Nei numeri 1 e 2/2019 di Resistenza abbiamo trattato della crisi ambientale, di come essa sia causata dal modo di produzione capitalista e aggravata dalla crisi generale, di come la soluzione sia strettamente legata alla costruzione della rivoluzione socialista. Con questo articolo proseguiamo il ragionamento partendo dal successo delle manifestazioni che il 15 marzo scorso si sono svolte in molti paesi del mondo sull’onda dei “Fridays For Future”, i “venerdì per il futuro”: milioni di persone sono scese in piazza per la difesa dell’ambiente e contro i cambiamenti climatici, rivendicando immediate misure per invertire il corso disastroso delle cose che mette a repentaglio la stessa vita degli uomini sulla terra.
Le mobilitazioni non sono partite dal basso, sono state promosse dalla stessa classe dominante. Ciò è evidente dal grande risalto mediatico che i media di regime hanno dato agli eventi e nel nostro paese è ancora più evidente per il fatto che tanti sostenitori delle manifestazioni si siano schierati contro la manifestazione del 23 marzo, anch’essa in difesa dell’ambiente, ma più precisamente contro le grandi opere speculative, inutili e dannose (un esempio: dopo la vittoria alle primarie del PD, Zingaretti ha dedicato il successo a Greta Thunberg, volto pubblico dei “Fridays For Future”, ma il giorno seguente si è recato n Val Susa per sottolineare il sostegno al TAV).
La matrice delle mobilitazioni del 15 marzo induce i comunisti dogmatici e i “duri e puri” a denunciarle come una “truffa” e a denigrare le centinaia di migliaia di persone, in larga parte giovani e giovanissimi, che vi hanno partecipato anche nel nostro paese. Ma si tratta di aspetti ampiamente secondari: quello che conta non è chi promuove la mobilitazione, né gli obiettivi immediati che i promotori puntano a raggiungere (campagna elettorale per le elezioni europee? Regolamento di conti fra fazioni dei gruppi imperialisti? Affermazione dell’interclassismo “ambientalista” come forma di intossicazione rispetto alla lotta di classe?), l’aspetto principale è costituito dalla spinta al protagonismo e alla partecipazione di chi si è mobilitato, dalla dimostrazione di interessarsi al futuro, dalla preoccupazione per il corso disastroso che la classe dominante impone alla società e al mondo.
I comunisti devono guardare più in profondità, ragionare e capire come valorizzare quella spinta ai fini della rivoluzione socialista. Il grande successo delle manifestazioni del 15 marzo:
– si inserisce nella svolta politica in corso dal 2016 nei paesi imperialisti: le masse popolari hanno scalzato o messo in forte difficoltà i promotori del programma comune della borghesia imperialista. Non è vero che le masse popolari sono passive o corrotte (come le rappresenta la sinistra borghese), è vero invece che cercano una strada, i modi, le forme per mobilitarsi contro gli effetti della crisi e che sono disposte a percorrere la strada che il senso comune corrente permette loro di individuare e praticare;
– dimostra che la mobilitazione delle masse popolari si sviluppa su larga scala a condizione dell’esistenza di un centro promotore che la suscita, la catalizza e la orienta. Basti pensare al fatto che in molte città italiane sono stati gli stessi dirigenti scolastici a promuovere la partecipazione degli studenti alle manifestazioni o a organizzare manifestazioni all’interno delle scuole, rendendo più semplice l’allargamento della mobilitazione. Più che un indice della sottomissione della masse popolari alle autorità costituite (le vecchie autorità borghesi) ciò offre numerosi spunti per ragionare sugli appigli da usare per spingere le istituzioni borghesi e i loro esponenti ad appoggiare, favorire e addirittura promuovere la mobilitazione e l’organizzazione delle masse popolari;
– è il segno di una tendenza positiva al coordinamento tra diversi settori delle masse popolari, e, in particolare da parte degli studenti, di una spinta a “uscire dalle scuole” e legarsi alle lotte contro la devastazione ambientale e contro le grandi opere inutili (nonostante la contrapposizione promossa tramite ogni canale e in ogni forma dalla classe dominante), alimentando la consapevolezza che nessuno si salva da solo.
Le manifestazioni del 15 marzo, infine, indicano che gli effetti della crisi generale costringono la stessa borghesia imperialista a promuovere la mobilitazione popolare per tentare di contenderne la direzione movimento comunista cosciente e organizzato che sta rinascendo. Per mobilitare le ampie masse, però, la borghesia imperialista non può agitare parole d’ordine reazionarie, è costretta a evocare obiettivi “di buon senso”, tipici del capitalismo dal volto umano: sostenibilità, decrescita felice, consumo responsabile e lotta agli sprechi, comportamenti virtuosi e responsabilità individuali, un armamentario che non ha nulla di innovativo e invece è già decrepito come il modello economico e sociale e la concezione del mondo da cui proviene e a cui fa riferimento.
E’ compito dei comunisti approfittare delle mobilitazioni del 15 marzo per spingere le masse popolari a consolidare i legami esistenti fra organismi studenteschi e ambientalisti e crearne di nuovi, sviluppare legami e coordinamento con le organizzazioni operaie e popolari (delle aziende capitaliste e delle aziende pubbliche) e per spingere le organizzazioni operaie e popolari ad agire da nuove autorità pubbliche anche nel campo della difesa dell’ambiente.