Rilanciamo la lettera che ci ha inviato un compagno del Partito dei CARC rispetto alla lotta in corso in Francia e il movimento dei Gilet Gialli. Il compagno giustamente cerca di trarre degli insegnamenti da questi fatti e di contrastare idee e concezioni dannose per la classe operaia e le masse popolari del nostro paese. A quanto il compagno scrive aggiungiamo alcuni aspetti per delineare ancora meglio il ragionamento che propone.
Innanzitutto è importante inquadrare quali sono le idee e posizioni più diffuse tra le masse popolari rispetto ai fatti di Parigi, queste sono sostanzialmente di tre tipi: a) alcuni dicono: “vedi in Francia si mobilitano, in Italia non si muove niente”; b) altri dicono: “dietro quella mobilitazione c’è la Le Pen, si tratta di piccolo borghesi incarogniti dalla crisi, quindi è una mobilitazione reazionaria”; c) altri ancora: “dobbiamo capire come da quella mobilitazione possiamo attingere per promuovere la lotta contro il governo M5S-Lega”.
Di queste posizioni, certamente la terza è quella più avanzata e di prospettiva, perché mette al centro la mobilitazione delle masse popolari e il loro protagonismo. Le altre due, in modi diversi, cadono nell’attendismo e in definitiva rivelano di non avere alcuna fiducia verso le masse popolari. La realtà, a chi la vede in questo modo, dà sonori schiaffoni e si mostra completamente diversa.
Le mobilitazioni francesi degli ultimi giorni sono la forma particolare che la resistenza spontanea delle masse popolari ha preso in quel determinato paese e in quelle determinate condizioni. Il punto è che quanto sta avvenendo in Francia sta avvenendo in tutto il resto d’Europa in realtà, anche se in forme diverse. È così in Grecia, in Spagna, in Gran Bretagna e anche in Italia. Le mobilitazioni d’incalzo al governo M5S-Lega diffuse in tutto il paese, contro le grandi opere, contro la chiusura degli ospedali, per un lavoro dignitoso o per il diritto alla casa, sono tutte forme della resistenza spontanea delle masse popolari al procedere della crisi generale del capitalismo.
In tal senso è poco utile mettere in contrapposizione quanto avviene in Francia con quanto avviene o non avviene nel nostro paese, l’aspetto decisivo è mettersi a fare, promuovere mobilitazione e organizzazione, incalzare il governo del “cambiamento” a rispettare le promesse fatte in campagna elettorale o ad attuare le parti progressiste contenute nel contratto di governo.
Quanto sta avvenendo al governo Macron deve servire innanzitutto per comprendere come anche nel nostro paese, il governo M5S-Lega e ogni governo che proseguirà nei tentativi di tenere insieme capre e cavoli (gli interessi delle masse popolari e gli interessi della borghesia imperialista) finirà per essere travolto da quella stessa indignazione popolare che l’ha generato. In tal senso invitiamo alla lettura dell’articolo pubblicato su La Voce 60 del (n)PCI, Governo M5S-Lega: cosa ricavarne per le masse popolari e cosa imparare in vista del GBP1.
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Cari compagni della Staffetta Rossa,
vi scrivo per proporre un ragionamento sui gilet gialli in Francia e sugli ultimi sviluppi della lotta che stanno conducendo. Il congelamento per 6 mesi delle nuove accise sul carburante, potrebbe dirsi un risultato modesto. Eppure, a coglierne il dato politico, oltre l'”opinionismo social” che ha infiammato i militanti da tastiera in questi giorni se i “Gilet gialli” fossero proletari o “piccolo borghesi”, fascisti o no, anticapitalisti o corporativi, è uno: l’ingovernabilità dei vertici dello Stato borghese (uno Stato compiuto, in Francia) è altissima; l’ingovernabilità dal basso della lotta sociale si diffonde; la breccia nel sistema politico dell’UE, dei gruppi e dei partiti che hanno portato avanti il “programma comune” della borghesia imperialista è aperta.
Il carattere dinamico degli eventi travolge tanto i piagnistei della sinistra riformista che il dogmatismo dei “duropuristi”. La piattaforma rivendicativa della protesta che ha messo a soqquadro Parigi per giorni si è evoluta rapidamente, trasformando il tema delle accise, tanto caro, di solito, ai padroncini, in uno stilato di 19 punti di cui almeno 15 sono favorevoli alle masse popolari del Paese. È la spinta specifica del proletariato francese che, organizzandosi e coordinandosi, ha fatto valere la sua forza e il suo peso politico, ha espanso la protesta e messo in scacco le autorità costituite costringendole a “trattare”.
Niente delega, ma mobilitazione diretta. Niente riconoscimento delle autorità costituite, ma una nuova autorità nascente, popolare, che mette alle corde Macron, dimostrando la provvisorietà del governo che presiede, nato, come in altri paesi, compreso il nostro, dalla svolta in corso nel sistema politico degli ultimi 40 anni. Quale svolta? Quella che sta mettendo in seria difficoltà (in Germania, Regno Unito e Spagna) o ha già scalzato (come negli USA con l’elezione di Trump o proprio in Francia con l’elezione di Macron, ancorché due operazioni, queste, provenienti dall’interno della classe dominante, o, ancora, in Italia, con la vittoria elettorale del M5S il 4 marzo e con la formazione del governo M5S-Lega il 1 giugno scorso) gruppi e i partiti, di “destra” e di “sinistra”, che negli ultimi quattro decenni hanno governato e attuato il “programma comune” della borghesia imperialista.
Il nocciolo di questa svolta risiede nel fatto che essa è il frutto del malcontento e della ribellione delle ampie masse popolari al “programma comune” che quei partiti hanno imposto loro per decenni. Una ribellione su ampia scala che, però, fino ad ora, si è consumata sul terreno più favorevole alla classe dominante: la lotta politica borghese, le elezioni.
Oggi la ribellione crescente delle masse popolari tende, però, ad andare oltre. Torna alle piazze e alla lotta diretta. Non è “la rivoluzione”, ma ne è la base e la condizione di possibilità.
Considerare, infatti, isolatamente il lavoro di costruzione e rafforzamento del partito comunista, limitarsi a ragionare solo in funzione di quanto il partito comunista raccolga già oggi i consensi e la fiducia delle masse popolari – benché, attenzione, la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato sia effettivamente l’aspetto principale e dirigente per la rivoluzione socialista – porta a minimizzare il ruolo delle masse popolari, a considerarlo accessorio. Da lì, a finire al carro della classe dominante, per cui le masse popolari sono solo “massa di manovra”, il passo è breve. Ed effettivamente è l’errore in cui cadono la sinistra borghese e i soggettivisti, quelli che non vedono alcuna mobilitazione delle masse popolari perché non vedono grandi scioperi o grandi manifestazioni sotto le bandiere rosse, quelli che tendono a denigrare le masse popolari che “si sono spostate a destra”, “sono fasciste e razziste”, “non capiscono nulla perché continuano a votare partiti che le prendono in giro”.
La rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato è senza dubbio l’aspetto principale e dirigente per avanzare nella rivoluzione socialista, ma il suo legame con la classe operaia e con le masse popolari è l’aspetto decisivo. Senza quest’aspetto non è possibile alcuna rivoluzione socialista, è vero, ma la forza della rivoluzione socialista sono e restano le ampie masse, i milioni di uomini e donne che, di fase in fase, pensano e agiscono sulla base del senso comune predominante in quel momento storico.
Ecco perché lo sviluppo in senso rivoluzionario della ribellione montante dipende da noi, principalmente da noi.
Chi “dai francesi” non tira questa lezione sta, ancora una volta, o facendo il “tifo” o facendo chiacchiere. Non la rivoluzione. La rivoluzione non si copia né si esporta. Men che meno “si tifa”. La si costruisce oppure no.
Un compagno del P.CARC