Su Resistenza n. 3/2019 a pagina 3 sono stati pubblicati stralci delle interviste rilasciate da un gruppo di lavoratrici delle pulizie alberghiere, immigrate, che si sono ribellate alle vessazioni e talvolta alle violenze riservate loro dal padrone. A fronte dei licenziamenti e delle ritorsioni subite, le lavoratrici si sono organizzate e hanno messo in evidenza il significato di essere donna, lavoratrice oltre che immigrata.
Nella società capitalista infatti le donne delle masse popolari sono costrette da una doppia oppressione, di genere e di classe e oggi chi separa la lotta contro l’oppressione delle donne dalla lotta per instaurare il socialismo, indebolisce anche la lotta per la loro emancipazione. È in questo contesto di lotta politica rivoluzionaria contro il capitalismo e i suoi privilegi che le tante “sfortunate sorelle di sventura” possono diventare alleate nella lotta per l’emancipazione femminile e per la costruzione del socialismo, a partire dalla loro mobilitazione e organizzazione per un lavoro dignitoso.
Per questi motivi , il V Congresso del P. CARC ha sancito l’utilizzo del criterio della “discriminante positiva” per donne, giovani e immigrati: a parità di capacità e volontà tra due o più individui, viene data la priorità per incarichi di responsabilità e ruoli dirigenti nel partito a donne piuttosto che uomini, a giovani piuttosto che adulti, ad immigrati piuttosto che autoctoni.
Di seguito l’intervista integrale.
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D: Innanzitutto vi chiediamo di presentarvi e parlarci delle vostre condizioni di lavoro.
C: Buongiorno, mi chiamo Cristina Olteanu, ho trentadue anni e vengo dalla Romania. Ho una bambina e convivo con il mio compagno. Sono venuta in Italia a diciott’anni. In Romania ho fatto il liceo e poi sono venuta subito qui in Italia per cercare lavoro. Sono venuta perché i miei fratelli erano già qui. Abbiamo tutti trovato subito lavoro, ci siamo adattati alle condizioni e ci siamo trovati bene, anzi benissimo. Lavoriamo tutti. Il mio compagno lavora alla Ricci Casa, trasporto e montaggio mobili. Non so quanti lavorano lì, ma è un lavoro fisso e sta bene, cioè i lavoratori sono trattati come devono essere trattati. Anche i nostri amici più o meno al lavoro stanno tutti bene. Le uniche ad avere avuto problemi siamo io e le mie colleghe.
Dal 2012 ho lavorato part-time in un albergo. Si chiamava Park Hyatt e ci pagavano. Eravamo con la stessa ditta di ora, che si chiama HO Group, e quando non mi pagava mi rivolgevo direttamente all’albergo e il giorno dopo mi pagavano. I problemi sono iniziati nel 2016, quando mi hanno trasferito all’Hotel Boscolo, che ora si chiama Palazzo Matteotti. Hanno smesso di pagarci tutte le ore e di rispettare i contratti: le ferie, gli assegni, la mensa, la divisa, i premi aziendali. L’albergo sapeva ma non ha fatto niente. Ma se io faccio cento ore e me ne paghi quaranta vuol dire che sessanta le sto lavorando gratis. Io per andare avanti ho dovuto chiedere prestiti per pagare le spese: le rate, i mutui e tutto quanto. Ho dovuto chiedere due prestiti in tre anni perché non riuscivo ad andare avanti. Sulle buste paga le ore c’erano ma non mi venivano pagate. Mi dicevano: “devi andare via, non devi stare qui a lavorare se non ti trovi bene”. Ma il punto non era che non mi trovavo bene, il punto era che io avevo questo contratto dal 2012, volevo lavorare con questo contratto e volevo che fosse applicato. Per questo abbiamo iniziato a mobilitarci, perché era giusto essere pagate. Sono i nostri diritti.
Dal primo gennaio 2019, dopo avergli fatto causa e aver vinto, mi hanno licenziata. Mi hanno detto che “non avevano più bisogno di me”. Ora stanno lavorando tutti tranne noi che abbiamo chiesto il riconoscimento dei nostri diritti. Non è giusto! È successo che siamo andate in ferie e, quando siamo tornate, a gennaio, abbiamo trovato una lettera in cui ci comunicavano che avevano perso l’appalto e che quindi non avevano più bisogno di noi. Ma noi venivamo da un altro appalto, per cui da un punto di vista legale loro avrebbero dovuto reinserirci, come era già successo, ma questa volta ci hanno lasciato a casa. Siamo in cinque a essere state lasciate a casa, tutte lavoratrici al Palazzo Matteotti dal 2016 e tutte trasferite da altri appalti. Ci hanno attaccato tutti per il solo fatto di aver chiesto diritti. Io conosco il nostro contratto, è il contratto turistico-alberghiero. Vogliamo tutti i soldi che fino ad ora non ci hanno pagato. Io sono riuscita a farmene pagare solo una parte finora.
V: Io sono Violeta, sono cameriera ai piani. Mi hanno licenziata e adesso sono a casa. Prendo solo la disoccupazione. Ho problemi con mia figlia di ventun anni che non può lavora perché è malata. Siamo venuti in Italia nel 2012 per curare mia figlia. Prima è arrivata mia suocera, poi ha chiamato mio marito e infine siamo venute io e mia figlia. Prima vivevamo tutti insieme, ora siamo noi tre da soli. Quando ero in Romania lavoravo in una fabbrica di pneumatici. Vengo da Prahova (Ploiesti), vicino a Bucarest. In questa fabbrica, Michelin si chiama, ho lavorato nove anni e nove mesi. Quando lavorato all’albergo ho avuto problemi, infatti sono stata minacciata perché non volevo rimanere oltre il mio orario. Ho lavorato per due anni dalle 8:30 alle 17/18 e adesso voglio che si rispetti il mio contratto, perché ho un contratto di sole 4 ore! Una volta per minacciarmi è arrivata una responsabile dicendomi che dovevo stare in albergo per finire tutte le camere oltre l’orario e che non potevo andare a casa. Io mi sono rifiutata e lei mi ha detto che il giorno dopo mi avrebbero licenziata. Non mi è nemmeno arrivata la lettera a casa. Ho 47 anni.
M: Io sono Mada, ho trentotto anni, due figli e sono sposata. Sono arrivata nel 2012 con il mio compagno e con i bambini perché volevo garantire loro una vita migliore, farli andare a scuola qui. Ad oggi, però, non lavorano. Mia figlia ha ventidue anni ed è in disoccupazione. Ha lavorato al Tanhouse 33 [un hotel a quattro stelle di Milano, ndr], dove prima lavoravo anch’io, ma non le hanno rinnovato il contratto. Mio figlio, invece, ha vent’anni e sta cercando un lavoro. È appassionato di parkour [uno sport particolare in cui si superano degli ostacoli in un percorso urbano, in voga fra i giovani, ndr]. In Romania ero a casa e badavo ai bambini piccoli. Pulivo, cucinavo, li accompagnavo a scuola. Ero casalinga. Mio marito qualche volta andava in Spagna a lavorare nei campi perché sua mamma era in Spagna da tanti anni. Io non ricevo soldi dalla cooperativa Blue Service da settembre! Da settembre! Più quattordicesima, tredicesima, 730, malattia: non ho preso niente fino ad adesso!
F: Buongiorno, mi chiamo Fabia Vastos, ho 48 anni e due figli. Sono di Fortaleza, nel nord est del Brasile. Ballo la samba e non sono sposata. In Brasile ero commessa. Sono venuta in Italia perché ho conosciuto un italiano con cui convivo da quasi vent’anni. Sono venuta per amore e mi sono fregata! Ho un permesso in regola. Da quasi cinque anni lavoro all’Hotel Boscolo di Milano con la cooperativa HPoint, che però non ci paga lo stipendio. Faccio questo lavoro da più di dieci anni e sono in HPoint da circa cinque. Ho la schiena spaccata. Devo fare un intervento e degli esami e la cooperativa non voleva che facessi gli esami specialistici. Noi ci ammazziamo per fare le camere e loro ci insultano e ci mettono le mani addosso. Poi ogni tanto ci mandano le lettere di contestazione a casa. Ci danno otto o dieci camere da fare in quattro ore. Appena finito la governante ci dice che la camera va bene, salvo poi mandarci una foto su WhatsApp per dirci che la camera fa schifo e che, quindi, non verremo pagate. A volte arriva anche la lettera di contestazione.
Vi voglio raccontare di quando sono stata aggredita sul posto di lavoro. A. mi ha aggredita mettendomi le mani addosso. Mi ha tirato i capelli perché avevo preso in mano un foglio. Quel foglio era mio. Lui, invece, non voleva che lo prendessi. Diceva che dovevo solo firmarlo senza leggerlo e che me l’avrebbe dato dopo averlo firmato. Io non volevo farlo, perché capivo che c’era qualcosa che non andava in quel foglio. L’ho preso in mano e per questo lui mi ha preso per i capelli, sono stata colpita anche dalla governante. Poi mi hanno chiusa in un bagno dicendomi che mi avrebbero tenuto lì finché non firmavo. Violeta ha visto tutto. L’ha chiamata A. stesso che le ha detto proprio: “vieni anche tu, così vedi”. Dopo sono corsa ai piani piangendo. Ho chiesto aiuto a Violeta, che era lì. Mi sono rinchiusa nella sua stanza, ho pianto e nella confusione sono caduta e mi sono fatta male. Sono arrivati i soccorsi, i carabinieri, il direttore e tutto quanto. Ho fatto denuncia, con Violeta come testimone. Ho fatto degli esami al Pronto Soccorso e per fortuna non c’era niente di rotto, ma psicologicamente sono distrutta. Sto frequentando il PSP [Progetto di sostegno psicologico], sono seguita dalla psicologa e dalla psichiatra. Ho provato a mettermi in infortunio, ma l’INAIL non me l’ha riconosciuto. Dovrei fare altri esami. A. mi ha fatto mandare una lettera dall’avvocato dicendo che ero stata io a picchiarlo ma non è vero: prima di tutto ci sono le telecamere, poi come faccio a prendere un uomo di due metri per il collo?
C: Hanno alzato le mani con lei quando ha rifiutato di firmare il licenziamento: loro l’hanno obbligata a firmare un licenziamento e sono venute tre persone ad aggredirla. Io ero a casa in malattia per l’intervento. È successo il 13 ottobre, perché ha rifiutato di firmare la lettera di licenziamento come voleva la ditta. Con quella lettera l’albergo pretendeva che firmassimo per dire che siamo a posto. Ma non è affatto vero: se io ti dico che non siamo a posto, non siamo a posto! Da me non sono mai venuti a chiedermi di firmare una cosa del genere perché sanno che non l’avrei mai fatto. Sono andati da chi è più debole. A quel punto le ragazze mi hanno chiesto un consiglio sul da farsi con l’azienda e io ho detto: “Si comportano malissimo e non pagano. Dovete prendervi le vostre responsabilità di fronte a loro perché non è giusto che facciano così!”. Ho parlato anche con il responsabile dell’albergo. Loro sapevano tutto, ma hanno fatto finta di non sapere.
F: Sai cosa fanno con noi? La nostra capa d’area, N., ci tende delle trappole. D’accordo con il governante mette dei contanti nelle camere che puliamo, per esempio nel cestino o sotto un comodino. Così, quando tu entri e trovi dei soldi abbandonati lì da una parte, ovviamente li prendi. Ma poi sei fregata! Loro li mettono apposta per poi accusarti di furto. Proprio ci si divertono. È successo a tutte: a me, Marinela, Violetta, Cristina – a tutte. Poi anche se li chiami per dirgli che hai ritrovato delle cose, loro di proposito non ti rispondono. Io una volta li ho chiamati perché avevo trovato un portafoglio, ma loro sapevano già il motivo della chiamata e non mi hanno risposto. Così ho preso il portafoglio e sono andata a consegnarlo di persona e li ho trovati nascosti che aspettavano di vedere se lo rubavo! Lo fanno con tutte le ragazze. Per esempio Mirella, che sta ancora lavorando lì, ha trovato seimila euro in un portafoglio vuoto, senza documenti né niente. Fanno ogni genere di trucchi per avere pretesti per trattarci come vogliono. A Cristina e a Bushra, per esempio, hanno sparso del sangue nella camera, sporcando tutto. Lo fanno per metterci in difficoltà e avere pretesti per licenziarci senza giusta causa o non pagarci!
D: A un certo punto avete detto basta! Vi state organizzando e vi siete unite perché avete tutte lo stesso problema: il rispetto del contratto. Ma come avete fatto? Vi siete trovate durante l’orario di lavoro o dopo il lavoro?
C: Chiediamo i soldi che ci devono: il premio, la divisa, la mensa, gli scatti di anzianità, le ore in più. Non sono straordinari: sono proprio quelle che abbiamo fatto in più e non ci è stato mai pagato. E rivogliamo il nostro posto di lavoro, perché stiamo lavorando con questa azienda dal 2014 e non è giusto che ci licenzino per un cambio appalto, dal momento che hanno tanti altri alberghi dove mandarci a lavorare. Le condizioni di lavoro, poi, sono pessime: le mie colleghe devono fare anche il lavoro dei facchini, devono alzare la biancheria, le bottiglie, i carrelli e tutto quanto. Questi non sarebbero compiti nostri. Io sono esentata perché ho portato un certificato medico. L’HOgroup ci obbligava a fare tutto. Io ho detto: ho diritto al lavaggio della divisa, ad avere da mangiare a mensa, allo scatto di anzianità che non mi date da tre anni. Io ti rispetto e tu mi devi rispettare. Non devi alzare la voce o minacciarmi dicendo: “vedi cosa ti succede quando esci fuori di qui”. Non è giusto. Loro si permettono queste cose. Alle altre ho detto: andiamo a chiedere i nostri diritti perché così non si può andare avanti. Ci siamo ritrovate licenziate senza alcun preavviso, solo perché abbiamo chiesto i nostri diritti. Non puoi licenziarmi perché chiedo i miei diritti, perché ti dico che da tre anni non ricevo i soldi delle ore che ho lavorato! All’inizio ho iniziato a muovermi da sola, dal 2016. Poi abbiamo cominciato a parlarne alla macchinetta del caffè. Parlavamo sempre di queste cose, come del fatto che facciamo cento ore e ce ne vengono pagate solo sessanta e così via. Parliamo sempre nelle pause perché durante il lavoro è impossibile. Oppure facciamo delle passeggiate di cinque minuti dopo il lavoro, nel tragitto per andare alla Metro.
V: Sì, è stata Cristina la prima a muoversi. Ha studiato i contratti ed è andata in tribunale. Aveva capito tutto. Ci ha spiegato che dobbiamo lavorare le nostre ore da contratto e basta e che, quando lavoriamo oltre, stiamo lavorando gratis. Sul lavoro riuscivamo a parlare alla macchinetta del caffè. Ci ritrovavamo lì per parlare alla pausa delle 12:30. Non ci vediamo fuori dal lavoro perché abitiamo lontane.
F: Siamo in sei. Ci sono anche altre ragazze che vogliono mobilitarsi, ma aspettano dopo il 28 di questo mese. Vogliono passare con noi, ma dopo il 28, perché hanno paura!
V: Anch’io ho avuto paura, con la situazione che ho con mia figlia malata. Ogni anno devo rinnovare la tessera sanitaria per avere accesso al sistema sanitario per me e mia figlia, e mi sono detta: se ti licenziano non potremo più curarci! Ma adesso ho deciso che voglio andare avanti.
V, M: Anche se per venire dalla Romania basta la carta di identità, bisogna comunque rinnovare la tessera sanitaria e per farlo serve un certificato del datore di lavoro che dimostra che stai lavorando. Sono andata dal sindacalista della CISL che mi ha mandato via email una dichiarazione da portare ogni anno per dimostrare che sono stata assunta. Mi serve per rinnovare la tessera sanitaria, e serve anche per coprire mia figlia, che ho a carico. Dice che le buste paga e il contratto di lavoro a tempo indeterminato non bastano: serve questa lettera. Io sapevo che dopo cinque anni di residenza potevi chiedere il permesso di soggiorno di lungo periodo a tempo indeterminato, per cui sono andata in Comune e ho fatto richiesta. Loro però mi hanno detto che la legge è cambiata, che non bastano più cinque anni di residenza ma servono anche cinque anni di rapporto di lavoro, senza un giorno in meno. A giugno faccio cinque anni lavorativi e potrò richiederlo.
F: Anch’io ne avrei diritto perché ho dieci anni di residenza. Ho portato tutti i documenti e pagato la pratica duecento euro ma me l’hanno bloccata. Stop, senza motivazione.
D: Prima di questa esperienza avevate mai partecipato a delle lotte?
C: No, perché se prima avevo una problematica andavo a parlarne direttamente e la cosa si risolveva. L’albergo Park Hyatt pagava tutto e non accettava che una ditta si comportasse male, mentre è stato proprio con questo nuovo albergo che sono iniziati i problemi. Poi al Park Hyatt è accaduto che io ho chiesto il premio di produzione AMPAR per 50 persone. Per questo motivo sono stata spostata, l’unica. Perché ho chiesto un premio per le mie colleghe. Ma non è normale? Loro alle fine l’hanno preso e io sono stata l’unica a non prenderlo, per quattro anni. A Palazzo Matteotti non l’ha preso nessuno, né io né loro. Mentre è scritto sugli accordi: “scatto di anzianità”!
D: Siete iscritte al sindacato?
F: Siamo ancora iscritte alla CISL. Cristina vuole che aspettiamo di finire le cause per toglierci. Ma alla CISL non ci hanno aiutato per niente! Vogliono solo i soldi delle trattenute sindacali. Ci prendono per il culo. Cristina diceva che questo sindacalista era bravo ma presto ci siamo accorte che di bravo non aveva niente. Luciano è bravo. Lo conosco da tanto perché lavora a Famagosta dove vado a fare la spesa. Sono una che attacca sempre bottone, curiosa, così ho saputo che lui era un sindacalista e la sua storia. L’ho detto alle mie compagne e ci siamo incontrati. Ho partecipato ai presidi per il suo reintegro, ero sempre con lui davanti a Famagosta. Luciano mi amor, è bravo!
C: Abbiamo saputo che quello che ci ha seguito dal 2010 a ora era d’accordo con l’azienda per farci fuori, per licenziarmi. Lui – di cognome Sireci [Gesualdo Sireci – FISASCAT-CISL] – ha fatto accordi per licenziarmi, anche se ancora non so che accordi siano stati fatti dentro l’albergo. Nell’altro albergo c’era un altro sindacalista della UIL e anche lui è stato d’accordo nello spostarmi dal Park Hyatt a Palazzo Matteotti, per chiudermi la bocca e non farmi parlare del premio. Tutti e due i sindacati sono stati d’accordo col padrone, hanno fatto accordi alle mie spalle. L’ho saputo ora quando siamo andate davanti all’albergo a chiedere i diritti, ho saputo che erano stati fatti accordi a mia insaputa e che non eravamo state avvisate. Sireci, il 21 dicembre, quando eravamo tutte e quattro in ferie, ha fatto gli accordi a nome nostro senza dirci nulla. Tornate dalle ferie siamo andate da lui perché volevamo impugnare la lettera di licenziamento e lui si è rifiutato perché ha detto che il suo sindacato, la CISL, non glielo faceva fare. “Ma scusa” – gli ho detto – “se mi segui da ottobre sei obbligato a rispondere alla lettera”. “Eh no” – ha detto lui – “non ho tempo”. Poi accampava mille scusa. Allora abbiamo deciso di andare da un altro avvocato, l’avvocato Ferro, su raccomandazione di Luciano. Questo avvocato è stato bravo e ha risposto, impugnandola, alla lettera di licenziamento.
D: Voi assunte nella ditta siete tutte donne e immigrate. Secondo voi se ne approfittano di questo?
C: Tantissimo! Perché loro dicono che siamo venute qui a lavorare e quindi dobbiamo accettare qualsiasi condizione. Ma questo non è vero perché se io lavoro tu mi devi rispettare, come io rispetto te. Se lavoro male puoi mandarmi via. Non dico che devi tenermi per forza. Ma se mi hai tenuto dal 2014 fino alla fine del 2018 significa che lavoro bene. Invece, il fatto di essere donne e immigrate fa sì che se ne approfittino. Per esempio ci minacciano per non farci andare dagli avvocati. Con gli uomini non se ne approfittano così. La mia responsabile mi ha detto: “tu sei una straniera di merda e devi andare al tuo paese a chiedere i diritti”. Io le ho risposto: “Ma come, lavoro qui da dodici anni, tu mi devi rispettare perché io pago le tasse come le paghi tu”.
V, F: Siamo quasi tutti stranieri a lavorare. Gli italiani sono i capi. Sono arrivate anche due o tre ragazze italiane, ma sono scappate via subito. Non reggono. Poi la cooperativa non vuole italiani. Gli uomini fanno i facchini anche se adesso hanno messo anche i facchini a fare le camere. Uomini a fare le camere! Li trattano male come a noi donne. Poi il fatto di essere donne ci dà più forza nell’affrontare questa lotta. Siamo unite tra di noi, sentiamo di avere gli stessi problemi. Ci sono anche le leccaculo ma adesso se ne stanno pentendo e vogliono venire con noi, perché ora stiamo con il sindacato giusto [SGB, ndr].
V: La nostra capa dice che gli stranieri devono pulire la merda dei cessi. Ma noi abbiamo lavorato sempre: sabato, domenica, tutte le feste.
D: Nella vita fuori fate parte di associazioni o fate attività con la comunità rumena? O con la chiesa?
C: No, con la bambina piccola non ho tempo. Mi devo occupare di lei: scuola, casa, compiti. Ha sette anni e non ho a chi lasciarla perché devo essere sempre io a occuparmene. Ho solo qualche amico con cui usciamo ogni tanto, niente di che. Mi piacerebbe fare più cose ma ho la bambina piccola e non posso. Col tempo, magari. Non si sa mai nella vita.
F: Frequento la Chiesa cattolica di s. Rita. Ogni tanto fanno delle feste.
V: Io no. Sono credente, ma una volta sono andata in Chiesa e non mi è piaciuto. Mi hanno fatto troppe domande: chi sei, perché sei arrivata a questa età. Dicevano che dovevo cercare lavoro, che dovevo andare in un parco per trovare un posto di lavoro. Non mi è piaciuto.
M: Io qualche volta vado in chiesa mezz’ora o un’ora soltanto per pregare. Solo questo. Non siamo attive, finito il lavoro stiamo con la famiglia. Dopo il lavoro siamo stanche, col mal di schiena e il mal di piedi.
Tre di voi vengono dalla Romania, dove una volta c’era il socialismo. Voi siete giovani ma, per quello che conoscete, si viveva meglio prima o adesso?
C: Si vive meglio adesso. Sei più libera e puoi fare più cose e c’è più lavoro. L’economia va molto meglio, è molto cresciuta. Anche tanti italiani sono andati ad aprire ristoranti e attività là.
M: Con Ceausescu sì viveva meglio perché c’era il lavoro e la scuola era obbligatoria. Sul lavoro per esempio avevamo la maternità, c’erano più diritti.
V: Ma prima prima! C’erano meno differenza tra le persone, la casa era gratuita, senza affitto. Ti spettava una casa in base a quanti figli avevi. Ora invece bisogna pagare l’affitto, per esempio mia mamma lo paga. Ore le cose sono peggiorate tanto. Se non hai i soldi non puoi fare niente. Prima c’era la casa, il lavoro, gli assegni familiari. Adesso nel nostro paese gli assegni familiari sono di dieci euro [ridono tutte]! Andavamo in vacanza al mare organizzata dall’azienda. Tutte le donne lavoravano. Io ho cominciato a lavorare a diciott’anni. In famiglia eravamo quattro fratelli poveri e la fabbrica di gomme era vicino a casa e sono andata lì a lavorare.
M: Quando c’era Ceausescu, a Natale arrivava un altro stipendio, anche per i bambini. Arrivano giochi, cioccolatini e regali per bambini. Li dava lo Stato. Me lo ricordo perché mia mamma lavorava in una fabbrica di legno. Non c’era nessuno veramente povero. Tutti lavoravano e il mangiare non costava tanto come adesso, che non puoi vivere. Per esempio in Romania una bottiglia di olio di semi di girasole ora costa cinque euro!
Secondo voi la società dove viviamo ora è giusta, si vive bene?
V: No, si vive male! Perché ti sfruttano sul lavoro.
M, F: Sì, prendi mille euro al mese e non ti rimane niente.
F: Un sacco di soldi in visite mediche. Poi questa è una società che ti fa ammalare. All’Hotel Boscolo ci obbligano a portare via 50-60 kg di biancheria sporca, bottiglie del minibar. Cose che dovrebbe fare un facchino. Poi ci fanno anche levare i vetri rotti. Noi abbiamo fatto un corso in cui ci hanno spiegato che se trovavamo dei vetri dovevamo chiamare la governante o il facchino. Invece no, ci obbligano a fare da sole. Ci hanno detto: “siete obbligate”. Se non lo facciamo ci arriva la lettera di richiamo a casa o ci dicono che non abbiamo pulito bene.
D: Quindi la vita è difficile ed ingiusta, ma perché? Di chi è la colpa?
F: Eh bella domanda! Forse della cooperativa. Forse è perché sono straniera.
V: Forse è colpa di quello – come si chiama? – Salvini!
F: Berlusconi era meglio perché quando c’era lui non c’era questa differenza tra italiani e stranieri. Però secondo me i politici sono tutti uguali.
C: La colpa è dei sindacati, che invece di aiutare i lavoratori li abbandonano, fanno questi accordi dietro le loro spalle. Il governo dà opportunità a tutti. Se uno vuole un lavoro, riesce a trovarlo. Basta avere coraggio di chiedere i diritti. Per esempio io ho iniziato nel 2016 a chiedere i miei diritti e in parte me li hanno riconosciuti: malattia, ferie, ecc. La colpa è un po’ anche della gente – italiani e stranieri, rumeni, senza distinzione – che non si sa far valere.
D: Cosa pensate del fatto che state in hotel dove i clienti pagano anche 500 euro a notte mentre le vostre paghe non sono pagate?
F: Forse perché non diciamo niente. Io ho lavorato anche 8-9 ore di fila senza essere pagata.
V: Anch’io lavoravo 8 ore con sole 4 ore sul contratto.
F: Se invece protestiamo le cose cambiano. Sireci [CISL, ndr] non voleva che facessimo nulla, né poteste né scioperi. Invece con Luciano le cose sono diverse! Con Sireci non si faceva niente!
C: Se siamo uniti si possono migliorare le cose. Basta avere il coraggio e lottare fino in fondo.
D: Come vorreste che fosse la società?
F: Vorrei per esempio che ci chiamassero in riunione una volta al mese dicendoci: “sei stata brava”. Vorrei un po’ di affetto, parole gentili magari bevendo un caffè. Vorrei parole di incoraggiamento. Sai come: “forza vai avanti così” o “sei stata la numero uno questo mese”. Invece loro dicono: “siete delle zingarelle di merda”, “dovete lavorare”. Ci trattano come cani. “Lavora, lavora, lavora, pulisci, pulisci, pulisci” – e basta. Se chiediamo permessi non ce li danno.
D: Noi del P. CARC siamo un Partito comunista e cerchiamo, insieme ai lavoratori, di organizzarci per dire che serve un governo in cui dobbiamo essere noi lavoratori a decidere come si lavora, come dev’essere la scuola, ecc. Voi cosa ne pensate?
F: Sarebbe bello se ci fosse un politico responsabile per noi cameriere!
V: Sì, perché uno che sa come si fa il lavoro! Ma non lo so se in questa società è possibile. È difficile perché c’è mafia e corruzione. Vogliono solo soldi, soldi, soldi. Sono troppo forti.
F: Il problema è che abbiamo paura.
C: Ma la colpa è anche di chi accetta queste condizioni. Se tu sai di avere un diritto devi andare fino in fondo. Da noi in Romania quando non siamo d’accordo con una legge scendiamo in piazza. Anche qui bisogna fare lo stesso per dire che certe cose non si posso accettare. Basta, così deve funzionare. Tutti i politici fanno quello che vogliono perché la società accetta queste condizioni. Ma non deve essere così: se io non sto sbagliando su niente devo chiedere i miei diritti. Ho tutto il diritto di andare avanti! Certo, i miei amici sosterrebbero la mia lotta!