[Italia] La Comune di Parigi e la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti

Rilanciamo l’articolo pubblicato su La Voce 38 del (n)PCI in occasione del 148esimo anniversario della Comune di Parigi (18 marzo – 27 maggio 1871) definita da Marx “la forma, finalmente trovata, della dittatura del proletariato” con cui la classe operaia ha preso il potere per la prima e finora unica volta in uno degli attuali paesi imperialisti. I comunisti hanno usato l’esperienza storica della Comune di Parigi per capire le forme della rivoluzione
socialista e della direzione della classe operaia sulla società nella fase socialista del comunismo.

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Con la Comune di Parigi la classe operaia ha preso il potere per la prima e finora unica volta in uno degli attuali paesi imperialisti. Il suo 140° anniversario è un’ottima occasione per fare il bilancio del cammino percorso dal movimento comunista e fare il punto, onde inquadrare meglio il lavoro che stiamo facendo ora, nella fase  terminale della seconda crisi generale del capitalismo e verificare alla luce della nostra storia la nostra concezione del mondo e la nostra linea per instaurare il socialismo in Italia, uno dei paesi imperialisti.

Il movimento comunista nel senso moderno del termine, il movimento comunista di cui noi parliamo e di cui siamo parte e protagonisti, è iniziato in Europa occidentale nella prima metà del secolo XIX, circa 200 anni fa.(1) Le sue prime manifestazioni su grande scala furono il movimento cartista (1838-1850) in Gran Bretagna e il movimento operaio del secolo XIX in Francia. Le espressioni di questo che ebbero un ruolo storico maggiore furono la rivolta di Lione nel 1831 e soprattutto la rivolta di Parigi: questa nel giugno del 1848 venne soffocata dalla borghesia repubblicana francese decimando con esecuzioni e deportazioni la popolazione operaia di Parigi.

Il movimento comunista venne ufficialmente fondato con la pubblicazione nel febbraio del 1848, alla vigilia della rivoluzione borghese europea, del Manifesto del partito comunista redatto da Marx e da Engels per incarico della Lega dei Comunisti.

Da allora è trascorso un periodo lungo se paragonato alla vita di un essere umano e valutato con le aspirazioni dei protagonisti del movimento comunista; un periodo breve se misurato sulla scala delle trasformazioni che la specie umana ha attraversato nella sua evoluzione plurimillenaria.

Questo basta a stabilire che travisano la realtà per scopi inconfessati attinenti ai particolari interessi delle classi di cui sono portavoce, quegli intellettuali che deducono la “morte del comunismo” semplicemente dal fatto che il movimento comunista non ha ancora compiuto la trasformazione sociale che è il suo obiettivo e che i fondatori del marxismo hanno chiaramente indicato nelle sue grandi linee, sulla base della comprensione delle leggi che hanno governato quella evoluzione plurimillenaria della specie e dei presupposti del futuro posti dalla società borghese che di quella evoluzione era il risultato più avanzato. Quando tra il 1989 e il 1991 i primi paesi socialisti europei e tra essi l’Unione Sovietica, arrivati al fondo della decadenza iniziata negli anni ’50, si decomposero e rientrarono in larga misura nel sistema imperialista mondiale, dagli USA, il paese centro del sistema imperialista mondiale, l’ideologo Fukuyama lanciò nel mondo il grido di trionfo della borghesia imperialista: “La storia è finita”. Voleva annunciare e proclamare la vittoria definitiva della borghesia e l’avvento del suo regno millenario e incontrastato, dopo la grande paura suscitata dalla prima ondata della rivoluzione proletaria che nella prima parte del secolo XX aveva formato i primi paesi socialisti in alcuni grandi paesi (principalmente la Russia e la Cina) ai margini del sistema imperialista mondiale, aveva creato partiti comunisti in ogni angolo del mondo e aveva distrutto il vecchio sistema coloniale.

Non era la prima volta che gli apologeti del capitalismo facevano risuonare simile proclama da quando a partire dalla prima metà del secolo XIX il movimento comunista contende il terreno al capitalismo. Le classi dominanti quando sono sulla via del tramonto si fanno coraggio e cercano di demoralizzare le classi che ne contestano il potere, proclamando le ragioni della loro supremazia consacrata dalla tradizione ma vicina al tramonto. Cercano di dimostrare che il sistema di relazioni sociali che contempla il loro dominio è l’unico conforme alla natura umana. Allo scopo ogni classe morente definisce la natura umana a immagine e somiglianza dell’individuo tipo del sistema sociale che difende e per negazione dei valori della classe da cui si difende. Lo hanno fatto la nobiltà feudale e il clero europei contro la borghesia fino alla fine del secolo XIX quando, regnante Leone XIII sulla Chiesa Cattolica e mossi dal terrore prodotto nel clero e nella borghesia europei proprio dalla Comune di Parigi nonostante la sua sconfitta, il clero dei paesi cristiani e la borghesia unirono le loro forze nella comune lotta contro il movimento comunista. Oggi ancora una schiera variopinta di professori della natura umana e apologeti del capitalismo che va da Papa Ratzinger a comunisti pentiti come Costanzo Preve, ripete la stessa teoria, riferita  però ora al sistema capitalista.(2)

Il movimento comunista nel senso moderno del termine

Cosa è il movimento comunista nel senso moderno del termine? È il movimento della classe operaia creata dal capitalismo, della classe oppressa dell’epoca moderna che si mobilita, si organizza e lotta per emanciparsi dalla borghesia. Il comunismo è il sistema di rapporti sociali della società che sorge dai presupposti creati dal capitalismo. La classe operaia non ha creato la concezione comunista del mondo ma tra tutte le classi oppresse è per molteplici motivi la più pronta e disponibile ad assimilarla su grande scala, quella che si riconosce in essa, capace di farla propria e assumerla come guida della lotta che conduce contro la borghesia.(3)

Questo esclude la continuità diretta e ancora più l’analogia tra il comunismo per cui noi lottiamo e le varie forme di comunità che sono stati aspetti e forme dei vari sistemi sociali precapitalisti, tappe dell’evoluzione plurimillenaria della specie umana. Infatti il comunismo moderno nasce sulla base dei presupposti 1. dell’eliminazione dei rapporti di dipendenza personale (del singolo dalla comunità in cui nasce, dal padrone di schiavi, dal feudatario, dal prete, ecc.) caratteristici delle società che hanno preceduto la società borghese; 2. dell’affermazione degli individui come protagonisti della vita sociale della specie umana, affermazione prodotta dall’economia mercantile generalizzata dal capitalismo; 3. della vittoria stabile e definitiva della specie umana nella lotta contro il resto della natura per strapparle quanto necessario alla propria sopravvivenza e al proprio progresso (il dominio dell’uomo sulla natura). Questi in estrema sintesi sono i presupposti principali su cui nasce la futura società comunista, tutti e tre creati dalla società borghese. La proprietà comune dei mezzi di produzione e la loro gestione da parte dell’associazione dei lavoratori conformata in modo tale che il libero sviluppo di ogni individuo è la condizione del libero sviluppo di tutti sono i tratti caratteristici fondanti della società comunista che subentrerà alla società capitalista, alla sua divisione in classi e ai suoi antagonismi di classe.(4) Proprio per queste sue caratteristiche, la società comunista non viene al mondo spontaneamente (cioè come risultato dell’attività di uomini che agiscono in conformità alla concezione dominante, cioè borghese, del mondo e nell’ambito e con le istituzioni proprie della società borghese). Essa non può essere realizzata senza un certo livello di coscienza e di organizzazione della classe operaia e delle masse popolari, senza un certo progresso nell’elaborazione delle concezione comunista del mondo e della sua assimilazione da parte delle masse. Questi due fattori non si formano spontaneamente nell’ambito della stessa società borghese e devono quindi essere costruiti con un’opera apposita condotta nel seno stesso della società borghese, come fattori necessari del suo superamento.

Ne segue che il movimento comunista si divide in due parti: il movimento comunista cosciente e organizzato che promuove la trasformazione e il resto della classe operaia e delle masse popolari che compie la trasformazione sotto la direzione del primo, benché questa trasformazione per sua natura si possa compiere solo sulla base indispensabile dell’esperienza della classe operaia e delle masse popolari stesse. La classe oppressa si divide in due parti (una dirigente e una diretta) che però hanno tra loro relazioni tali che creano le condizioni del superamento della nuova divisione nella nuova società senza Stato.(5) La natura della società comunista determina in una certa misura anche il modo del suo farsi, ben distinto dal modo in cui si è fatta la società borghese: una verità che fu scoperta da Engels sul finire del secolo XIX, nel fare il bilancio del movimento comunista del secolo XIX (Introduzione a “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850” – 1895, in Opere complete, vol. 10).

La rivoluzione socialista e i popoli oppressi dal sistema imperialista mondiale

La comprensione dei progressi compiuti dal movimento comunista è complicata dal fatto che sulla scia del movimento comunista della classe operaia europea si sono mobilitati anche i popoli che non hanno fatto per conto proprio la loro rivoluzione democratica, ma sono stati colonizzati e comunque sottomessi dalla borghesia europea e per questa via sono entrati nell’evoluzione della specie umana che essa ha messo in moto. A sua volta la borghesia europea è diventata “l’occidente cristiano” perché ai paesi europei si sono associate le colonie di popolamento europeo, in particolare gli USA che a seguito delle due Guerre Mondiali scatenate dalle potenze capitaliste europee sono diventati il centro del sistema imperialista mondiale. L’umanità si è unificata nel suo processo di evoluzione non perché tutti i popoli hanno fatto un percorso analogo a quello fatto dai popoli europei. Si è unificata perché la borghesia europea ha coinvolto gli altri paesi col ferro e col fuoco del suo sistema coloniale; ha sconvolto, con la forza dei suoi commerci che dissolvevano i vecchi rapporti di produzione, il sistema di relazioni sociali a cui ognuno di essi era arrivato sulla base del suo proprio sviluppo storico; a cavallo tra i secoli XIX e XX, sulla spinta della sua prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale ha costretto e trascinato tutti i popoli nel gorgo del sistema imperialista mondiale che ha diviso il mondo in un piccolo numero di potenze imperialiste contrapposti ai paesi oppressi dove viveva la maggior parte dell’umanità.

È stata una forma di unificazione del mondo che i fondatori della concezione comunista del mondo non avevano preso in considerazione: non avevano considerato la possibilità che in Europa la rivoluzione socialista tardasse benché ne fossero già mature le condizioni oggettive (un certo grado di sviluppo delle forze produttive e un certo livello di proletarizzazione e concentrazione della popolazione agli ordini della borghesia) e che il capitalismo quindi entrasse nella sua fase imperialista. Ma proprio il fatto che nonostante ciò lo scontro tra capitalismo e comunismo è lo scontro che coinvolge ora tutta l’umanità è la conferma sperimentale più grandiosa della concezione comunista del mondo come scienza dell’evoluzione della specie umana.

Oggi la specie umana è unificata da un comune destino e mobilitata in un unico movimento da un angolo all’altro della terra. Il senso e la natura del movimento comune, le contraddizioni che lo determinano e la direzione di marcia in cui la specie umana deve svilupparsi per dare soluzione alle contraddizioni che lo muovono, sono illustrati dalla concezione comunista del mondo.

Di conseguenza è profondamente deleteria l’influenza sociale esercitata in questi anni dalla sinistra borghese, intendendo con questa espressione l’insieme dei gruppi e personaggi che sono contrari al corso attuale delle cose ma nella loro critica del presente, nelle loro proposte e nei loro propositi non vedono al di là dell’orizzonte della società borghese e del suo sistema di relazioni sociali: un insieme di gruppi e personaggi che quindi per la loro natura rifiutano la concezione comunista del mondo. Un’influenza che tuttavia è attualmente grande nei paesi imperialisti, stante la debolezza del movimento comunista cosciente e organizzato che non si è ancora risollevato dall’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria. È per questo che la formazione dei propri membri e candidati alla concezione comunista del mondo oggi richiede una grande sforzo da parte del Partito comunista e d’altra parte è però condizione indispensabile del suo consolidamento e rafforzamento. Solo tramite lo studio e l’assimilazione della concezione comunista del mondo i comunisti si rendono capaci di guidare la classe operaia e le masse popolari oltre le lotte rivendicative, alla costruzione della società comunista.

Il ruolo della rivoluzione dei popoli oppressi dal sistema imperialista mondiale

Le forme e i tempi della trasformazione della società borghese in società comunista sono stati segnati profondamente dal coinvolgimento in questo processo anche dei paesi in cui il modo di produzione capitalista non era ancora diventato il principale modo di produzione. Nel 1881 i primi comunisti russi domandarono a Carlo Marx, il riconosciuto fondatore della concezione comunista del mondo, se la comunità rurale russa, forma residua ancora alla fine del secolo XIX dell’originario possesso comune della terra, a suo parere avrebbe potuto trasformarsi direttamente nella forma comunista di possesso della terra senza attraversare lo stesso processo di dissoluzione che aveva costituito lo sviluppo storico dell’occidente europeo. Marx aveva studiato a fondo la storia dello sviluppo delle società europee e la natura della società russa del suo tempo e rispose che, allo stato in cui erano giunte l’evoluzione della società russa e le sue relazioni economiche e culturali con i paesi capitalisti, era plausibile che se la rivoluzione democratica che si annunciava in Russia fosse servita da innesco alla rivoluzione socialista nell’occidente europeo, in modo che le due si combinassero e completassero, in questo caso la proprietà comune rurale ancora esistente in Russia avrebbe potuto servire come punto di partenza per un’evoluzione della società russa verso il comunismo (Prefazione all’edizione russa del 1882 del Manifesto del partito comunista in Opere complete, vol. 6). Il ruolo che effettivamente la Russia e l’Unione Sovietica hanno svolto nella prima parte del secolo XX sul corso della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale è illuminato da questa tesi di Marx, per quanto le rivoluzioni nelle due parti del mondo si siano combinate, ma senza completarsi perché il movimento comunista non ha instaurato il socialismo in nessuno dei paesi imperialisti.

La Comune di Parigi è stata finora l’unico caso di conquista del potere da parte della classe operaia in un paese capitalista. Il movimento comunista ha raggiunto i suoi maggiori successi in paesi che nell’ambito del sistema imperialista mondiale avevano un ruolo periferico (“anello debole del sistema imperialista mondiale”) o facevano parte dei paesi dipendenti e oppressi: principalmente la Russia col vasto impero zarista e la Cina. Nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, nella prima parte del secolo scorso, l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese hanno

in modo diverso e in tempi diversi svolto nel mondo la funzione di basi rosse della rivoluzione proletaria. Ma il movimento comunista non è riuscito ad instaurare il socialismo in nessuno dei paesi imperialisti. Questo si è ripercosso negativamente anche sullo sviluppo dei primi paesi socialisti che in tempi, in forme e in misure diverse oggi sono, compiutamente seppur ancora contraddittoriamente la Russia(6) e in una certa misura la Cina (7) rientrati in seno al sistema imperialista mondiale.

Perché il movimento comunista non ha instaurato il socialismo in nessun paese imperialista?

L’insuccesso nell’instaurare il socialismo nei paesi imperialisti ha dato luogo non solo alle apologie del capitalismo elaborate e propagandate dalla borghesia e dal clero, ma anche alla riflessione dei comunisti. Perché il movimento comunista cosciente e organizzato non è riuscito a instaurare il socialismo in nessun dei paesi imperialisti nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria?

La prima ondata della rivoluzione proletaria si è sviluppata come antidoto alla prima crisi generale del capitalismo per sovrapproduzione assoluta di capitale. Essa non è stata il frutto della direzione del movimento comunista cosciente e organizzato nella lotta di classe che si svolgeva nelle società borghesi più sviluppate. È  stata il risultato dell’azione svolta dal movimento comunista cosciente e organizzato nell’ambito dello sconvolgimento e delle guerre mondiali generati lungo più di 30 anni (1914-1945) dalla borghesia imperialista per far fronte a quella crisi.

Di fronte al fatto che i comunisti non avevano instaurato il socialismo in nessun paese imperialista, alcuni hanno tirato la conclusione che non lo avevano instaurato semplicemente perché non era possibile instaurarlo (in conformità alla concezione che è possibile solo quello che effettivamente avviene). Le condizioni oggettive dell’instaurazione del socialismo erano sì maturate negli attuali paesi imperialisti già alla fine del secolo XIX, ma grazie allo sfruttamento dei paesi oppressi la borghesia imperialista avrebbe in vari modi corrotto la classe operaia e le masse popolari dei paesi imperialisti e ridotto con ciò la loro capacità di lotta al punto da rendere impossibile l’instaurazione del socialismo.

Questa spiegazione ha avuto molta fortuna perché dava una spiegazione apparentemente semplice benché assurda (la concezione che è possibile solo quello che è, non spiega il movimento) dell’esperienza ed era del tutto vantaggiosa per i portatori dell’influenza borghese in seno alla classe operaia e alle masse popolari che sono contrari alla rivoluzione, conforme alla loro mentalità e alla loro personalità: aveva quindi l’appoggio della destra del movimento comunista e più o meno direttamente della stessa borghesia. Essa era inoltre coerente con l’interpretazione economicista e determinista del marxismo: secondo questa interpretazione la rivoluzione socialista non è generata dall’attività del movimento comunista cosciente e organizzato, ma scoppia per forza della contraddizioni proprie della società borghese. Anche se il ruolo dell’attività cosciente e organizzata non viene negato completamente, essa viene relegata a un ruolo di secondo piano.

Questa interpretazione economicista, determinista e spontaneista del marxismo è fallimentare e proprio per questo è un aspetto dell’influenza della borghesia e del clero in seno al movimento comunista: essi sono interessati al fallimento dei suoi sforzi. Noi comunisti sosteniamo che sono gli uomini che fanno la loro storia, benché certo non la facciano in modo arbitrario, ma sulla base dei presupposti che si ritrovano come prodotti dalla storia che hanno alle spalle e agendo nelle circostanze in cui si ritrovano e in conformità con le leggi proprie della trasformazione che devono compiere. La loro libertà è tanto maggiore quanto più essi conoscono la natura del mondo che devono trasformare e le leggi proprio del lavoro che devono compiere (in sintesi: la libertà è coscienza della necessità): come avviene per ogni altra attività umana, in ogni professione e mestiere. La concezione comunista del mondo, il marxismo, è la scienza di quella trasformazione della società borghese nella società comunista e la teoria che guida il movimento comunista cosciente e organizzato nella sua azione che trasforma il mondo.

Perché i comunisti dei paesi imperialisti non hanno elaborato la concezione comunista del mondo all’altezza del compito che dovevano svolgere!

Ma la concezione comunista del mondo è, come ogni scienza, opera degli uomini. I comunisti la devono non solo applicare. Prima ancora la devono elaborare e sviluppare all’altezza dell’opera che devono compiere: per costruire un grattacielo occorre una scienza delle costruzioni più sviluppata di quella necessaria per costruire una casetta. Per questo diciamo che essere marxisti non significa fare l’esegesi delle opere di Marx e degli altri dirigenti del movimento comunista (“cosa ha veramente detto Marx”, ecc.). Sono marxisti quelli che elaborano dall’esperienza la scienza della lotta della classe operaia che si emancipa dalla borghesia costruendo la società comunista. Il movimento comunista cosciente e organizzato non ha instaurato il socialismo in nessun paese  imperialista, neanche durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, quando per effetto della prima crisi generale del capitalismo la borghesia stessa aveva sconvolto i suoi ordinamenti nei singoli paesi e il suo sistema di relazioni internazionali e precipitato tutto il mondo in ben due guerre mondiali complessivamente durate più di 30 anni (1914-1945), principalmente perché i comunisti non hanno elaborato la concezione comunista del mondo all’altezza del compito che dovevano svolgere. Gli interessi della borghesia e del clero congiuravano con l’ignoranza naturale (conforme cioè alla loro natura di classi oppresse) in cui le classi dominanti tengono le classi oppresse (“lei non è pagato per pensare”, “qui non si fa politica”, ecc. ecc.) e con la pigrizia e il dogmatismo di tanti comunisti pur onestamente devoti alla causa della rivoluzione che tuttavia riducevano il marxismo all’esegesi dei testi e a una fede religiosa nei dogmi, mentre nell’azione pratica, pur eroica, si orientavano a naso, secondo il senso comune (cioè nei limiti di proteste e lotte rivendicative). La grande influenza dell’Unione Sovietica sul movimento comunista dei paesi imperialisti e l’aspirazione a “fare come in Russia” hanno in questo senso favorito l’inerzia teorica del movimento comunista dei paesi imperialisti e il suo venir meno ai compiti suoi propri.

Quali sono i principali argomenti su cui fondiamo la nostra risposta?

Vi sono due ordini di argomenti.

1. La tesi della corruzione della classe operaia dei paesi imperialisti contrasta con i fatti

Il primo è che la spiegazione che danno i destri e i pigri (i dogmatici) contrasta con i fatti. Essi usano alcuni aspetti della realtà in modo talmente unilaterale da produrre un’immagine completamente distorta della realtà.

È vero che nel periodo della prima ondata della rivoluzione proletaria la borghesia e il clero hanno corrotto gli operai e le masse popolari dei paesi imperialisti con i sovrapprofitti che hanno ricavato dallo sfruttamento criminale dei popoli oppressi?

Lo sfruttamento criminale dei popoli oppressi è stato ed è una realtà indubbia del sistema imperialista mondiale: solo la prima ondata della rivoluzione proletaria ha in una certa misura, per un certo tempo, in alcuni paesi attenuato lo sfruttamento criminale dei popoli oppressi. Ancora oggi mentre la borghesia si affanna a proclamare il “grande sviluppo economico” dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e di altri “paesi emergenti”, quello che avviene realmente in questi paesi, trascurando le grandi differenze tra essi, a grandi linee è una feroce differenziazione di classe, per cui in ognuno di questi paesi si forma un pugno di nuovi ricchi che assicurano l’asservimento feroce delle masse e lo sfruttamento delle risorse naturali del paese a vantaggio della borghesia imperialista, a rallentamento della nuova crisi generale del sistema imperialista mondiale. Contemporaneamente le condizioni della massa della popolazione peggiorano in ognuno di questi paesi e per una parte importante della popolazione anche le sue vecchie forme e condizioni di vita sono distrutte (accumulazione primitiva del capitale, espulsione della popolazione dalle campagne, inurbamento ed emigrazione).

Ma consideriamo la storia delle masse popolari e della classe operaia dei paesi imperialisti lungo i 140 anni trascorsi dopo che la borghesia della repubblica francese nella primavera del 1871 soffocò la Comune di Parigi massacrando circa 23 mila insorti e deportandone circa 40 mila (ed era la seconda volta che nel corso del secolo XIX la borghesia decimava la popolazione proletaria di Parigi).

Tra la fine della Comune di Parigi e lo scoppio della prima guerra mondiale (1914) passano 43 anni e le condizioni della stragrande maggioranza delle masse popolari dei paesi imperialisti sono tali che a nessuno, neanche della destra dei partiti socialisti (così allora si chiamavano i partiti del movimento comunista cosciente e  organizzato) ha osato dire che gli operai potevano e dovevano ritenersi soddisfatti. Al contrario la destra prometteva che col tempo le condizioni sarebbero migliorate e una parte di essa addirittura arrivava, sia pure contraddicendosi, a esortare anche i popoli delle colonie a pazientare perché sarebbero stati liberati dall’instaurazione del socialismo nei paesi europei (furono queste a grandi linee le tesi della II Internazionale, fino al Manifesto del Congresso internazionale socialista di Basilea – 25 novembre 1912).

Nell’agosto 1914 iniziano 31 anni di guerre mondiali e di dittature naziste e fasciste, che ridussero l’Europa a un campo di macerie e uccisero e mutilarono varie decine di milioni di individui solo in Europa.

Cessata la guerra nel 1945, da allora a oggi abbiamo avuto in Europa 66 anni senza guerre su grande scala in casa propria. I primi 30 (1945-1975: i “trenta gloriosi”) furono dedicati alla ricostruzione e a uno sviluppo superiore a quello dell’anteguerra con un effettivo miglioramento anche delle condizioni di vita e di lavoro della massa della popolazione dei paesi europei (le celebri conquiste strappate alla borghesia nel periodo del “capitalismo dal volto umano”). Fu questo l’unico periodo in cui i fatti reali potrebbero avvalorare la tesi della destra che la rivoluzione socialista in Europa non si è fatta perché, con concessioni su larga scala, la borghesia aveva attenuato le contraddizioni di classe e aveva corrotto (comperato) la classe operaia e le masse popolari.

A metà degli anni ’70 la borghesia in tutti i paesi europei (e negli altri paesi imperialisti, compresi gli USA) ha iniziato ad eliminare le conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari le avevano strappato nei 30 anni precedenti. La storia degli ultimi 36 anni è storia contemporanea. Per circa trent’anni la borghesia imperialista è riuscita a rendere graduale il degrado delle condizioni di esistenza delle masse popolari dei paesi imperialisti con una serie di misure che facevano perno sulle Forme Antitetiche dell’Unità Sociale, sulla finanziarizzazione dell’economia, su un aumento dell’integrazione mondiale sul piano economico, monetario e finanziario che si è avvalsa della supremazia mondiale della borghesia imperialista USA, sull’integrazione nel sistema imperialista mondiale dei primi paesi socialisti, ma soprattutto avvalendosi della corruzione e dissoluzione dei vecchi partiti comunisti e delle organizzazioni di massa (sindacati, ecc.) ad essi collegati: il movimento comunista cosciente e organizzato è ritornato ai minimi di 150 anni fa, con in negativo la lezione della sconfitta subita e in positivo il lascito di idee, di sentimenti e di esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria. Se oggi consideriamo l’insieme dei paesi imperialisti, vale per ognuno di essi quello che constatiamo nel nostro paese: in nessun paese esiste una direzione autorevole (per il prestigio e per i legami con la massa degli operai) che abbia tratto le lezioni della prima ondata della rivoluzione proletaria e che su questa base promuova la rivoluzione socialista. E senza una direzione adeguata la rivoluzione socialista non può compiersi.

Sulla base di questo panorama, le cui grandi linee nessuno credo può contestare, quale sostegno ha la tesi che durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, diciamo fino agli anni ’50 del secolo scorso, nei paesi imperialisti non si è fatta la rivoluzione socialista a causa delle concessioni che la borghesia avrebbe fatto alle masse popolari? Due guerre mondiali e le dittature naziste e fasciste sono le “concessioni” che la borghesia ha fatto in quel periodo alla classe operaia e alle masse popolari dei paesi europei!

2. Quello che i partiti comunisti dei paesi imperialisti non avevano capito delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe

Il secondo ordine di argomenti consiste nel fatto che oggi, a posteriori, sono evidenti i limiti dei comunisti, anche della sinistra del movimento comunista, cioè della parte più devota alla causa e più eroicamente dedita ad essa, nella comprensione della storia del mondo e delle leggi della sua trasformazione. Riassumiamo per sommi titoli i  principali: la loro descrizione nei dettagli è data in altri documenti del Partito.(8)

2.1. La forma della rivoluzione socialista. La rivoluzione socialista per sua natura non è una insurrezione delle masse popolari che scoppia e nel corso della quale i comunisti, che meglio di altri rappresentano gli interessi delle masse popolari, prendono il potere e attuano le trasformazioni che sono nell’interesse della stragrande maggioranza della popolazione. Che anche la sinistra del movimento comunista concepisse più o meno chiaramente, ma in questo modo, la forma della rivoluzione socialista è un dato di fatto. La scoperta annunciata da Engels nel 1895 non è stata ripresa e tanto meno sviluppata nei decenni successivi, fino a quando nel movimento comunista internazionale circa 30 anni fa, su impulso principalmente del Partito comunista del Perù, è stato affermato che il maoismo è la terza superiore tappa della concezione comunista del mondo: uno dei principali apporti del maoismo è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata come forma universale della rivoluzione proletaria (vedere per dettagli L’ottava discriminante in La Voce n. 9 e 10 e come opuscolo a se stante o Manifesto Programma del (nuovo) Partito comunista italiano). Che la rivoluzione non sia scoppiata è un altro dato di fatto. Che per sua natura la rivoluzione socialista è una guerra di lunga durata in cui le masse popolari si mobilitano via via su scala più larga dirette dal partito comunista poteva derivare da una comprensione più avanzata della natura della rivoluzione socialista, a cui Engels aveva aperto la strada.

2.2. La lotta di classe nel partito comunista e nei paesi socialisti. La concezione del partito monolitico travisa e coarta la realtà e ostacola lo sviluppo del partito: il partito si sviluppa e si rafforza tramite la lotta tra le due linee nel partito. Nel socialismo esiste ancora una classe dirigente e la borghesia (l’ala destra della classe dirigente, promotrice del capitalismo) è costituita principalmente dai dirigenti che promuovono e sostengono per i problemi dello sviluppo della società socialista soluzioni mutuate dalla società borghese. È impossibile evitare che la borghesia eserciti la sua influenza nel partito: è possibile contenere la sua influenza tanto meglio quanto più la si riconosce e conosce. In proposito vedere Lotta tra due linee nel Partito comunista in La Voce n. 35.

2.3. La natura della crisi economica del capitalismo nell’epoca imperialista. Le crisi cicliche si attenuano in oscillazioni di piccola ampiezza che la borghesia gestisce grazie alle Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS) di cui si è dotata. Subentrano le crisi generali per sovrapproduzione assoluta di capitale che non ammettono soluzioni puramente economiche, ma sono risolte dallo sconvolgimento del complesso delle relazioni sociali dei singoli paesi e del sistema delle relazioni internazionali tramite la rivoluzione o la guerra mondiale.

2.4. La borghesia imperialista oppone resistenza accanita alla rivoluzione socialista. A questo fine essa impara, nei limiti permessi dalla sua natura di classe sfruttatrice, dall’esperienza della lotta di classe e modifica il regime politico con cui gestisce la sua contraddizione con la classe operaia e le masse popolari nei paesi imperialisti. La  natura del regime politico dei paesi imperialisti è un risultato specifico della lotta di classe nella società borghese: la controrivoluzione preventiva (vedere Manifesto Programma capitolo 1.3.3.).

Il movimento comunista cosciente e organizzato nel corso della prima ondata

della rivoluzione proletaria non arrivò alla comprensione di nessuno di questi quattro aspetti della realtà. Essi erano tuttavia indispensabili perché i partiti comunisti si dessero una strategia giusta e potessero scegliere le tattiche giuste per fare la rivoluzione.

L’ignoranza di questo, non la corruzione della classe operaia e delle masse popolari, hanno impedito finora l’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti.

Conclusione

La conclusione di questo bilancio è che è possibile fare la rivoluzione socialista e instaurare il socialismo sia nei paesi imperialisti europei sia negli USA senza aspettare che il successo della rivoluzione di nuova democrazia nei paesi oppressi del sistema imperialista mondiale privi la borghesia imperialista dei sovrapprofitti che essa ricava dal loro sfruttamento. Con questa convinzione scientificamente fondata, il nuovo Partito comunista italiano, basato sul marxismo-leninismo-maoismo, affronta il compito di instaurare il socialismo in Italia e contribuire alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo.

Riteniamo anzi che sia difficile che la rivoluzione di nuova democrazia possa svilupparsi oltre un certo livello nei paesi oppressi se il movimento comunista non instaurerà il socialismo almeno in alcuni dei paesi imperialisti. Non perché la forza che il sistema imperialista mondiale può mobilitare contro la rivoluzione nei paesi oppressi sia schiacciante sul piano militare: le guerre che esso ha in corso in Palestina, in Afghanistan, in Iraq, in Libia mostrano chiaramente i suoi limiti. Ma perché le difficoltà incontrate dai partiti comunisti russo, cinese, vietnamita, cubano ecc. mostrano chiaramente quanto sia difficile condurre con successo la transizione al comunismo nei paesi oppressi, anche una volta conquistato il potere. Anche da qui sorge l’appello che rivolgiamo con forza ai partiti comunisti dei paesi oppressi, in particolare a quelli che sono più influenti a livello internazionale, perché “portino la guerra nella casa del nemico imperialista”, aiutando i partiti comunisti dei paesi imperialisti a promuovere con maggiore vigore e rapidità la rinascita del movimento comunista.

Ai comunisti dei paesi imperialisti invece diciamo: nei nostri paesi vi sono una gran quantità di individui che si dicono e sinceramente si credono e vogliono essere comunisti. I comunisti che tireranno le giuste lezioni dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, anche se all’inizio saranno pochi, se uniranno le loro ancor deboli forze riusciranno a mobilitare i molti comunisti esistenti ed insieme diventeranno una forza irresistibile e il marasma della nuova crisi generale del capitalismo, entrata nella sua fase terminale, si rovescerà nel suo contrario: sarà il terreno fecondo da cui sorgeranno nuovo paesi socialisti e la nuova fase della storia dell’umanità.

Umberto C.

Note

1. Quando alla vigilia della rivoluzione borghese europea del 1848 Marx ed Engels redassero il Manifesto del partito comunista, essi dedicarono il cap. 3 a fissare chiaramente le discriminanti tra il comunismo come essi lo intendevano e i vari comunismi e socialismi propagandati nella letteratura corrente dell’epoca. Oggi è per noi comunisti marxisti-leninisti-maoisti indispensabile distinguere nettamente il movimento comunista di cui trattiamo e di cui siamo esponenti e protagonisti, dai comunismi e socialismi di moda. In questa sede non facciamo però una disanima di dettaglio di questi ultimi. Ci basta indicarne due grandi famiglie: il socialismo del XXI secolo e il socialismo di mercato.

I propagandisti del “socialismo del XXI secolo” si avvalgono del prestigio del movimento antimperialista capeggiato in America Latina da Hugo Chavez per contrabbandare miscele informi in cui confluiscono, in dosi diverse di caso in caso, 1. il rinnegamento non proclamato dell’esperienza dei primi paesi socialisti e del patrimonio dell’Internazionale Comunista (fondata nel 1919 – formalmente sciolta nel 1943 e dissolta di fatto alla fine degli anni ’50) che viene “solo” accantonato e ignorato in nome di un “vero socialismo” che viene lasciato nel vago al modo tipico della maggior parte degli opportunisti e dei revisionisti, 2. la rinuncia alla instaurazione del socialismo e allo scontro con le forze reazionarie giustificata con una valutazione dei rapporti di forza che ingigantisce la forza del sistema imperialista mondiale (“il nemico è troppo forte, non si può fare di più di quello che fanno il Venezuela e Cuba, ecc.”), 3. il ritorno ad un supposto stato di natura, che ogni autore  inventa sommando i caratteri di popolazioni primitive di sua scelta separati a suo piacere dai caratteri per lui non accettabili ma che di fatto li accompagnano, popolazioni che l’autore esalta in nome della resistenza che esse, sulla scia dell’impulso che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha impresso al progresso delle classi e dei popoli oppressi, hanno incominciato ad opporre alla loro distruzione da parte del sistema imperialista mondiale. Un esponente rappresentativo di simili miscugli è il prof. Luciano Vasapollo, autorità della Rete dei Comunisti in campo teorico.

I sostenitori del “socialismo di mercato” si fanno forti del successo economico e politico della Repubblica Popolare Cinese e del Partito Comunista Cinese e della ancora non completa integrazione della RPC nel sistema imperialista mondiale e propagandano un socialismo che si riduce alla gestione pubblica pianificata dell’attività economica, trascurando la lotta contro la divisione in classi e contro il complesso delle relazioni sociali, delle idee e dei sentimenti connessi a questa divisione e la lotta per l’instaurazione del socialismo a livello mondiale. Per i sostenitori del “socialismo di mercato” è trascurabile

che la RPC e il PCC con la riforma promossa da Teng Hsiao-ping alla fine degli anni ’70 abbiano abbandonato 1. nelle relazioni internazionali, ogni aspirazione e tentativo di svolgere il ruolo di base rossa della rivoluzione proletaria mondiale e, 2. all’interno, la lotta per affermare la direzione della classe operaia sulla base della proprietà pubblica dei mezzi di produzione. Esponenti di questa corrente si trovano in Rifondazione Comunista, nel Partito dei Comunisti Italiani, nei gruppi riuniti attorno a riviste come l’Ernesto e Gramsci oggie a siti web come www.lacinarossa.net e www.robertosidoli.net.

2. In questo contesto viene rialimentata la disputa sulla natura umana, un vecchio terreno di esercitazione dei filosofi metafisici e dei preti. In sostanza tutti i filosofi metafisici in un modo e nell’altro sostengono che la specie umana e tutte le altre specie sono state create da dio nella notte dei tempi. Ogni specie avrebbe caratteri suoi propri, fissi e immutabili nel tempo. Le specie non si trasformerebbero. Le concezioni metafisiche sono smentite dalla scoperta e dallo studio dell’evoluzione delle specie. Le specie attuali sono nate da altre specie. In particolare la specie umana ha subito nel corso dei millenni evoluzioni importanti sia sul piano fisico (cioè delle caratteristiche rilevabili e misurabili con gli strumenti e i procedimenti della fisica, della chimica, della biologia e di analoghe scienze) ma soprattutto sul piano delle capacità e attività spirituali dei suoi esponenti, della loro organizzazione e attività sociale e delle loro relazioni con il resto della natura. Il valore pratico delle dispute dei filosofi metafisici sulla natura umana in sostanza consiste nell’appoggio che esse portano alla tesi che il comunismo è impossibile da realizzare perché sarebbe un sistema di relazioni sociali incompatibile con la natura umana che a sua volta sarebbe un dato creato una volta per tutte da dio e rivelato e amministrato dai suoi preti. Noi comunisti al contrario ragioniamo della specie umana studiandone le manifestazioni e le opere storiche e ricostruendone tramite questo studio il percorso e le caratteristiche. Ha senso parlare della natura umana se la si intende come una combinazione di caratteri e capacità che si trasforma nel tempo ed è quindi storicamente determinata.

3. La relazione tra la concezione comunista del mondo e la lotta della classe operaia per la sua emancipazione dalla borghesia è stata studiata e illustrata da Lenin nel Che fare?, 1902 (Opere, vol. 5). In quest’opera Lenin denuncia anche l’influenza ideologica della borghesia che è all’origine delle tendenze che si manifestano nel movimento comunista a trascurare la concezione comunista del mondo e a concepire la lotta della classe operaia sulla base della concezione borghese del mondo, riducendola alle lotte rivendicative e alla protesta. Queste tendenze sono ancora oggi uno dei due ostacoli maggiori alla rinascita del movimento comunista: l’economicismo di cui si ammantano perfino gruppi che pur si dichiarano maoisti, come Proletari Comunisti.

4. Nel 1852, nella lettera del 5 marzo al compagno Joseph Weydemeyer, Marx riassunse la sua opera dicendo che quello che egli aveva fatto di nuovo rispetto alla precedente scienza della società umana elaborata da intellettuali borghesi era stato: “dimostrare 1. che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione; 2. che la lotta tra le classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato; 3. che questa dittatura medesima non costituisce che il passaggio all’estinzione di tutte le classi e a una società senza classi” (Opere complete, vol. 39).

5. In proposito vedasi L’ordinamento politico dei paesi socialisti e La rivoluzione borghese scoppia, la rivoluzione socialista è il risultato dell’attuazione di un piano di lotta, entrambi in La Voce n. 31, marzo 2009.

6. Di fatto la Federazione russa non riconosce ancora in pieno la supremazia che gli USA hanno acquisito nel sistema imperialista mondiale: questo ne fa un membro anomalo del sistema imperialista mondiale in cui occupa tuttavia un posto importante sul terreno economico e sul terreno politico. Si confronti la differenza tra la posizione della Russia e quella della Germania: un grande paese imperialista, la maggior potenza commerciale, ecc., ma dove non a caso stazionano ancora importanti forze militari USA, insediatesi più di 60 anni fa. Un discorso analogo a quello fatto per la Germania va fatto a proposito del Giappone. La Federazione russa e altri ex paesi socialisti si trovano ancora oggi nella terza delle tre fasi attraversate dai primi paesi socialisti indicate nel Manifesto Programma del (n)PCI (cap. 1.7.3.).

7. Nella Repubblica Popolare Cinese la proprietà statale, degli enti locali e delle cooperative supera ancora oggi l’80% delle forze produttive, comunque queste vengano misurate. Queste forze produttive sono gestite dalle autorità politiche nell’ambito di un piano e “la quantità fa qualità”, benché esista un settore di circa il 20% delle forze produttive che sono proprietà privata di capitalisti cinesi o stranieri. La Repubblica Popolare Cinese tutto sommato si trova oggi ancora nella seconda delle tre fasi attraversate dai primi paesi socialisti indicate nel Manifesto Programma del (n)PCI (cap. 1.7.3.).

8. Rimando in particolare a I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale, supplemento a questo numero di La Voce e all’articolo Che i comunisti dei paesi imperialisti uniscano le loro forze per la rinascita del movimento comunista in La Voce n. 12 novembre 2002. Entrambi i testi sono reperibili sul sito web www.nuovopci.it.

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