[Italia] Le riflessioni di una compagna sul corso-ritiro del P. CARC

Nel mondo di oggi, caratterizzato dalla fase terminale della crisi, anche ritagliarsi del tempo per studiare è una battaglia quotidiana. Sono socialmente accettati, per esempio, molti tipi di ritiro dal mondo per dedicarsi alle attività più disparate (ritiri monacali e spirituali, sportivi, militari, ecc.) ma prendersi del tempo per la formazione politica e storica non controllata dalle scuole e istituzioni borghesi… quello no. Non pensiamo mai che la nostra formazione, letteralmente “dalla culla alla tomba”, rimane nel solco di ciò che decide la classe dominante, sia che si parli di scuola, che di mezzi di informazione come giornali, tv, ecc. Tutto quello che è al di fuori di questo tracciato viene etichettato come sbagliato, deviato, fuorviante. È un pilastro del regime di controrivoluzione preventiva talmente subdolo e articolato che secondo il senso comune è perfettamente normale: non siamo abituati a pensare e ragionare, meno lo facciamo meglio è per la borghesia!

Il Partito dei CARC si dà i mezzi per la sua politica e uno degli strumenti fondamentali è lo studio, per questo lo scorso settembre (dal 20 al 30) si è svolto a Milano un corso ritiro che ha coinvolto 4 giovani compagne toscane.

Durante il corso, le partecipanti sono state impegnate tutto il giorno in attività di studio e formazione e hanno sperimentato la vita collettiva, vivendo insieme nella stessa casa e occupandosi della sua gestione (preparazione dei pasti, pulizie, ecc.). Funzionale al concetto di “ritiro” e per permettere la massima concentrazione sullo studio, non avevano a disposizione né computer, né telefono e quindi avevano limitati contatti “con l’esterno”. L’isolamento serve alla concentrazione: anche i comunisti sono nati e vivono in questa società e devono imparare a studiare, a capire quello che fanno, a capire perché lo fanno. “Nessuno nasce imparato” e piccole forzature come quella dell’isolamento sono funzionali proprio a questo.

Questo tipo di corso è utilizzato già da qualche anno dal Partito, in quanto si è rivelato essere un valido strumento di formazione, crescita e discussione individuale e collettiva. La Scuola di Partito è un ambito in cui ogni compagno ha occasione di mettere mano alla sua riforma morale e intellettuale per diventare comunista.

Anche solo per poter partecipare al corso, le compagne hanno dovuto far fronte a tutta una serie di “ostacoli”: dall’opposizione della famiglia di origine o quella degli amici, al doversi allontanare per alcuni giorni dal lavoro in produzione, al dover sistemare le cose in modo che potessero abbandonare la tecnologia per qualche tempo (niente email, telefonate, ecc.). “Ti faranno il lavaggio del cervello!” è quello che tutte le compagne si sono sentite dire, chi più chi meno, dai loro genitori: affermazioni di questo tipo sono una manifestazione del senso comune di cui sopra, insieme al fatto che le donne delle masse popolari subiscono una doppia oppressione, quella di genere e quella di classe (che è anche stato uno degli argomenti trattati durante il corso), per cui una compagna femmina generalmente incontra più ostacoli alla sua emancipazione rispetto a un compagno maschio.

Insomma, si sono dovute dare i mezzi per la loro formazione, anche prima che cominciassero le sessioni di studio vere e proprie!

Lo studio collettivo ha tenute impegnate le compagne in sessioni mattutine e pomeridiane, supportate dai docenti del Centro di Formazione del Partito. Sono stati affrontati temi calibrati sulle specificità delle compagne e che avevano l’obiettivo di far crescere ognuna di loro a partire dalle loro caratteristiche e aspirazioni per formarle alla direzione del movimento delle masse popolari: avviarle a diventare educatrici, formatrici e organizzatrici della classe operaia e delle masse popolari. Sono quindi state affrontate materie fondamentali per capire l’andamento della società. A partire dallo studio delle basi economiche del sistema capitalista, hanno analizzato il movimento concreto che spinge verso il socialismo, insieme allo studio della storia del movimento comunista e al bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria, per poi passare ad analizzare la situazione politica attuale, sia nel nostro paese che fuori.

I giorni trascorsi a Milano hanno avuto ricadute positive nella vita di tutte le compagne. Hanno permesso loro di vedere le cose dall’alto, di analizzare le loro esperienze, la loro attività politica e i loro rapporti personali e lavorativi alla luce della lotta di classe e della situazione rivoluzionaria in sviluppo nella quale siamo immersi. Analizzare le cose, conoscere i processi e le ragioni del perché accadono è il primo passo per trasformarle. Il corso ha dato loro slancio per cominciare a mettere mano a tutti gli aspetti della loro esistenza: ragionare sui rapporti di coppia e familiari come non scollegati dal resto della società che ci circonda, a capire qual è il posto da assegnare all’istruzione o al lavoro in produzione, a ragionare su che senso dare alla propria vita.

Qua sotto riportiamo la lettera di una delle partecipanti al corso, che descrive la sua esperienza, mostrando quanto questa abbia avuto un forte impatto su di lei.

***

Con voi, giovani compagni e compagne curiosi di comprendere il mondo in questa società dove la cultura dominante devia dalla conoscenza del corso delle cose impedendovi di pensare e di imparare a farlo, voglio condividere le riflessioni sulla mia partecipazione alla Scuola del Partito dei Carc.

I dieci giorni di corso ritiro che ho fatto si sono rivelati una preziosa opportunità di crescita e di avanzamento nel percorso intrapreso tra le fila del Partito poco meno di un anno fa.

Un’occasione per approfondire la conoscenza e l’assimilazione della scienza comunista in quanto guida per noi che operiamo incanalati nella corrente verso la quale va il mondo, verso una società sempre più collettiva, verso il comunismo.

Un’esperienza di vita collettiva dove ho sperimentato il distacco dal telefono e quindi da casa, dalla mia famiglia, dagli amici, dal lavoro, da una società in crisi che non riesce più a dare un ruolo agli individui, per concentrarmi nello studio e sulla scelta di campo e di vita che sto facendo.

Tutto questo mi ha fatto paura… come spiegare questa scelta ai miei familiari? Come spiegare a me stessa che non sono stati i sacrifici e gli anni di studio a dare un senso alla mia vita, ma che sono io a dover decidere cosa farne? E come affrontare la paura verso l’azione della borghesia che viola le sue stesse leggi per difendere il proprio potere, quando a me, in quanto giurista, hanno sempre insegnato che legalità fosse sempre giustizia?

Sono questi gli interrogativi che mi hanno accompagnata e che mi sono sforzata di problematizzare con il collettivo, scoprendo che molti miei dubbi e paure erano anche quelli delle compagne con cui li ho condivisi e affrontati.

La prima contraddizione con cui mi sono scontrata è stata quella di sperare che i miei genitori comprendessero la mia scelta, che magari, pur non appoggiandola, la accettassero.

Che questo fosse impossibile l’ho compreso quando la Scuola del Partito mi ha mostrato come la mia famiglia, e quella di chiunque altro, non è esclusa delle dinamiche sociali nelle quali è inserita, di quanto sia sommersa dagli strumenti che la borghesia mette in campo al solo scopo di valorizzare il proprio capitale.

La borghesia cerca di distogliere le masse popolari dalla partecipazione consapevole e organizzata alla lotta di classe, cerca di indirizzarle ad individuare nella famiglia e nei figli, in noi figli di queste, l’unica ragione di vita.

È questo sistema che concorre ad alimentare in noi il senso di colpa e la frustrazione quando non riusciamo a ripagare i sacrifici fatti dai nostri genitori per farci studiare o se non riusciamo a diventare ciò che loro avrebbero voluto per noi, concorre a farci sentire esuberi perché è esattamente così che la società ci considera.

Ho avuto la possibilità di analizzare con distacco la mia famiglia, di studiarne l’origine di classe e comprendere dunque la mentalità e i limiti propri di una generazione che ha goduto ed usufruito delle conquiste delle lotte operaie degli anni ’60, ma che non si è resa conto del progressivo smantellamento dei diritti perpetrato dalla borghesia imperialista nell’attuazione del programma comune.

Oggi, per noi giovani delle masse popolari, l’unica via per trovare un ruolo in questa società allo sfascio è occupare un posto nella lotta di classe. È avanzando in questa direzione e prendendo coscienza dei compiti che vogliamo assumere che acquisiamo gli strumenti necessari per intervenire sulle relazioni che abbiamo costruito, a costo di rompere con l’esistente per poi ricostruire i rapporti ad un livello superiore.

Ho capito che l’emancipazione della maggior parte di noi figli delle masse popolari non passerà solo o necessariamente attraverso il lavoro per il quale abbiamo tanto studiato, perché in questa società non c’è spazio per tutti e la borghesia non ha interesse a crearlo. Ciò che ci viene insegnato nelle scuole e nelle università è espressione della classe dominante, un sapere volto a diffondere tra le masse popolari la cultura dell’evasione dalla realtà, necessaria a confonderle e ad intossicarle, a “garantirne” l’arretratezza politica.

Anche io provengo da questo retaggio, da anni di formazione in cui ho creduto che lo Stato fosse garante dei diritti fondamentali sanciti nella Costituzione, dove è il popolo a legittimare il potere degli organi che lo amministrano, dove la giustizia opera applicando la legge in maniera autonoma e imparziale perché la legge è uguale per tutti.

Oggi mi rendo conto che non è così e che così non è mai stato, infatti costituzione e leggi non sono state altro che lo strumento in mano alla borghesia volto a contrastare il processo di emancipazione delle masse popolari, prospettando loro l’illusione di una vita dignitosa attraverso la concessione di diritti e migliorie che negli anni sono stati smantellati.

La borghesia oggi teme la classe operaia e le masse popolari, e teme l’avanzata del movimento comunista cosciente e organizzato che le mobilita e organizza, che eleva la loro coscienza trasformandole nella forza dirigente della società.

Oggi per la borghesia, proteggere i propri privilegi e il proprio potere significa rompere con la sua stessa legalità, che vuol dire anche mettere in campo azioni repressive contro il movimento comunista in rinascita con l’intento di far vacillare l’adesione alla causa dei suoi membri colpendone i punti deboli, cercando di impedirne a tutti i costi il successo.

Avvicinarmi al Partito dei CARC ha significato mettere in discussione la concezione di legalità che mi ero costruita, intesa come rispetto delle prescrizioni di legge emanazione di uno Stato interclassista e neutrale. Avanzare nello studio e nella comprensione della concezione comunista del mondo però mi ha fatto riflettere sul criterio che guida la nostra attività e per il quale è legittimo tutto ciò che serve alle masse popolari malgrado sia vietato dalle leggi, oggi espressione degli interessi dei padroni e della borghesia.

In quest’ottica, andare sempre più a fondo con l’analisi dialettica del corso delle cose e della linea del partito mi ha permesso di cominciare ad affrontare la paura della repressione partendo dal collettivo, mettendo in luce quale è l’origine di questo sentimento.

La borghesia infatti ha elaborato un piano di controrivoluzione preventiva che implica tra l’altro la repressione selettiva dei comunisti anche attraverso l’utilizzo di misure coercitive e pecuniarie.

Denunce, multe e perquisizioni infatti costituiscono alcuni degli strumenti attraverso cui la borghesia tenta di impedire il rafforzarsi del partito comunista affinché non trovi affermazione tra la classe operaia e arriva ad estendere le misure repressive anche alle masse popolari che cercano di vedersi riconosciuti i diritti che la costituzione gli garantisce.

Intimidirci è esattamente ciò la borghesia mira a fare, è per questo che spesso ci si sente rassegnati alle ingiustizie che ci colpiscono e che ci circondano, abbiamo paura di trovarci da soli a subire e ad affrontare l’azione del nemico. 

Non siamo abituati a pensare alla repressione come un problema sociale, che colpisce chi difende i diritti delle masse popolari e colpisce il singolo per ciò che rappresenta: un partito, un’ideologia.

Abbiamo paura dell’opinione dei nostri familiari come se non appartenessero alla classe che la borghesia si ingegna a costringere sotto il proprio dominio; come se non potessero educarsi alla lotta di classe toccando con mano che la giustizia non è uguale per tutti e al fatto che l’aspetto principale non è il reato addebitato, bensì l’obiettivo politico perseguito.

È nell’azione di un partito come il nostro, capace di resistere agli attacchi repressivi più feroci che trovo il coraggio per affrontare le mie paure e la motivazione per scardinare l’educazione che ho ricevuto e se necessario metterla a contributo per la causa.

L’esperienza del corso ritiro, comprensiva anche della battaglia fatta per parteciparvi contro i nostri genitori e un padrone che minacciava di toglierci il lavoro, mi è servita a comprendere che le priorità che ci diamo nella vita altro non sono che quelle che la borghesia vuole che ci diamo così da tenerci lontani dalla possibilità di sviluppare una coscienza politica.

È per questo che dobbiamo essere noi gli artefici della trasformazione di ciò che ci circonda ed impareremo a farlo partecipando alla rinascita del movimento comunista, man mano che avanzeremo nella lotta di classe verso la costruzione della rivoluzione socialista.

E. B.

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