Rilanciamo una lettera che ci è stata spedita dal compagno Francesco da Prato in merito al salvataggio della banca Carige di Genova, eseguito dal governo Conte. Nella sua lettera il compagno esprime tutta la sua rabbia rispetto a questa misura varata dal governo e giustamente s’indigna per il fatto che tutti quei soldi potrebbero e dovrebbero essere utilizzati per tenere aperte le aziende del nostro paese, creare posti di lavoro e garantire una vita dignitosa agli operai e alle masse popolari. S’indigna il compagno che i soldi pubblici, quelli dello Stato, che definisce “soldi nostri”, vengano investiti in questo modo e che l’Europa garantisca questo tipo di investimenti mentre fa la voce grossa contro il governo se cerca di ricavare fondi per manovre e riforme che vanno negli interessi delle masse popolari.
Al compagno proponiamo di ragionare su alcuni aspetti per trasformare la sua rabbia in consapevolezza della situazione politica ed economica in cui ci troviamo e in pratica cosciente e organizzata per trasformare la realtà in cui ci troviamo e realizzare le aspirazioni di cui scrive.
Innanzitutto dobbiamo comprendere che le distorsioni e i problemi che denuncia Francesco sono frutto del sistema capitalista e non possono trovare soluzione in esso. Questo perché la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale spinge ogni singolo capitalista e ogni gruppo di capitalisti a restare a galla, facendo la guerra contro i lavoratori e allo stesso tempo facendosi la guerra tra loro. Elevare il margine di profitto è essenziale per sopraffare gli altri sul mercato, sbaragliare la concorrenza: il pesce grosso mangia il pesce piccolo. Per gli interessi delle masse popolari non ci può essere quindi banca, agenzia di investimento o gruppo finanziario da “salvare” in quanto mai impiegheranno, proprio per questa ragione, le ingenti risorse di cui dispongono per creare posti di lavoro.
Appellarsi allo Stato come elemento neutro cui richiedere questa o quell’altra misura e richiedere un nuovo modo di spendere “i nostri soldi”, in tale sistema è un’illusione. Significa tenere insieme capre e cavoli, cercare di far convivere l’acqua con il fuoco, il buio con il sole. Bisogna squarciare il velo dell’inganno di chi racconta che “i beni del Vaticano sono dei fedeli”, i “soldi pubblici sono di tutto il popolo” o che il “privato può gestire il pubblico in modo efficiente”. Basta vedere cosa hanno fatto i Benetton con il Ponte Morandi di Genova e con le altre autostrade, per capire in cosa i capitalisti sono efficienti. Sono tutti inganni che danno copertura alle ruberie, agli affari, ai traffici e alle scorrerie di capitalisti, speculatori, politicanti e prelati. La verità è che tutto ciò che è “pubblico”, comprese le aziende pubbliche e private, oggi non appartengono ai lavoratori o men che meno alle masse popolari del nostro paese: appartengono direttamente ai capitalisti o sono gestiti dal loro Stato, che chiamano democratico ma che nella sostanza è il loro comitato d’affari e lo strumento di gestione del monopolio della violenza (nelle sue mille forme) con cui opprimono le masse popolari.
Il limite del governo M5S-Lega, che a quanto ci sembra di capire il compagno di Prato ha dato fiducia votando ad una delle sue componenti, è esattamente quello di non vedere oltre il sistema capitalista, di tenere insieme gli interessi delle masse popolari e quelli dei capitalisti. Questa è la causa che ci porta a dire che tale governo è un governo provvisorio e che ogni misura che potrà varare avrà necessariamente un carattere transitorio e che quello che spetta fare alle masse popolari è incalzarlo, stargli col fiato sul collo, combatterne la parte più reazionaria e inchiodarlo alle promesse fatte alle masse popolari in campagna elettorale e nel contratto di governo.
Per attuare le misure che indica Francesco è necessario che un governo prenda in mano le redini di questi problemi, costringendo le banche a finanziare la creazione di posti di lavoro utili e dignitosi, e laddove le banche non vogliono, il governo deve legarsi strettamente ai lavoratori e alla loro mobilitazione per nazionalizzare la banca e renderla uno strumento utile ad attuare le misure d’emergenza che servono per risollevare il paese: lavoro, scuole in dissesto, devastazione ambientale. Tutto questo può farlo solo un Governo d’Emergenza Popolare, che si dà il compito e l’obiettivo di scalzare il profitto di pochi a danno della collettività, che sia disposto a rompere con il ricatto economico dei gruppi imperialisti, e soprattutto che si lega strettamente alla mobilitazione e organizzazione delle masse popolari, dei lavoratori pubblici e degli operai e che da questi venga sostenuto.
La mobilitazione per incalzare il governo M5S-Lega deve, quindi, necessariamente porsi la prospettiva di costituire tale governo. Questo mostrerà alle masse popolari per esperienza diretta che non basta un governo borghese dalle “buone intenzioni” per farla finita con gli effetti più gravi della crisi, ma che è un altro il tipo di governo che serve: un governo che nasca dal loro protagonismo e dalla loro mobilitazione, un governo che apra la strada alla rivoluzione socialista.
Senza la rivoluzione socialista e il potere in mano agli operai nessuna misura farà mai fino in fondo gli interessi delle masse popolari. Perché è nel socialismo che verrà sciolto ad ogni livello ogni organo dell’attuale Stato, della sua Amministrazione Pubblica, delle sue forze armate, dei suoi corpi di polizia, delle sue associazioni professionali, dei suoi titoli nobiliari, delle istituzioni e i privilegi feudali sopravvissuti (Vaticano, chiese, mense vescovili, enti di beneficenza, massonerie, ordini, ecc.). È nel socialismo che verranno annullati i mutui, le ipoteche e i debiti verso le banche, lo Stato e la borghesia imperialista e si procederà alla pianificazione nazionale dell’impiego delle risorse, della cura delle risorse naturali, della produzione di ogni unità produttiva, della distribuzione dei prodotti.
Avanti compagni, le condizioni che la borghesia imperialista impone alle masse popolari sono feroci e insopportabili e la lotta contro di essa esplode in mille forme. In questo scontro in ogni angolo del mondo rinasce il movimento comunista, quel movimento che darà vita alla società comunista, una nuova fase della storia dell’umanità!
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Cari compagni della Staffetta Rossa,
sul Fatto Quotidiano di oggi, rispetto alla vicenda Carige il titolare del MISE Di Maio si vanta del fatto che “Il popolo sovrano si riappropria delle banche”. A parte il fatto che lo Stato, cioè noi, dovremo mettere in mezzo tre miliardi di euro per ripianare le ormai solite voragini provocate dai soliti noti a cui sono prestati milioni di euro con scioltezza (mentre un operaio se vuole aprire un mutuo deve avere il posto fisso e mettere a garanzia ogni avere suo e dei familiari più stretti), mi fa specie che la riappropriazione della sovranità non passi prima da ciò che realmente manda avanti il paese: le aziende. Nei mesi scorsi sono aumentate notevolmente le chiusure e le delocalizzazioni e il massimo sforzo fatto dal governo M5S-Lega è stato quello di erogare degli ammortizzatori sociali (sempre soldi nostri) tolti con il Jobs Act di Renzi (da ricordare sempre!), alla cui conclusione si ripresenterà il medesimo problema. Penso alla Pernigotti, alle acciaierie di Piombino, ai licenziamenti nel giorno di Natale alla Ball Beverage di Marrucina (CH) e alla Hammond di Marnate (VA), la Bekaert di Figline Valdarno che ha chiuso i battenti a Capodanno e di cui il M5S si è fregiato come se fosse una grande vittoria. Tutte aziende sbarrate in attesa di fumose reindustrializzazioni, che negli ultimi anni si sono sempre rivelate dei buchi nell’acqua se non occasioni di ulteriore speculazione e rapina di fondi pubblici da parte del cavaliere bianco di turno.
La sovranità nazionale si difende impedendo la dismissione delle aziende e con tre miliardi di euro si potevano salvare decine di eccellenze produttive come quelle sopra citate: secondo uno studio commissionato dagli stessi operai di Piombino, la riconversione ecologica delle acciaierie sarebbe costata due miliardi di euro e ne avanzava un altro per salvare Pernigotti, Bekaert e tante altre da mettere sotto il controllo operaio e popolare. Questa è la reale soluzione alla crisi e sono i lavoratori che devono essere protagonisti di questo processo, quelli che il 4 marzo hanno votato in massa le due forze di governo pensando che “prima gli italiani” volesse dire tutelare la fabbrica dalla chiusura della multinazionale di turno e non andare a ripianare i buchi di bilancio delle banche scavati dai soliti noti, in rottura con le lacrime e sangue elargite a piene mani dai precedenti governi. Gli stessi operai che in questi mesi hanno presidiato il MISE di Di Maio subissandolo di lettere e appelli, oggi sono chiamati a rafforzare la propria organizzazione dentro e fuori dalla fabbrica e ragionare su un governo che assume misure di emergenza come quello che definite di Blocco Popolare: il nome importa poco, decide la sostanza degli atti che compie e uno deve essere sicuramente la nazionalizzazione delle aziende senza indennizzo ai padroni, che di fronte alla crisi abbandonano il paese per cercare lidi migliori da sfruttare, come le cavallette che dopo aver devastato un territorio ne cercano un altro dove ricominciare.
Che gli operai dalla Embraco di Torino all’ILVA di Taranto si organizzino per far valere la loro forza e impongano le nazionalizzazioni, altro che le banche!
Francesco da Prato