Intervenire da comunisti nella lotta dei militari vittime dei veleni di guerra

Usare ogni appiglio per allargare la breccia nel sistema politico alimentare le contraddizioni che si aprono nel campo nemico

La lotta delle vittime degli inquinanti bellici e dei loro familiari è quella che conducono i militari che sono stati contaminati durante il loro servizio (teatri di guerra esteri o addestramenti nei poligoni NATO in Italia e fuori) da agenti cancerogeni prodotti dai brillamenti di ordigni obsoleti, da bombardamenti o altre attività che li hanno portati a contatto con nanopolveri, sostanze radioattive e tossiche. Ad oggi, secondo le molte associazioni che si occupano del fenomeno, sono (sottostimati) oltre 360 i militari morti e 7000 quelli malati. In questa stima non sono considerati i civili che vivono (o vivevano) nei pressi dei poligoni di tiro e tutti i morti o malati che hanno riscontrato patologie tumorali a distanza di anni dal congedo. Incalcolabili sono i danni fatti all’estero: ad esempio nella ex Jugoslavia, bombardata con l’uranio impoverito, e a tal proposito la Serbia sta indagando per chiedere i danni alla NATO per i morti e malati tra i civili e il disastro ambientale causato!

Questa battaglia è oggi condotta principalmente da associazioni e gruppi diretti da esponenti che provengono dall’ambito militare che sono punto di riferimento, soprattutto legale, per numerose famiglie. Pochissimi sono i comitati spontanei e pochissime sono le famiglie o i singoli che denunciano pubblicamente che la propria malattia o quella dei propri cari sia dovuta all’esposizione a sostanze che vengono utilizzate negli armamenti e che diventano di enorme pericolosità quando esplose ad alte temperature e inalate o inoculate. Il motivo sta nella massiccia campagna di ricatti e minacce, insabbiamenti, pressioni, intossicazione mediatica e delle coscienze che alcuni vertici militari portano avanti, particolarmente interessati che queste storie restino nascoste o al massimo relegate al piano giuridico contro lo Stato.

Una battaglia contro la NATO e contro la guerra imperialista e la sua industria. Promuovere la solidarietà tra le vittime, civili e militari, per una battaglia di verità e giustizia, di civiltà e benessere collettivo.

Ad oggi il fenomeno interessa la stragrande maggioranza dei poligoni italiani e non esiste teatro di guerra estero da cui non siano rientrati soldati con le più svariate patologie (linfoma di Hodgkin, tumori, malattie cardiorespiratorie, ecc.). L’utilizzo dell’uranio impoverito e di altre sostanze tossiche nella fabbricazione di armamenti è voluta dall’industria della guerra che, in nome del profitto, non esita a produrre e diffondere veri e propri veleni (le bombe contenenti queste sostanze sono esponenzialmente più distruttive di quelle “normali”). In accordo con loro, vertici militari e politicanti delle Larghe Intese, sotto “l’ombrello della NATO”, hanno finora promosso “missioni di pace” nei vari paesi che non si allineano o sottomettono alla volontà dei caporioni della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti e allo stesso tempo hanno promosso addestramenti sul suolo italiano, favorendo lo spargimento di nocività in ogni angolo del mondo. Chi entra a contatto con questi veleni sono i militari e i civili che operano, lavorano o vivono nei pressi delle zone esposte.

Nella promozione di questa guerra la borghesia mette sullo stesso piano, nel senso che fa pagare le conseguenze delle sue azioni, sia i civili che bombarda, sia i militari che arruola per questo sporco lavoro. È chiaro quindi che la battaglia delle vittime e dei loro familiari è una battaglia che travalica l’aspetto legale e risarcitorio (che viene comunque boicottato) e diventa un fattore politico, di gestione della società. Finché la direzione dell’economia sarà in mano alla borghesia imperialista, non potrà che andare sempre peggio. La crisi spinge i capitalisti ad alimentare le guerre per la spartizione delle materie prime e per la sottomissione di altri paesi alle regole di mercato imposte dai maggiori gruppi imperialisti. La corsa al riarmo e la dotazione di armamenti sempre più distruttivi (basti pensare alla MOAB, la bomba di 10 tonnellate scaricata in Afghanistan dagli USA nel 2017) sono una caratteristica di questa deriva. A farne le spese sono i civili dei paesi bombardati, i militari di truppa e sottufficiali (reclutati su princìpi giusti ma con fini sbagliati – la tutela della pace, la difesa del proprio paese e del proprio popolo – o sulla scia della crisi crescente che costringe decine di migliaia di figli di proletari a cercare un salario, poco importa se bisogna arruolarsi), ignari per lo più dei rischi e senza grosse alternative, e i civili italiani che vivono nei pressi dei poligoni. Questa battaglia coinvolge loro, ma anche tutti quelli che lottano contro la crisi ambientale; i sinceri democratici che si dichiarano apertamente contro la guerra; chi lotta in difesa della salute pubblica, contro le spese militari e per l’utilizzo dei fondi pubblici per uno sviluppo ecocompatibile e utile del paese e dell’industria; i lavoratori delle aziende che producono armamenti affinché lottino per riconvertire le proprie aziende e non dover più convivere con l’idea che il proprio lavoro produca morte in altri luoghi; chi lotta per l’attuazione della Costituzione nelle sue parti più progressiste, in particolare negli articoli in difesa della Salute pubblica e contro la guerra; chi lotta per lo smantellamento dei poligoni militari, oramai vere e proprie discariche di veleni, per la sovranità nazionale (contro la sottomissione alla NATO).

Queste sono alcune delle contraddizioni che esistono, che si aggiungono a quelle esistenti all’interno delle forze armate: quanti soldati sono disposti a sottostare ancora alle minacce e ai ricatti di perdere il grado o addirittura la divisa? Quanti sono disposti a vivere di omertà, mentre loro stessi e i propri colleghi si ammalano e sono abbandonati dallo Stato e da ogni istituzione?

La lotta e l’intervento sul governo M5S-Lega.

La breccia apertasi nel sistema politico delle Larghe Intese con il voto del 4 marzo determina una situazione favorevole al raggiungimento di alcuni obiettivi di chi lotta per la verità e la giustizia per le vittime degli inquinanti bellici. Il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta è l’unico in questa carica che negli ultimi anni non ha apertamente negato il nesso causa-effetto tra uranio impoverito e malattie e, anzi, ha dichiarato di volerci andare fino in fondo. Non a caso in molti si sono già mossi nel richiedere incontri con il Ministro, tra cui il Comitato Amici e Parenti delle Vittime dei Veleni della Guerra che ha scritto una lettera aperta. Ovviamente il Ministro è già accerchiato da una pletora di generali e vertici militari, da decenni al comando delle forze armate.

Quindi, aspettiamo che il Ministro dia seguito a quanto detto? Intervenire da comunisti in questa battaglia vuol dire: 1) sostenere le istanze di familiari e associazioni sul tema; 2) divulgare ogni notizia in merito e denunciare ogni tentativo di boicottaggio e sabotaggio, ogni passo indietro da parte del Governo M5S-Lega, tenere alta l’attenzione; 3) fare rete tra i singoli e gli organismi che si occupano della questione, per impedire il tentativo dei vertici militari e dei loro sodali di mettere in contrapposizione le vittime tra loro; 4) incalzare (e sostenere chi incalza) il governo sull’attuazione di misure immediate (risarcimenti, provvedimenti disciplinari su “chi sapeva”, incontri pubblici sul tema, ecc.) che vadano nella direzione di fare verità e giustizia (il M5S si è sempre dichiarato a favore di questa lotta, la Lega ha fatto della tutela delle forze armate una sua bandiera!); 5) incalzare ogni eletto affinchè si esponga sul tema con interrogazioni parlamentari, conferenze stampa, eventi pubblici.

Queste sono alcune delle attività che i comunisti possono promuovere per alimentare questa battaglia.

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