L’8 maggio si svolgerà a Milano il processo di appello per Rosalba Romano, la nostra compagna condannata in primo grado per “aver diffamato” Vladimiro Rulli, ex agente del VII Reparto mobile di Bologna. Per il contenuto e per il modo con cui è stato condotto il processo di primo grado, la sentenza è un pericoloso precedente: la condanna di Rosalba è una violazione del diritto alla difesa e dei diritti costituzionali; il “caso giudiziario” è prima di tutto un caso politico contro cui si devono schierare apertamente tutti coloro che hanno a cuore la difesa e l’attuazione della Costituzione. Di seguito riportiamo l’appello che abbiamo lanciato: a ogni lettore la richiesta di sottoscriverlo, farlo circolare, raccogliere e segnalarci prese di posizione e attestati di solidarietà a Rosalba.
Non ricostruiamo la vicenda che ha portato alla tua condanna, né trattiamo in generale dell’attività di Vigilanza Democratica, ci soffermiamo invece sulla mobilitazione in vista del secondo grado del processo: a chi è rivolto l’appello a mobilitarsi?
Già il processo che ho subito per diffamazione è stato un arbitrio, una rappresaglia per l’attività di Vigilanza Democratica e per la promozione sulle pagine del sito, che ora è chiuso, del copwatching (filmare gli agenti che compiono abusi): l’imputazione per diffamazione, per come è stata formulata nel mio caso, fin dal capo di imputazione è un attacco alla libertà di parola e un’intimidazione. Con la sentenza di primo grado le cose si sono aggravate: è stato leso il mio diritto alla difesa, dal momento che nelle motivazioni della stessa, quindi “a giochi fatti”, emerge che il giudice mi ha condannato per un reato diverso da quello contestatomi.
In questo senso ritengo che a mobilitarsi contro questa sentenza debbano essere tutti coloro che hanno a cuore i diritti democratici tra cui quelli alla libertà di espressione (ancorchè critica) e ad una piena difesa. E questo indipendentemente dal fatto che siano del tutto o per nulla d’accordo con le attività promosse da Vigilanza Democratica. Pertanto ci rivolgiamo a una vasta area: dai sinceri democratici ai sindaci, agli eletti a tutti i lvelli del M5S dei partiti di sinistra, progressisti e democratici, ma anche a quelli della Lega. Ci rivolgiamo alle decine di migliaia di persone che hanno dovuto fare fronte, direttamente o indirettamente, alla repressione e agli arbitri da parte del “potere costituito”. Ci rivolgiamo ai famigliari dei morti di Stato e alle vittime degli abusi in divisa, perché la loro lotta contro omertà, insabbiamenti, spirito di corpo e coperture ha rafforzato e rafforza la mobilitazione di tutti coloro che si battono per difendere i diritti conquistati con la vittoria della Resistenza, esattamente come la mobilitazione di molti militanti contro gli abusi in divisa ha rafforzato e rafforza la loro battaglia. Ci rivolgiamo anche a quella componente delle Forze dell’Ordine, come il Carabiniere Casamassima, che è stanca di subire una progressiva deriva reazionaria, gente che non si è arruolata per abusare del potere che gli conferisce la divisa e che oggi è marginalizzata, minacciata, osteggiata: quanti più saranno gli agenti che si faranno avanti, tanto più si metteranno nella condizione di difendersi e di tutelarsi e di contribuire a un rinnovamento delle Forze dell’Ordine di questo paese….
Approfondisci la questione della Lega…
Faccio due esempi. Recentemente il capogruppo della Lega al Consiglio Comunale di Verona si è dimesso in disaccordo con il convegno Mondiale delle Famiglie previsto a fine marzo: non era più disposto ad assistere alla propaganda maschilista, omofobica, medievale promossa dai vertici del suo partito. Questa è una piccola dimostrazione del fatto che crescono le contraddizioni fra quello che la Lega è e le aspettative e aspirazioni di cambiamento di chi l’ha votata e di una parte di chi vi milita. Un altro esempio è dato da quanto successo a Firenze agli ultras dell’Atalanta a inizio marzo: sono stati massacrati dalla Polizia, che ha bloccato i pullman in autostrada, senza alcuna ragione di ordine pubblico: ne è venuto fuori un caso nazionale, anche se le TV e i giornali più diffusi ne hanno parlato poco o non ne hanno parlato affatto. Ecco, il deputato più votato d’Italia, Daniele Belotti della Lega, si è sempre vantato di essere un ultras atalantino da quando aveva 7 anni e benchè gli ultras di Bergamo abbiano un solido orientamento “apolitico” è facile immaginare che parte del suo successo elettorale derivi anche da quel bacino lì. Cosa dirà e farà Belotti? Si presenterà a Bergamo con la felpa della Polizia e si scatterà foto con Gianni Tonelli (ex Segretario Nazionale del Sindacato Autonomo di Polizia e oggi deputato della Lega – ndr) o chiederà “verità e giustizia” per “il suo popolo”?
Queste sono contraddizioni concrete che dobbiamo imparare a usare con disinvoltura. A questo si aggiunge che, nel caso in cui nella Lega esistessero elementi che “hanno a cuore i diritti democratici”, in particolare fra eletti nelle istituzioni di qualunque livello, è bene che si palesino: è un bene per loro e sarebbe un bene per il paese…
Come condurrete la campagna?
Abbiamo poco tempo a disposizione e molte cose da fare. Più che sul come, è utile ragionare sul per cosa, sugli obiettivi. Lungi dallo sposare la tesi che “viviamo in un regime di moderno fascismo” è innegabile che la classe dominante stia mettendo in campo tutta una serie di forzature rispetto alle libertà individuali e collettive, rispetto all’uso dispiegato della violenza poliziesca contro le masse popolari (non solo contro i militanti politici!) e, d’altro canto, stia promuovendo una specie di “selezione naturale” nelle Forze dell’Ordine.
Ecco, l’obiettivo principale di questa mobilitazione è la combinazione di due aspetti: 1. consolidare un comune fronte contro queste forzature, considerando che il fronte esiste già, è variegato e attivo, esistono embrioni informali di coordinamento, ma in definitiva ognuno agisce in ordine sparso; 2. la mia assoluzione. Non solo per una questione individuale, ma come risvolto concreto della resistenza e della mobilitazione contro le forzature e le violazioni della Costituzione che si susseguono senza sosta in ogni campo della vita politica e sociale.
L’appello
Se vi dicessero che un tribunale ha condannato un imputato in primo grado di giudizio modificando nelle motivazioni della sentenza (quindi a giochi conclusi) il capo di imputazione, negandogli così di fatto il diritto alla difesa, pensereste che il paese di cui si parla non è l’Italia. Invece è così. In questo modo, in virtù proprio di questo escamotage, il 30 marzo 2018 Rosalba Romano è stata condannata dal Tribunale di Milano a seguito della denuncia di Vladimiro Rulli, agente del VII Reparto Mobile di Bologna che si è sentito “diffamato” da un articolo in sostegno a Paolo Scaroni (ultras del Brescia reso invalido a vita dal pestaggio immotivato di celerini andati assolti – per ora – solo in virtù della mancanza del numero identificativo e dei depistaggi delle indagini) pubblicato sul sito Vigilanza Democratica. Il processo doveva stabilire se fosse stata Rosalba a pubblicare l’articolo sul sito (questo era il capo originario di imputazione, quello per cui Rosalba ha potuto difendersi), ma a fronte di un dossier vuoto, qualcosa doveva essere escogitato per “impartire una lezione”: non importa se Rosalba abbia scritto o meno quell’articolo, lo abbia o meno pubblicato, si sia avvalsa o meno dell’aiuto di altri redattori, sapesse o meno della pubblicazione di quell’articolo sul sito, Rosalba ha diffamato l’agente Vladimiro Rulli, in un modo o in un altro, e per questo è stata condannata.
Se voi rispondeste “se Rosalba non ha nulla da temere, se è innocente, allora sarà senz’altro prosciolta da ogni accusa nel processo d’appello”, noi risponderemmo che il ricorso in appello è stato presentato, ma non sarà una giustizia “super partes” a garantire Rosalba. La sentenza di primo grado è un pericoloso precedente. La condanna a Rosalba per via giudiziaria è la condanna politica a Vigilanza Democratica, un sito (oggi chiuso) gestito da attivisti contro gli abusi in divisa e, più precisamente, per la trasparenza nella catena di comando delle forze dell’ordine (Polizia di Stato) e forze armate (Carabinieri), per contrastare la retorica delle “singole mele marce” che va in scena dopo ogni caso di abuso in divisa. Nel corso dell’attività di Vigilanza Democratica (ricerca, inchiesta, campagne di opinione, sostegno alle famiglie delle vittime degli omicidi di stato), e ancora di più nel corso della campagna di solidarietà a Rosalba durante il processo di primo grado, è emerso molto chiaramente il limite che “non è concesso oltrepassare”. Certi apparati dello Stato “tollerano” la denuncia contro i singoli casi di abusi, ma non tollerano in alcun modo che vengano a galla le relazioni fra i singoli agenti che compiono abusi (le “mele marce”) e i loro reparti (il contesto), fra i loro reparti e i comandi (i burattinai), fra i comandi e i comitati politici più o meno formali e di certo non completamente legali (le “alte sfere”). Pertanto NO, noi non abbiamo alcuna cieca fiducia che il processo di appello faccia giustizia di per sè, ma siamo fermamente convinti che solo un’ampia campagna di opinione possa far valere “lo stato di diritto”, la Costituzione e i diritti democratici su biechi interessi particolari.
L’8 maggio si terrà a Milano il processo di appello contro la condanna a Rosalba. Chiediamo a singoli cittadini, organismi, personaggi politici, del mondo delle associazioni e della società civile di prendere pubblicamente posizione in solidarietà a Rosalba, di schierarsi, di metterci la faccia, di farsi sentire. Come?
– attraverso dichiarazioni pubbliche (testi, video);
– attraverso fotografie;
– portando il caso nelle istituzioni;
– partecipando alla raccolta di fondi per sostenere le ingenti spese a cui è stata condannata (Rosalba di mestiere fa l’infermiera precaria, non ha “santi in paradiso”…): Postepay 5333171000241535 intestata a Gemmi Renzo.
L’8 maggio si svolgerà a Milano il processo di appello per Rosalba Romano, la nostra compagna condannata in primo grado per “aver diffamato” Vladimiro Rulli, ex agente del VII Reparto mobile di Bologna. Per il contenuto e per il modo con cui è stato condotto il processo di primo grado, la sentenza è un pericoloso precedente: la condanna di Rosalba è una violazione del diritto alla difesa e dei diritti costituzionali; il “caso giudiziario” è prima di tutto un caso politico contro cui si devono schierare apertamente tutti coloro che hanno a cuore la difesa e l’attuazione della Costituzione. Di seguito riportiamo l’appello che abbiamo lanciato: a ogni lettore la richiesta di sottoscriverlo, farlo circolare, raccogliere e segnalarci prese di posizione e attestati di solidarietà a Rosalba.
Se vi dicessero che un tribunale ha condannato un imputato in primo grado di giudizio modificando nelle motivazioni della sentenza (quindi a giochi conclusi) il capo di imputazione, negandogli così di fatto il diritto alla difesa, pensereste che il paese di cui si parla non è l’Italia. Invece è così. In questo modo, in virtù proprio di questo escamotage, il 30 marzo 2018 Rosalba Romano è stata condannata dal Tribunale di Milano a seguito della denuncia di Vladimiro Rulli, agente del VII Reparto Mobile di Bologna che si è sentito “diffamato” da un articolo in sostegno a Paolo Scaroni (ultras del Brescia reso invalido a vita dal pestaggio immotivato di celerini andati assolti – per ora – solo in virtù della mancanza del numero identificativo e dei depistaggi delle indagini) pubblicato sul sito Vigilanza Democratica. Il processo doveva stabilire se fosse stata Rosalba a pubblicare l’articolo sul sito (questo era il capo originario di imputazione, quello per cui Rosalba ha potuto difendersi), ma a fronte di un dossier vuoto, qualcosa doveva essere escogitato per “impartire una lezione”: non importa se Rosalba abbia scritto o meno quell’articolo, lo abbia o meno pubblicato, si sia avvalsa o meno dell’aiuto di altri redattori, sapesse o meno della pubblicazione di quell’articolo sul sito, Rosalba ha diffamato l’agente Vladimiro Rulli, in un modo o in un altro, e per questo è stata condannata.
Se voi rispondeste “se Rosalba non ha nulla da temere, se è innocente, allora sarà senz’altro prosciolta da ogni accusa nel processo d’appello”, noi risponderemmo che il ricorso in appello è stato presentato, ma non sarà una giustizia “super partes” a garantire Rosalba. La sentenza di primo grado è un pericoloso precedente. La condanna a Rosalba per via giudiziaria è la condanna politica a Vigilanza Democratica, un sito (oggi chiuso) gestito da attivisti contro gli abusi in divisa e, più precisamente, per la trasparenza nella catena di comando delle forze dell’ordine (Polizia di Stato) e forze armate (Carabinieri), per contrastare la retorica delle “singole mele marce” che va in scena dopo ogni caso di abuso in divisa. Nel corso dell’attività di Vigilanza Democratica (ricerca, inchiesta, campagne di opinione, sostegno alle famiglie delle vittime degli omicidi di stato), e ancora di più nel corso della campagna di solidarietà a Rosalba durante il processo di primo grado, è emerso molto chiaramente il limite che “non è concesso oltrepassare”. Certi apparati dello Stato “tollerano” la denuncia contro i singoli casi di abusi, ma non tollerano in alcun modo che vengano a galla le relazioni fra i singoli agenti che compiono abusi (le “mele marce”) e i loro reparti (il contesto), fra i loro reparti e i comandi (i burattinai), fra i comandi e i comitati politici più o meno formali e di certo non completamente legali (le “alte sfere”). Pertanto NO, noi non abbiamo alcuna cieca fiducia che il processo di appello faccia giustizia di per sè, ma siamo fermamente convinti che solo un’ampia campagna di opinione possa far valere “lo stato di diritto”, la Costituzione e i diritti democratici su biechi interessi particolari.
L’8 maggio si terrà a Milano il processo di appello contro la condanna a Rosalba. Chiediamo a singoli cittadini, organismi, personaggi politici, del mondo delle associazioni e della società civile di prendere pubblicamente posizione in solidarietà a Rosalba, di schierarsi, di metterci la faccia, di farsi sentire. Come?
– attraverso dichiarazioni pubbliche (testi, video);
– attraverso fotografie;
– portando il caso nelle istituzioni;
– partecipando alla raccolta di fondi per sostenere le ingenti spese a cui è stata condannata (Rosalba di mestiere fa l’infermiera precaria, non ha “santi in paradiso”…): Postepay 5333171000241535 intestata a Gemmi Renzo.