Il P.Carc organizza mensilmente iniziative culturali inserite in diversi ambiti, da quello strettamente politico (con riferimenti diretti all’attualità) a quello storico (legato a presentazioni di testi della casa editrice o a personaggi che hanno fatto la storia del movimento comunista), passando dal quello lavorativo o scolastico, a quello teorico (come i seminari su Marx).
Lo scopo di queste iniziative è quello di dare una chiave di lettura alla realtà che ci circonda e trarre da questa nuova linfa che va ad approfondire e, talvolta, a rafforzare la teoria da cui deriva e non vuole mai essere avulso dal mondo delle masse popolari da cui trae ispirazione e a cui è rivolto. Il giorno 25 novembre in occasione della mobilitazione nazionale organizzata da Non una di meno a Roma e della ricorrenza della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il P. Carc ha trattato, in un momento di dibattito, proprio il Lavoro Donne.
Il nostro partito si distingue da molti altri partiti di sinistra per portare avanti una tesi che fonde l’oppressione di genere con quella di classe: riprendendo le tesi marxiste, individua infatti nella proprietà privata l’origine e la causa dell’oppressione di genere, proprio come quella della divisione della società in classi. Da questa prima semplice affermazione ne deriva che solo grazie al socialismo la donna, così come la classe oppressa, potrà liberarsi. Il capitalismo, avendo come scopo il profitto, ha bisogno di oppressi (i lavoratori con la socializzazione della produzione) e oppressori (i borghesi con la loro proprietà privata dei mezzi di produzione). La contrapposizione principale tra oppressore (borghese) e oppresso (lavoratore) si riflette su tutta una serie di opposizioni minori (quali quelle tra uomo e donna, tra giovane e vecchio, tra autoctoni e immigrati…) fomentate dalla classe dirigente sia perché frutto di ulteriore profitto (donne, giovani e immigrati a parità di lavoro guadagnano meno, sono costretti a subire ricatti ecc…) e sia perché fonti di distrazione delle masse popolari (dalla vera e unica contrapposizione principale).
Il pubblico, quasi tutto al femminile (solo due uomini), ha visto la presenza di molte mamme: questo ci ha dimostrato che iniziative con certe tematiche continuano ad essere appannaggio principalmente delle donne (come se i compagni non ne dovessero prendere parte) e che molte donne da adulte continuano a sentire il “peso del genere” di appartenenza. Durante il dibattito quasi tutti i presenti sono intervenuti e, per lo più, lo hanno fatto condividendo la linea del partito (interessante anche quanto riportato da un archeologo che ha comprovato la sostanziale uguaglianza di genere in tribù africane dove non esiste la proprietà privata). Sono però state le critiche da parte di una mamma a rendere l’iniziativa davvero differente da quelle che la sezione organizza mensilmente. Questa, infatti, dopo aver premesso il suo legame giovanile al movimento Comunista, ha sottolineato alcuni limiti riscontrati negli interventi precedentemente fatti:
– l’elitarismo dell’iniziativa, capace di raccogliere solo una cerchia ristretta di persone che, più o meno, condividono un certo pensiero (molto meglio, secondo lei, parlare di ambiente e inquinamento per stimolare l’attenzione dei concittadini);
– il linguaggio antiquato e antistorico utilizzato: si riferiva soprattutto al concetto (ribadito molto spesso nel corso del nostro intervento) di socialismo – per lei ormai superato e lontano dall’ideologia dei più – e al termine masse popolari – a parer suo usato normalmente in senso dispregiativo (masse popolari= fiumana di gente incolta davanti ai negozi per il black friday);
– l’esempio dei Paesi dell’Urss come modello di legislazione femminile: il P.Carc aveva, infatti, presentato alcune leggi della costituzione sovietica come evidentemente all’avanguardia anche rispetto alla nostra Costituzione (da quella sulla maternità prevista 4 mesi prima del parto a quella della tutela del lavoro e dello stipendio per la neomamma fino ad un anno dalla nascita del figlio ecc…). La signora, invece, ha voluto farci notare come, alla caduta del socialismo, la questione di genere è andata addirittura regredendo in alcuni Paesi dell’ex Urss poiché non sarebbe stata culturalmente assorbita;
– il mancato riferimento ad una differenza biologica tra uomo e donna (ha sottolineato l’indiscussa superiorità fisica dell’uomo che renderebbe, a suo dire, compito imprescindibile del maschio “difendere” la femmina perché di fatto siamo animali e in natura è così che funziona).
Il momento della critica è stato una novità per noi della sezione di Siena e lo abbiamo colto come opportunità per approfondire la linea del partito e il suo modo di agire e per sperimentarci. Abbiamo trattato l’ultimo punto (quello della differenza biologica) come una caratteristica naturale che il Partito non solo non nasconde, ma anzi difende: non vogliamo la mascolizzazione delle donne che ci viene presentata come emancipazione dalla classe dirigente (la borghesia ci vuole far credere che una donna sia tanto più emancipata quanto più rinuncia a figli, famiglia, marito/compagno in nome di una dedizione totale e spregiudicata al proprio lavoro), ma vogliamo che la donna possa scegliere di essere sia una lavoratrice che una madre o una moglie, se vuole, o che possa abortire in un ospedale pubblico senza obiettori, che possa avere un lavoro utile e dignitoso senza ricatti sulla maternità ecc… L’esaltare come esempio di diversità la prestanza fisica significa, comunque, provare un senso di inferiorità nei confronti dell’uomo quale modello sociale di riferimento (e questo evidentemente è ormai culturalmente assorbito da noi donne) e non tiene conto di un elemento fondamentale che ci distingue dagli animali: la coscienza.
Abbiamo avuto modo di parlare anche del bilancio dei primi Paesi socialisti rispondendo alla critica circa la nostra esaltazione della “legislazione femminile” dell’Urss: per il tempo e per un Paese in cui fino a qualche anno prima esistevano ancora i servi della gleba, è stata a dir poco strabiliante (che cosa succedeva nel resto dell’Europa contemporaneamente?) a dimostrazione di quanto l’oppressione di genere sia un problema politico; per quanto riguarda il seguito, ovviamente c’è stato un regresso ma questo è frutto del successivo processo di instaurazione a tutti i costi del capitalismo: la cultura, del resto, è una sovrastruttura che parte dai rapporti di produzione (ad una società basata sul profitto, l’oppressione di genere è funzionale, come visto sopra). Inoltre, nei Paesi dell’Europa Occidentale in cui il movimento comunista è stato forte, l’eco della costituzione sovietica si è fatta sentire attraverso le conquiste strappate anche nei paesi imperialisti: in Italia, ad esempio, le donne hanno conquistato l’accesso alle professioni pubbliche, la legittimità dei figli avuti al di fuori del matrimonio, il divorzio, l’interruzione volontaria di gravidanza, l’abolizione del matrimonio riparatore…perciò dobbiamo tenere conto di quanto il movimento comunista si sia fatto promotore dell’emancipazione femminile proprio seguendo il modello sovietico. Mai come nel socialismo le donne hanno avuto modo di emanciparsi realmente proprio perché il cambiamento sociale lo ha permesso ed è per questo che continuiamo parlare di socialismo come risposta e soluzione all’oppressione, non solo di genere. Mai come in questo momento (nella fase acuta e terminale del capitalismo) il mondo ha bisogno di socialismo: di fronte alla distruzione dei diritti conquistati durante il capitalismo dal volto umano, le masse popolari si ribellano (occupazione e rivalutazione di immobili abbandonati, no TAV, associazioni studentesche…) e le loro richieste sono sempre più di stampo socialista e questo non perché siano comunisti ma perché vivono e sentono la realtà…è la realtà stessa che spinge verso un’unica direzione.
Il socialismo non è, perciò, un concetto obsoleto, tutt’altro. È necessario parlarne e parlarne in certi termini. Quella del lessico è una critica frequente da parte di molti “novelli” del Partito: è necessario parlare di socialismo e di masse popolari (o simili) perché dentro ciascuna parola scelta sono racchiusi concetti che sarebbe molto più lungo e complicato spiegare ogni volta. Questo non significa che non siamo aperti a spiegazioni (anzi, questo ci permette di presentare la linea del partito), come abbiamo fatto per “masse popolari” in cui la signora non si riconosceva (ma non credo che se avessimo usato “popolo” sarebbe cambiata la sua sensazione). Come Partito agiamo continuamente sulle masse popolari (proprio perché sono loro oggetto e soggetto della Rivoluzione) ma lo facciamo su più livelli e con modalità differenti: non proponiamo solo iniziative culturali (che, ovviamente, raccolgono un numero limitato di persone interessate) ma organizziamo volantinaggi davanti a fabbriche e a scuole, incontri con operai e lavoratori, cineforum… per ognuno degli ambiti in cui operiamo cerchiamo di “parlare linguaggi diversi”, di partire dalle differenti realtà, di valorizzare ciascuno secondo le proprie caratteristiche (lavoratori e studenti, donne e giovani ecc…) stimolando i soggetti a prendere in mano la direzione della propria fabbrica, della propria scuola e della propria vita (laddove la società borghese ci spinge alla passività e alla delega).
Facciamo spesso riferimento al passato del glorioso movimento comunista (soprattutto nelle iniziative culturali) non perché vogliamo dar sfoggio di erudizione e nozionismo ma perché da esso traiamo il bilancio delle esperienze (il comunismo è una scienza); perciò non lo prendiamo a modello sempre e comunque ma analizzandone i limiti, capendone la causa e superandoli saremo in grado di costruire la rivoluzione socialista con strumenti di livello superiore. Siamo tutti parte attiva e dobbiamo prendere parte alla lotta di classe verso il socialismo, unico vero mezzo di emancipazione per tutti gli oppressi.