dell’umanità. Questo sistema però funziona solo grazie all’opera, combinata secondo regole e leggi ben definite, di molti individui che fanno ognuno la propria parte e tutti possono fare la loro parte solo se ogni individuo fa la sua parte. D’altra parte ogni individuo ha quello che lui usa per vivere (anche quello di cui ha strettamente bisogno per soddisfare i più essenziali bisogni animali: mangiare, ecc.) solo se chi dirige l’intero sistema produttivo assegna a quell’individuo un ruolo nel sistema, un “posto di lavoro. (…) Con il capitalismo, l’umanità ha già compiuto in larga misura nel campo dell’economia un cambiamento che rende l’instaurazione del socialismo condizione indispensabile per ogni ulteriore progresso, per la conservazione dell’ambiente e, con tutta evidenza, persino per la sopravvivenza dell’umanità: perché la specie umana gestisca su grande scala se stessa con quell’intelligenza che i capitalisti hanno fatto emergere nel campo della produzione di beni e servizi e che per loro natura devono limitare ad essa con gli effetti catastrofici che già affliggono l’umanità. È la trasformazione che Marx aveva previsto nel capitolo Capitale fisso e sviluppo delle forze produttive della società dei suoi Lineamenti fondamentali (Grundrisse) della critica dell’economia politica scritti nel 1858 (in Marx-Engels, Opere Complete vol. 30 – Editori Riuniti 1986, pagg. 79-100) – da “Il salto epocale in campo economico-sociale che l’umanità deve compiere” – La Voce n. 56.
Il salto che l’umanità deve compiere non può avvenire e non avverrà spontaneamente. Nonostante il movimento economico della società capitalista vada esso stesso spontaneamente verso quella direzione, l’umanità può progredire soltanto se il movimento comunista cosciente e organizzato riesce a dirigere le masse popolari nella guerra popolare rivoluzionaria fino alla vittoria, fino all’instaurazione del socialismo.
Avanzare nella rivoluzione socialista significa combinare due movimenti: la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato e la nascita e lo sviluppo di una vasta e capillare rete di Consigli di fabbrica, consigli di quartiere e di zona, consigli di gestione popolare che raggruppano e coordinano le masse popolari e ne dirigono l’iniziativa e la mobilitazione nella lotta che spontaneamente oppongono agli effetti della crisi (quegli organismi che chiamiamo correntemente nella nostra stampa organizzazioni operaie e popolari). Ci soffermiamo su questo secondo movimento, specificando che esso non può avanzare se non in stretta relazione e in dipendenza dal primo. Le masse popolari organizzate sono già la forza che di fatto muove la società, ma oggi sono organizzate dalla borghesia imperialista per perseguire gli interessi dei capitalisti, cioè fare profitti ad ogni costo. Noi comunisti dobbiamo efficacemente promuovere il movimento che porta le masse popolari, e in particolare fra di esse la classe operaia, a organizzarsi autonomamente per affermare i loro interessi, per imparare a combattere, a resistere e a vincere, prendendosi cura della società attuale fino a compiere il salto di fondarne una nuova. Le organizzazioni operaie e popolari devono già adesso porsi come nuove autorità pubbliche che prendono in mano il destino delle aziende, la cura della città e dei territori, la salvaguardia dell’ambiente, ecc. Questo è il processo che noi comunisti promuoviamo per costituire il Governo di Blocco Popolare, invertire l’attuale corso disastroso delle cose e portare alla vittoria la rivoluzione socialista.