Il 26 gennaio 2017 è stato arrestato a Modena, nel corso di una trattativa sindacale, Aldo Milani, dirigente del SI Cobas con l’accusa (secondo i giornali e la Questura) di aver intascato tangenti per allentare le mobilitazioni di cui gli operai erano protagonisti da mesi nel settore della macellazione, con al centro le lotte a Castelnuovo Ragnone (MO).
La migliore reazione all’attacco nei confronti di Aldo Milani e del SI Cobas è stata la risposta della classe operaia che si è mobilitata immediatamente per la sua scarcerazione, con scioperi in tutta Italia e con due giorni di presidio avanti al carcere di Modena e la presenza di oltre 500 lavoratori. Contro il giochino della dissociazione, dell’attesa di “buone nuove” e della fiducia nella magistratura borghese per giustificare l’opportunismo di chi non si espone, la risposta operaia è stata esemplare. Perché fidarsi dei vertici della Repubblica Pontificia e della sua magistratura, usata da un lato per il regolamento di conti interno al sistema di potere, e dall’altro per colpire e reprimere le esperienze di lotta più avanzate?
Nessuna fiducia perché infatti, in questi giorni, sono emerse le intercettazioni di uno scambio del 26 gennaio 2017 tra Lorenzo Levoni, Amministratore Delegato di Alcar Uno (l’azienda al centro della lotta sindacale del SI Cobas in loco) e il vicecommissario di polizia di Modena, Marco Barbieri, rese note dalla Gazzetta di Modena (qui l’articolo del 1.11.’18), che descrivono bene la complicità tra padroni e questura nell’attacco al SI Cobas e alle vertenze che porta avanti nel settore. Infatti, Barbieri arriva non soltanto ad esultare l’arresto di Milani di qualche ora prima (“Abbiamo fatto un bingo che non ne hai idea. Per noi è una cosa pazzesca, Lorenzo. Come arrestare Luciano Lama ai tempi della CGIL d’oro” dice l’agente Digos) ma anche a spiegare il perché di questa sua servilità: “Nei mesi precedenti quando ogni giorno io e un carabiniere ci trovavamo davanti ai due cancelli della Alcar Uno per seguire la situazione drammatica notavo nei Levoni una prostrazione psicofisica. E noi davamo conforto”.
Una chiara scelta di campo questa, che però non ci deve sorprendere essendo il Barbieri (e per esteso le Forze dell’Ordine) parte di una struttura repressiva promossa appositamente per difendere gli interessi alla base del dominio della borghesia, ovvero gli interessi capitalistici e i loro padroni.
Questo avviene in generale, e in questo caso si tratta di una regione come l’Emilia Romagna che vede il termine del processo Aemilia (oltre 1200 anni per “infiltrazioni” della ‘ndrangheta) e inchieste ad imprenditori come Sante Levoni, fondatore del salumificio di Castelnuovo, su cui pendono le accuse di corruzioni ai danni di un giudice tributario bolognese Carlo Alberto Menegatti a cui avrebbe offerto soldi e salumi in cambio di consulenze favorevoli. Rigettiamo quindi ogni misura reazionaria e repressiva, estendiamo la solidarietà di classe e mettiamo al centro l’organizzazione della classe operaia e del resto delle masse popolari.
Il contenuto di queste intercettazioni è grave e pone ancora più all’ordine del giorno la mobilitazione della classe operaia e del resto delle masse popolari contro queste misure repressive, misure che vanno ribaltate con l’organizzazione e il coordinamento delle forze sane di tutto il paese. Bisogna far valere il principio che violare misure ingiuste è legittimo anche se illegale!
Contro la repressione bisogna replicare e diffondere in tutto il paese esperienze come quella dei 5 operai licenziati da FCA per aver violato la legge sulla fedeltà aziendale criticando Marchionne a seguito dei suicidi dei loro compagni di reparto; esperienze come quelle dei NO TAV della Val Susa continuamente oggetto di misure repressive odiose come la condanna a Nicoletta Dosio, che ha deciso di violare gli arresti domiciliari cui era condannata.
Porsi l’obiettivo di sviluppare azioni del genere significa alimentare ogni forma di incompatibilità tra le masse popolari e la classe dominante, significa per chi le promuove fare un salto in avanti nella contrapposizione di interessi fra vecchie autorità borghesi e le masse popolari. Significa concentrare le proprie energie non solo nel denunciare le malefatte del governo (ad esempio il Decreto Sicurezza) o a difendere quella parte del suo operato che sostiene le masse popolari (ad esempio il reinserimento, su spinta degli operai Bekaert, della cassintegrazione per cessata attività), significa utilizzare la fase attuale per allargare la breccia che le masse popolari hanno aperto con le ultime elezioni del 4 marzo nel sistema politico del nostro paese e dimostrare praticamente la necessità della costituzione del Governo di Blocco Popolare.