La Resistenza, il punto più alto raggiunto dalla classe operaia nella sua lotta per il potere

Cari compagni,

ho recentemente letto l’opuscolo Il punto più altro raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia nella sua lotta per il potere, pubblicato dalle Edizioni Rapporti Sociali per il cinquantesimo anniversario della vittoria della Resistenza, nel 1995. L’ho trovato molto attuale rispetto agli insegnamenti che possiamo trarre da quell’esperienza per favorire la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato e fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Vi scrivo quindi per consigliarne la lettura, ma soprattutto condividere alcuni spunti con voi e i lettori.

In questa fase in cui il principale nostro nemico è la sfiducia e lo scoraggiamento che serpeggiano tra le masse popolari, e a causa della sconfitta subita dal movimento comunista e dell’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria serpeggia in particolare fra coloro che “hanno la falce e il martello nel cuore”, la vittoria della Resistenza sul nazifascismo dimostra che le masse popolari non possono essere definitivamente sottomesse e che la loro capacità di lottare, di trasformare se stesse e il mondo si sviluppa con l’esperienza. Il fascismo fu la dittatura terroristica della borghesia, ma né gli intrighi polizieschi, né la polizia politica, né il Tribunale Speciale, né tanto meno l’articolato sistema di controllo e manipolazione delle coscienze messo in campo dal regime attraverso manifestazioni, scuola, radio, cinema, giornali e altro, salvarono il regime dalla rovina: “La storia del fascismo e della resistenza organizzata durante il ventennio e della Resistenza dimostra che la borghesia è una classe decadente, che ogni successo della borghesia è aleatorio, che né con la forza né con il condizionamento psicologico essa può fermare la storia e impedire che l’esperienza pratica spinga le masse popolari a lottare contro la borghesia imperialista. Dimostra che in definitiva la sorte delle masse popolari è nelle loro manie nelle mani della classe operaia e non in quelle dei loro oppressori. (…) Proprio il grande impiego di armi e di strumenti di formazione e di controllo delle coscienze attuato dal fascismo per tenere sottomesse le masse conferma che le masse e solo le masse fanno la storia e che anche le sorti della borghesia imperialista e del suo sistema sociale dipendono in definitiva dalle masse”.

Le temporanee vittorie della borghesia non avvengono a causa della sua forza, ma perché la classe operaia e le masse popolari non sono guidate da un partito comunista all’altezza dei propri compiti, capace di condurle alla vittoria. Tuttavia, dopo ogni temporanea sconfitta, l’esperienza pratica spinge comunque nuovamente le masse popolari a lottare contro la borghesia e tale movimento fa sorgere in seno ad esse nuovi comunisti.

Questo emerge chiaramente dalla storia della lotta antifascista. Durante l’ascesa del fascismo il neonato PCd’I, la cui dirigenza era dominata dal settarismo, si rifiutò di dirigere il movimento antifascista che andava organizzandosi negli Arditi del Popolo (vedi articolo a pag. 7), che fu sconfitto e, temporaneamente, si disperse. Nonostante il gravissimo colpo che il regime inflisse al movimento comunista e popolare, il PCI riuscì a invertire la rotta, a prendere in mano la direzione della mobilitazione popolare e, grazie anche al sostegno dell’Internazionale Comunista, a legarsi profondamente con le masse popolari (persino fra gli operai iscritti nei sindacati fascisti), guidandole con successo a farla finita con il regime fascista. La classe operaia esercitò un ruolo decisivo nella Resistenza con gli scioperi, con le azioni dei GAP e delle SAP, con le dimostrazioni, con il contributo alle formazioni partigiane, dimostrando concretamente che la sua direzione può facilmente estendersi alla grande maggioranza della popolazione.

Questo è un insegnamento estremamente importante: dobbiamo contrastare le tendenze settarie che portano a isolare la classe operaia e a contrapporla al resto delle masse popolari, dobbiamo invece promuovere la sua mobilitazione anche in quegli ambiti in cui le masse popolari sono oggi mobilitate e orientate dai partiti borghesi: la classe operaia deve dirigere la mobilitazione del resto delle masse popolari poiché, citando Marx, “emancipa se stessa solo emancipando il resto dell’umanità”. “La Resistenza conferma che la classe operaia costituisce una classe dirigente mille volte più forte della borghesia imperialista, che la sua direzione sulle masse popolari dispone di risorse e strumenti di cui la borghesia imperialista non può disporre e mille volte più potenti degli strumenti (la forza dell’abitudine, l’ignoranza e l’abbrutimento, il ricatto economico, la violenza) di cui dispone la borghesia per esercitare la sua direzione”.

I limiti e gli errori del PCI impedirono il consolidamento dei risultati raggiunti con la Resistenza e l’avanzamento della rivoluzione socialista: il gruppo dirigente, a partire da Togliatti, propugnava la collaborazione fra le classi e l’abbandono dell’obiettivo rivoluzionario in favore della “via parlamentare al socialismo”: “Abbiamo già messo in risalto alcuni di questi limiti e abbiamo ricavato dalla nostra analisi la tesi che “il maoismo è la terza e superiore tappa del pensiero comunista dopo il marxismo e il leninismo”. Crediamo che in questa sede i limiti e gli errori riscontrabili nell’azione del partito comunista della classe operaia (PCI) nella Resistenza si riassumano nella mancanza durante la resistenza organizzata al fascismo (1922-1943) e durante la Resistenza di una giusta comprensione della trasformazione che la società stava compiendo, del carattere generale e di lunga durata della crisi in corso, delle due vie attraverso cui la crisi generale del capitalismo poteva trovare soluzione, ella inevitabilità della guerra e del crollo del fascismo, della trasformazione della mobilitazione reazionaria in rivoluzionaria, della necessità di combinare lotta contro il nazifascismo con la mobilitazione delle masse per la trasformazione socialista dell’economia (donde anche i limiti della mobilitazione popolare per la guerra contro il nazifascismo), nella scarsa fiducia nelle sorti della classe operaia (donde la sopravvalutazione della forza della borghesia e le eccessive concessioni per “tirarla” nella Resistenza), nella non adozione consapevole e sistematica della linea di massa come principale metodo di lavoro e di direzione, nella incomprensione della lotta tra due linee in corso nel partito. Da qui l’importanza oggi dell’analisi della causa e della natura della crisi in corso, della teoria della situazione rivoluzionaria in sviluppo, della teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, della linea di massa, del maoismo”.

Per essere all’altezza dei propri compiti il partito comunista deve avere una giusta comprensione della lotta di classe e ricavarne, alla luce della concezione comunista del mondo, una linea adatta a guidare le masse popolari ad instaurare il socialismo.

M.S.

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