L’8 dicembre si è svolta a Roma la manifestazione della Lega con cui Salvini puntava a compiere un ulteriore passo nella trasformazione del partito per rilanciarlo su scala nazionale. E’ stata una manifestazione molto partecipata, su cui la Lega ha puntato e investito (gli organizzatori parlano di 200 pullman e 3 treni speciali, Piazza del Popolo era piena): rappresentava un’occasione perfetta per conoscere e capire la base, al di là dei pregiudizi e delle immagini caricaturali che i raduni di Pontida hanno consolidato nel tempo. Il P.CARC ha mandato due compagni a fare inchiesta e di seguito pubblichiamo stralci di una loro lettera. Con una premessa.
I sostenitori della Lega sono elementi delle masse popolari che cercano risposte agli effetti della crisi e per la combinazione di vari fattori (fra cui la debolezza del movimento comunista) trovano e si ritrovano in risposte sbagliate. Come in ogni fenomeno di qualunque natura, anche nella base della Lega c’è una parte più arretrata (e la stampa borghese non ha perso occasione di mostrarla in tutta la sua sottomissione ai peggiori pregiudizi reazionari) e una parte più avanzata, quella composta da lavoratori e operai, precari e pensionati “con la minima” che vogliono un cambiamento radicale. Abbiamo cercato quelli perché sono la parte decisiva per costringere la Lega a operare per allargare la breccia che le masse popolari hanno aperto con il voto del 4 marzo, nonostante i legami del gruppo dirigente con il sistema delle Larghe Intese.
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Alle compagne e ai compagni della Redazione,
siamo i due compagni che l’8 dicembre hanno partecipato alla manifestazione “Prima gli italiani – L’Itala rialza la testa” convocata dalla Lega a Roma. Vi scriviamo perché è stata un’esperienza altamente istruttiva e vogliamo condividere con i lettori quello che ne abbiamo ricavato. (…)
Già dai primi scambi con chi stava in piazza (davvero provenienti da ogni parte d’Italia, “dalle Alpi alla Sicilia”, segno dell’effettivo passaggio da partito locale a partito nazionale della Lega) ci siamo resi conto della preminente composizione di classe proletaria (precari, disoccupati, operai, ecc.). Questo è confermato anche dai motivi principali del loro essere in piazza e del loro aver votato Lega, spesso per la prima volta il 4 marzo, su tutti il lavoro inteso anche come reale fonte di sicurezza propria e sociale.
Certo, siamo incappati anche in soggetti più apertamente razzisti, ma l’aspetto più facilmente riscontrabile in piazza era proprio la stanchezza contro chi ha governato fino ad oggi, le Larghe Intese, che hanno massacrato i lavoratori e le masse popolari. Ad esempio abbiamo parlato con un imprenditore ex MSI che si è detto tradito da Berlusconi perché “ha iniziato a fare i suoi interessi e basta” e con una coppia di pensionati piemontesi che nella loro sezione ha dato battaglia perché chiunque fosse legato alla vecchia dirigenza (Bossi, Maroni & co.) fosse estromesso per aver partecipato alle ruberie a scapito delle masse popolari.
Questi sono esempi dei tanti con cui abbiamo discusso. La componente affarista, razzista e reazionaria è certamente presente, ma bisogna imparare a leggere la realtà attraverso le lenti dell’analisi di classe (su questo invitiamo vivamente a studiare l’articolo “Intervenire su attivisti ed esponenti della Lega e sui suoi elettori” pubblicato sul n. 60 de La Voce) e impostare il nostro intervento sulla parte più avanzata, quella che “si distingue perché nella pratica agisce già (anche in modo contraddittorio) in modo da favorire l’organizzazione e la mobilitazione del resto delle masse popolari e spinge per portarle a operare come nuova autorità pubblica” – (da Resistenza n. 11/12).
Abbiamo trovato, più che un monolite di razzismo e oscurantismo, una realtà confusa e contraddittoria, molto diversa da quella descritta dalla propaganda di regime e della sinistra borghese. E’ emerso chiaramente che i toni identitari, l’inno ai “grandi valori cristiani” e il “prima gli italiani” sono superficiali espressioni della spinta spontanea e “di pancia”, ma sana, a voler liberare il paese da poteri abusivi e occupanti, farla finita con “i poteri forti che assediano” l’Italia.
Su questo, è chiaro, il gruppo dirigente ci marcia alla grande: gli interventi dal palco erano infarciti di riferimenti al presepe e al crocifisso, usati più come collante tra le varie anime dell’elettorato e della base che come una vera e propria base ideologica collettiva. Infatti, se dal palco Salvini e Fontana hanno strizzato più volte l’occhio al Vaticano (da papa Giovanni Paolo II al “buon Dio che ci guarda”), tra tanti dei presenti in piazza i privilegi della chiesa cattolica non erano ben visti e, a differenza della dirigenza leghista, il Vaticano viene visto come una casta. (…)
Tra le parole d’ordine più usate dal palco, oltre al consueto “Prima gli italiani”, era molto presente il termine “buon senso” (governo del buonsenso, rivoluzione del buonsenso, ecc.). La parola buonsenso è utile anche per non affrontare determinati argomenti su cui tra la base della Lega non c’è unità. Uno su tutti è il tema delle grandi opere, sul quale né Salvini né il resto della squadra di governo hanno proferito parola nei loro interventi. C’è da dire che, per quanto abbiamo potuto raccogliere, l’elemento proletario è tendenzialmente d’accordo (in particolare sulla TAV) poiché le individua come “possibilità per creare lavoro” (…).
In definitiva, in termini generali, combinando tutti gli elementi che abbiamo raccolto e facendone una prima sintetica elaborazione, emerge che l’insofferenza delle masse popolari rispetto a decenni di politiche lacrime e sangue non è un qualcosa che si può semplicemente cavalcare per fini elettorali: inevitabilmente presenta il conto. E infatti Salvini è stato costretto a citare la mobilitazione dei Gilet Gialli francesi, sostenendo che è frutto della politica d’austerità. Alla domanda “prima gli italiani?” la base della Lega risponde inequivocabilmente sì, ma prima le masse popolari italiane, non i Benetton, Agnelli, De Benedetti e simili. Certo, la legge sulla legittima difesa è molto sentita, ma gli scambi più vivi e forti tra palco e piazza si sono avuti sulla questione del lavoro utile e dignitoso.
Anche queste sono conferme che “dove ci sono le masse popolari c’è spazio di intervento per i comunisti” e basti pensare al lavoro del vecchio PCI, come racconta bene Teresa Noce in Rivoluzionaria Professionale, e il lavoro politico nei sindacati fascisti.
(…) La battaglia politica in questa fase non è fare a gara a chi “butta giù per primo” il governo, ma sviluppare le contraddizioni che l’azione del governo genera, spingere la base della Lega (e del M5S) a non attestarsi alle parole, ma pretendere i fatti fino a imporre altre misure favorevoli alle masse popolari. Questo tema è molto sentito soprattutto dai vecchi militanti della Lega che già una volta si sono sentiti traditi dai propri dirigenti e hanno più volte ribadito che da oggi controlleranno più e meglio i propri eletti perché “da ora non si scherza più”. (…)
A.S. e M.C.