Italia a rischio default? Spuntare l’arma della propaganda di guerra sul debito pubblico

“L’Italia non può permettersi di finanziare il reddito di cittadinanza e la riforma della Legge Fornero perché finirà come la Grecia” è una delle “nefaste previsioni” (minacce) che in questi mesi i principali esponenti delle autorità economiche e politiche della UE e i loro pappagalli delle Larghe Intese in Italia hanno agitato. E’ propaganda di guerra per convincere le masse popolari che l’unico modo per impedire che il paese finisca in bancarotta è accettare ed eseguire, costi quel che costi, le “ricette” del FMI, della BCE della Commissione Europea. Ma proprio l’esempio della Grecia è utile e attuale per smontare la propaganda di guerra.

1. Le masse popolari della Grecia sono oggi in condizioni da “terzo mondo” con la miseria dilagante, lo smantellamento dei diritti e delle tutele conquistati con le lotte dei decenni passati, la soppressione dei servizi pubblici e la privatizzazione dei beni pubblici (non solo le infrastrutture: spiagge, isole e monumenti), proprio e solo perché il governo Tsipras ha collaborato attivamente all’attuazione delle misure delle autorità della UE. Gli scenari catastrofici che gli opinionisti della borghesia tratteggiavano nel caso in cui Tsipras avesse disobbedito ai diktat della Troika si sono invece materializzati perché ha obbedito.

2. Per capire quello che “è successo alla Grecia” e che BCE e FMI minacciano per l’Italia, bisogna trattare la questione del Debito Pubblico (DP), una gallina dalle uova d’oro per i signori della finanza e della speculazione internazionale e, contemporaneamente, il macigno che soffoca i lavoratori e le masse popolari finché non se lo scrollano di dosso.
Per motivi di spazio ci limitiamo qui a una estrema sintesi del meccanismo per cui negli ultimi 40 anni il Debito Pubblico italiano (come quello di altri paesi) è cresciuto vertiginosamente. Per approfondimenti, rimandiamo alla letteratura della Carovana del (nuovo)PCI, a partire dall’articolo pubblicato su La Voce n. 50 del luglio 2015 “La lezione della Grecia”.
Chiameremo di seguito risparmiatori gli individui e le persone giuridiche che hanno temporanei avanzi di denaro e cercano di tirarne il massimo interesse che gli riesce, chiamiamo investitori i proprietari di denaro che operano sistematicamente sul mercato finanziario cercando di moltiplicarlo.
Consideriamo tre categorie (voci) essenziali delle finanze governative:

– Entrate Fiscali e affini annuali (EF): principalmente tasse, imposte e rendite di beni pubblici.

– Uscite o Spesa Pubblica annuale (UP): spese correnti (stipendi e acquisti per il funzionamento delle istituzioni pubbliche), trasferimenti alle famiglie e alla imprese e istituzioni, investimenti pubblici, servizio del DP.

– Servizio del DP: interessi sui titoli del Debito Pubblico in circolazione, rimborso dei titoli che vengono a scadenza, provvigioni delle istituzioni che fanno le operazioni relative al collocamento dei titoli e al servizio del DP.

In Italia la corsa del DP incomincia dopo “il divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, deciso alla chetichella nel febbraio-marzo del 1981 da Azeglio Ciampi, Governatore della Banca e da Nino Andreatta, Ministro del Tesoro con il complice silenzio di tutti “quelli che sapevano” (DC, PCI, PSI e il resto). L’obiettivo del divorzio era coprire i partiti di massa (fondamentalmente DC, PCI e PSI) rispetto ai loro seguaci ed elettori. Questi premevano perché il governo facesse nuove riforme. Dopo il divorzio ogni partito poteva addurre che il governo non poteva fare più di tanto, perché il mercato finanziario faceva al governo condizioni via via peggiori e il governo quindi non aveva i soldi per finanziare nuove riforme. In realtà era incominciata la seconda crisi per sovraccumulazione assoluta del capitale e il movimento comunista non faceva più paura alla borghesia e al Vaticano; la borghesia quindi metteva in atto il suo “programma comune” tra le cui voci c’era: spremere di più i lavoratori, ridurre imposte e contributi sociali versati dalle imprese capitaliste, privatizzare i servizi pubblici e le imprese pubbliche, aumentare il terreno per investimenti finanziari perché gli investimenti industriali (cioè nella produzione di beni e servizi da vendere) rendevano profitti continuamente calanti.
Prima del “divorzio” se il governo decideva di spendere più di quello che incassava (EF) o chiedeva alla Banca d’Italia di anticipargli denaro (fargli credito) o emetteva titoli del Debito Pubblico rimborsabili a scadenza e a un tasso d’interesse stabilito d’accordo tra governo e Banca d’Italia. La Banca poi vendeva (al valore nominale) a investitori e risparmiatori la parte dei titoli che riteneva conveniente vendere per assorbire una parte della moneta in circolazione o comperava una parte dei titoli in circolazione per aumentare la moneta circolante (operava quindi in base a sue valutazioni di politica monetaria: quanta moneta mettere in circolazione e come, per raggiungere obiettivi quali regolare l’inflazione, incoraggiare o frenare gli investimenti, spingere o frenare l’attività economica e altri).
Dopo il divorzio, il governo se ha bisogno di più denaro di quello che incassa, emette titoli del Debito Pubblico rimborsabili al portatore a una scadenza definita. Ogni titolo ha un valore (es. 10 mila €) e un interesse (es. 3% annuo, ossia 300 €) nominali definiti. Il governo li “vende” (mercato primario) all’asta a istituzioni abilitate a collocarli sul mercato secondario (investitori e risparmiatori) dove i titoli del DP poi circolano (operazioni di compravendita) come un qualsiasi altro titolo finanziario (azioni e obbligazioni di imprese, titoli derivati, ecc.). Quando il governo colloca i titoli sul mercato primario, per il titolo da 10 mila € incassa non il valore nominale ma il massimo che le istituzioni partecipanti all’asta sono disposte a dargli. Se, adducendo la poca fiducia di investitori e risparmiatori nella solvibilità del governo (affidabilità che alle scadenze previste pagherà al portatore interessi e rimborsi, senza imposte e altri vincoli) o addirittura la paura dell’insolvibilità, arresto dei pagamenti, default) del governo e la necessità di svendere quindi i titoli per collocarli, i concorrenti all’asta offrono al massimo ad es. 8 mila €, il governo per un titolo da 10 mila incassa 8 mila, mentre alla scadenza dovrà rimborsare al portatore 10 mila e annualmente pagherà 300 (3% su 10 mila) di interessi per un incasso di soli 8 mila, oltre le commissioni (provvigioni) per chi si occupa delle operazioni. Stando all’esempio indicato, un governo che ha un deficit (differenza tra UP ed EF di cui sopra) di supponiamo 8 milioni €, si deve indebitare per 10 milioni che dovrà restituire a scadenza e sui quali pagherà ogni anno 300 mila € di interessi. Se si tiene conto della forza dei fondi di investimento (pochi grandi fondi hanno il monopolio del mercato secondario), dell’influenza delle Agenzie di Rating (valutazione delle affidabilità e solvibilità del governo) come Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch su piccoli e medi investitori e sui risparmiatori e dei legami di queste Agenzie con i monopoli finanziari, si capisce perché il DP aumenta. Il governo può realizzare un avanzo primario (EF – UP + SD): entrare fiscali e affini meno Uscite senza considerare il Sevizio al DP), ma se il servizio al DP (SD) è alto, in definitiva dovrà finanziare il deficit (UP-EF) con nuovo debito e quindi di anno in anno il DP aumenta. Il servizio del DP diventa una uscita crescente per il governo e questo lo obbliga a far crescere il DP.
Dopo l’adesione all’Euro (patrocinata da Romano Prodi e Azeglio Ciampi) la Banca d’Italia è tenuta a osservare le direttive della Banca Centrale Europea (BCE), entrata in funzione nel 1998. Questa acquista titoli di DB solo sul mercato secondario e quindi lascia i governi in balia degli attori del mercato primario. Interviene indirettamente su di essi aumentando o diminuendo i suoi acquisti sul mercato secondario e quindi facendo salire o scendere il prezzo dei titoli.
È con un gioco simile che, state il servilismo del governo Tsipras, si è verificato il “miracolo” per cui dal 2015 a oggi più la Troika ha “aiutato” la Grecia, più il Debito Pubblico greco è salito.
“Il Debito Pubblico greco, il pagamento degli interessi, delle rate di restituzione e delle commissioni sono una manna per i gruppi imperialisti e un terreno per investimenti redditizi. Per loro diventano un problema solo se il governo greco non paga. Quanto più paga, tanto più aumenta il Debito Pubblico greco e tanto maggiore è il terreno per investire il capitale finanziario che anche i pagamenti del governo greco hanno fatto aumentare. Invece per le masse popolari greche il Debito Pubblico greco, il pagamento degli interessi, delle rate di restituzione e delle commissioni sono un problema solo se il governo greco paga” – da “Risposte ad alcune lettere alla Redazione”, La Voce n. 49 – marzo 2015.

3. Fra i prestatori di denaro “a strozzo”, tutti sanno che il debito della Grecia (178,6% del PIL), quanto e come quello dell’Italia (131,8% del PIL, 2327 miliardi di euro), non sarà mai saldato poiché ha raggiunto una cifra inarrivabile quale sia la strada che un governo voglia perseguire per estinguerlo. Ma a loro non interessa, ciò che preme è la necessità impellente di valorizzare il capitale oggi, subito, e di usare il debito come strumento attraverso cui spingere o costringere (il “pilota automatico” di Draghi, che della BCE è il Presidente) i governi di ogni paese ad attuare il programma comune della borghesia imperialista.
“Cosa avrebbero fatto le autorità europee se il governo Tsipras invece che chiedere a loro di continuare a versare “aiuti”, avesse incominciato lui col prendere in mano le banche greche, avesse ordinato alle banche greche di sospendere ogni pagamento e trasferimento di danaro all’estero, avesse fatto appello ai funzionari e agli impiegati delle banche greche perché controllassero l’esecuzione dei suoi ordini e decreti, impedissero violazioni e le segnalassero, avesse stabilito regole per i prelievi dai conti correnti e dai depositi nelle banche greche, avesse emanato direttive per il commercio interno e sottoposto a controllo governativo il commercio estero, avesse subito avviato le riforme che aveva promesso in campagna elettorale, avesse chiamato le masse popolari a organizzarsi per incominciare i lavori necessari e avesse preso altre misure del genere? Sarebbe toccato alle autorità europee e in particolare agli amministratori e fiduciari dei gruppi imperialisti franco-tedeschi chiedere alle autorità greche che per favore fossero realiste, che ritornassero sui loro passi. (…) L’esempio del governo Tsipras avrebbe fatto scuola negli altri paesi europei: avrebbe accresciuto la mobilitazione delle masse popolari contro le autorità, dato forza ai governi, di sinistra e di destra, di altri paesi che mal sopportano le imposizioni della Troika e li avrebbe costretti ad agire, avrebbe messo in difficoltà i governi, come quello spagnolo e portoghese, che collaborano attivamente con la Troika contro le masse popolari del loro paese” – La Voce n. 49 pagg. 20-27 – marzo 2015.
Le autorità della UE si trovano oggi, con l’Italia del governo M5S-Lega, in una situazione peggiore di quella in cui si trovarono con la Grecia del governo Tsipras prima che quest’ultimo diventasse il loro maggiordomo, perché per il mercato finanziario mondiale il Debito Pubblico italiano è un problema ben più grosso di quello greco. Più di 2.300 miliardi di euro per l’Italia contro solo 320 miliardi per la Grecia del 2015 e l’Italia è un paese ben più importante della Grecia nel sistema delle relazioni internazionali (Vaticano, comandi NATO, produzione industriale, ecc.): che ne sarebbe del loro ruolo di “massima autorità” se il governo italiano usasse quanto rimane della sovranità nazionale per disobbedire? Da qui i ricatti, le “manovre dissuasive”, la “moral suasion” di Sergio Mattarella e complici e le pressioni “dei mercati”.

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