La campagna congressuale del P.CARC – Spunti dai congressi di Sezione e di Federazione

Questo secondo numero di Resistenza del 2019 viene scritto e stampato prima dello svolgimento del V Congresso Nazionale del P.CARC, ma subito dopo la ricca fase di dibattito, interno e verso l’esterno, dei congressi delle Sezioni e delle Federazioni.

Per un ragionamento più complessivo sulla portata dei lavori congressuali nella trasformazione del Partito rimandiamo al prossimo numero di Resistenza. Alcuni elementi emersi dai congressi locali sono comunque utili a inquadrare il movimento che il Partito sta compiendo.

La partecipazione. Hanno partecipato ai congressi locali, direttamente o inviando interventi di saluto (più profondi del semplice, e in certi casi formale, “augurio di buon lavoro”) Sezioni locali e federazioni del PCI (di Mauro Alboresi), la FGCI, sezioni locali del PC di Rizzo, il Fronte Sovranista Italiano, attivisti e meet up del M5S, esponenti di Sinistra Italiana, PRC, PaP, compagni dell’Associazione di amicizia con la Repubblica Popolare Democratica di Corea, compagni di USB, organismi popolari, studenteschi e antimperialisti. E’ stata una stimolante occasione di dibattito per cui ringraziamo tutti coloro che hanno contribuito. Molti hanno posto domande e critiche e in certi casi hanno affermato tesi anche molto diverse dall’analisi e dalla linea del P.CARC, ma i loro interventi sono prima di tutto la dimostrazione della spinta a creare un sano dibattito fra compagni, fra partiti e organizzazioni e a trovare soluzioni a problemi e contraddizioni comuni a coloro che lottano per il socialismo. Fra le questioni emerse più diffusamente la tesi del “moderno fascismo”. Vari compagni hanno sollevato la questione, criticandoci perché neghiamo questa conclusione e dedichiamo molte energie, invece, a mostrare gli appigli e le contraddizioni che rendono la situazione attuale estremamente favorevole alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Su Resistenza abbiamo dedicato molto spazio all’argomento, trattandolo in vari articoli. Riprendiamo qui, brevemente, due aspetti emersi dai congressi locali: una sintesi di orientamento generale e una misura che ne deriva. La sintesi di orientamento generale è che dove ci sono lavoratori, ci devono essere i comunisti, i comunisti possono – e quindi devono – orientare, partendo dalla loro analisi e dall’appartenenza di classe e dal ruolo sociale degli operai e dei lavoratori. Estremamente positivo il risultato di tali discussioni, perché pur registrando diversità di posizione iniziale, si sono concluse spesso con il comune impegno a intervenire nelle aziende capitaliste e nelle aziende pubbliche per promuovere la costruzione di organizzazioni operaie e popolari.

Una questione ideologica importante. Confrontando il contenuto dei dibattiti e delle discussioni svolte emerge un tratto comune fra le obiezioni, critiche e domande poste rispetto all’analisi delle situazione nel nostro paese. In molti hanno chiesto “ma come fate a dire che con le elezioni del 4 marzo si è aperta una breccia nel sistema politico se il M5S e la Lega sono partiti borghesi? Se sono creature delle forze reazionarie che stanno dietro Trump o Putin? Se sono il tentativo della classe dominante di indirizzare e contenere in ambito elettorale la ribellione delle masse popolari che altrimenti si sprigionerebbe nelle strade?”. Premesso il fatto che se pure fosse vero che il M5S è stato “inventato” dalle forze reazionarie che stanno dietro a Trump o se fosse “una manovra di Putin per destabilizzare l’Europa” (ma il discorso vale anche nel caso lo fosse la Lega), sarebbe un aspetto del tutto secondario rispetto a ciò che le masse popolari lo hanno fatto diventare votandolo in massa per le promesse che ha fatto.

Chi si avvita attorno a questi dubbi e si fa immobilizzare è succube della concezione del “piano del capitale”, lascito della corrente politica della “Scuola di Francoforte”, una dottrina nata negli anni ‘20 del secolo scorso da un gruppo di intellettuali tedeschi che, rivendicando l’appartenenza al marxismo, hanno inquinato il marxismo con teorie proprie della classe dominante. Il piano del capitale, nello specifico, è una tesi che si basa sulla negazione del materialismo dialettico per quanto riguarda la concezione del mondo (ne deriva che “la borghesia è un blocco unico e unito, non esistono contraddizioni al suo interno”), che promuove l’analisi unilaterale della realtà (“non esistendo contraddizioni nel campo della borghesia imperialista, essa può elaborare un piano organico da imporre alla classe operaia e alle masse popolari) e che alimenta il disfattismo fra la classe operaia e le masse popolari (“la borghesia è la classe dominante, è un blocco monolitico e non ha contraddizioni, opera secondo un piano infallibile poiché controlla tutta la società e la sottomette al proprio volere, quindi la borghesia imperialista è una classe invincibile”).

La diffusione delle teorie della Scuola di Francoforte è rimasta estremamente limitata finché il movimento comunista è stato forte. Ma mano che i revisionisti moderni ne hanno preso la direzione, le tesi della Scuola di Francoforte hanno avuto larga diffusione (fino a ispirare direttamente e inquinare il movimento rivoluzionario degli anni ‘70 del secolo scorso, in Italia grazie al “contributo” degli operaisti: Potere Operaio, Autonomia Operaia, ecc.). La diffusione delle teorie della Scuola di Francoforte è stata tale che esse sono entrate nel senso comune tipico della sinistra borghese, la concezione che prevale anche fra quanti si definiscono comunisti, data l’attuale debolezza del movimento comunista cosciente e organizzato.

Da comunisti sosteniamo che non esiste e non può esistere nessun piano del capitale. Che la forza della borghesia imperialista è direttamente proporzionale alla debolezza delle masse popolari e che fra i due campi intercorre la stessa relazione fra la classe dominante e le classi oppresse che hanno caratterizzato ogni periodo storico. Pertanto, la borghesia imperialista può essere sconfitta, come lo sono state le dinastie schiaviste e quelle feudali, dalla classe che subentrerà al suo posto alla direzione della società, nella nostra epoca la classe operaia.

Dai dibattiti è emersa inoltre la confusione fra “piano del capitale” e “programma comune della borghesia imperialista”, una categoria scientifica che, invece, usiamo per descrivere il movimento politico della società capitalista da quando è iniziata la seconda crisi generale del capitalismo (vedi l’articolo “Darsi i mezzi per costituire il Governo di Blocco Popolare” a pag. 1). I due termini hanno una differenza sostanziale. La borghesia imperialista non può accordarsi su un piano comune da imporre all’intera società, dato il carattere contraddittorio del capitalismo che si basa sugli interessi contrapposti non solo fra le classi sociali (borghesia imperialista e classe operaia), ma anche fra singoli capitalisti e frazioni del capitale (concorrenza), per ognuno dei quali vale il motto “morte tua, vita mia”. Ma il movimento economico della società, caratterizzato dalla seconda crisi generale del capitalismo, spinge la borghesia ad adottare misure pratiche per scaricare sulla classe operaia e sulle masse popolari gli effetti della crisi. Le misure del programma comune della borghesia imperialista non sono “decise a tavolino” per una supposta “crudeltà della borghesia”, ma sono sintesi di una serie prolungata di tentativi, iniziative, manovre intraprese in ordine sparso dalla borghesia e via via raffinate e diffuse fino a diventare “prassi” ordinaria.

La comprensione della differenza fra il contenuto dei due termini è essenziale per comprendere la portata della breccia che le masse popolari hanno aperto nel sistema politico delle Larghe Intese, quale che sia l’eventuale e supposto “zampino” di questa o quella fazione della classe dominante o questa o quella forza internazionale: il governo M5S-Lega non è il frutto della manovra di qualche agente occulto, ma della breccia aperta dalle masse popolari con il cambiamento delle loro abitudini elettorali.

Cosa è la Carovana del (nuovo)PCI. A cavallo dello svolgimento dei congressi federali, il 6 gennaio il (nuovo)PCI ha emesso il Comunicato con cui annuncia il rafforzamento del suo centro clandestino grazie alla mobilitazione di due compagni del P.CARC, Angelo D’Arcangeli e Chiara De Marchis. Con quel comunicato sono state date, indirettamente, risposte ai tanti compagni che hanno sollevato la questione della relazione fra P.CARC e (nuovo)PCI (chi per criticarla, chi perché voleva comprenderla meglio). I due articoli pubblicati su questo numero di Resistenza sull’argomento approfondiscono e arricchiscono il contenuto del Comunicato del (nuovo)PCI del 6 gennaio e le discussioni affrontate nei congressi locali. Ai due articoli rimandiamo.

Con i congressi di Sezione e federali si sono rinnovati (o sono stati eletti per la prima volta nel caso delle Sezioni di più recente costituzione) i gruppi dirigenti locali. In particolare in ogni Segreteria Federale ci sono stati importanti cambiamenti che rientrano nella trasformazione del Partito in partito di quadri e di massa, partendo dall’elevazione, dal rafforzamento e dalla formazione dei dirigenti. Ai compagni e alle compagne che hanno assunto ruoli dirigenti vanno i migliori auguri della Redazione di Resistenza.

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