Dove va Potere al Popolo? Contributo al dibattito

Fra i mesi di settembre e ottobre è entrata nel vivo e si è conclusa, con la fuoriuscita del PRC da Potere al Popolo (PaP), la lotta interna che ha avuto al centro l’approvazione dello Statuto.
Le riflessioni su questa “vicenda” sono molte e altrettanti sono gli insegnamenti che è possibile trarne, in questo articolo ci concentriamo su un aspetto particolare, riprendendo lo spirito costruttivo e fraterno con cui abbiamo seguito tutto il processo di costituzione di PaP e siamo intervenuti, pur senza aderire, nella fase iniziale del movimento ampio da cui è nato. Ci concentriamo sulle potenzialità che PaP ha oggi e che può sviluppare nell’immediato.
Per chiarezza, con questo articolo ci rivolgiamo anche ai compagni e alle compagne che sono invece rimasti nel PRC e a quanti sono rimasti “scottati” al passaggio dall’entusiasmo iniziale al clima da “resa dei conti” quando la lotta interna si è fatta più aspra. In definitiva parliamo a tutti coloro che, quale sia la loro collocazione attuale, vogliono alimentare e sostenere la lotta di classe in corso più coscientemente e contribuire a trasformare la resistenza che spontaneamente le masse popolari oppongono alla crisi del capitalismo in lotta per il socialismo.

Genesi di PaP e le elezioni del 4 marzo.
Quando la lotta sullo statuto è entrata nel vivo, alcuni fra i promotori della prima ora di PaP hanno dato varie versioni sulla spinta che originariamente ha animato quel percorso, in modo che ognuna di esse fosse funzionale ai fini della “propria corrente”. Noi partiamo da ciò che, analizzando “da fuori”, risulta essere il suo ruolo oggettivo: una spinta alla costruzione di un aggregato unitario che, stanti le diverse concezioni dei partiti e degli organismi che lo componevano, puntava a usare le elezioni per rafforzare la mobilitazione delle masse popolari sui territori, l’autorganizzazione, il mutualismo, ecc. Questo risultato PaP lo ha raggiunto, almeno fino al 4 marzo. Alcuni fra i principali partiti che organizzano la “base rossa” si sono aggregati a quel percorso (PCI, Sinistra Anticapitalista, PRC), insieme a organismi di movimento (Rete dei Comunisti) e aggregati minori in via di consolidamento (Eurostop): ciò ha dato vita a una ricca attività in campagna elettorale, a cui il PRC ha dato un importante contributo in termini organizzativi, data la superiore capillarità sul territorio rispetto agli altri.
In quel periodo abbiamo sviluppato un dibattito e un confronto franco con i compagni e le compagne che prendevano parte al processo, fossero essi dell’ex OPG, degli altri partiti e organizzazioni aderenti o singoli e piccoli gruppi che andavano costituendosi come PaP in varie parti d’Italia, su due punti in particolare: il ruolo dei comunisti in quella fase (come usare la campagna elettorale per la rinascita del movimento comunista), come superare l’elettoralismo e favorire l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari. Nonostante esistessero concezioni e posizioni diverse, in varie occasioni abbiamo condotto iniziative comuni in campagna elettorale (scioperi al contrario, occupazione di spazi o difesa degli spazi occupati, interventi fuori dalle aziende, iniziative per il diritto alla casa, iniziative culturali) ed essi hanno partecipato ad alcune campagne del P.CARC usando in positivo gli spazi e l’esposizione della campagna elettorale (ad esempio la campagna in solidarietà a Rosalba, contro gli abusi in divisa e per la vigilanza democratica). Abbiamo fatto valere il principio di “unire quello che l’elettoralismo divide”, promuovendo l’azione comune di partiti, liste e candidati che si presentavano separati e in concorrenza alle elezioni (PaP, LeU, M5S), ma oggettivamente uniti contro le Larghe Intese, alimentando in questo modo la spinta positiva a mettere al centro l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari. In molte circoscrizioni il P.CARC ha dato indicazione di voto, fra gli altri, anche per i candidati di PaP, riconoscendo il loro ruolo positivo nella lotta di classe in corso.
I risultati elettorali sono stati un primo spartiacque: per alcuni dei promotori e aderenti a PaP un risultato da cui partire per continuare e anzi sviluppare l’intervento sui territori, per altri, in particolare per il gruppo dirigente del PRC, una disfatta poiché non è stato eletto nessuno. A questo ordine di contraddizione, se ne è aggiunto un altro: cosa doveva diventare PaP? La combinazione delle due questioni, quali siano state le forme in cui si è manifestata, ha portato prima alla fuoriuscita del PCI, poi di Sinistra Anticapitalista e infine del PRC e Partito del sud.

Cosa è diventato PaP?
La spinta originaria si è mantenuta e consolidata: la Pagina Facebook rende noto che nel mese di ottobre, cioè compreso il periodo delle votazioni per lo statuto e della lotta interna, PaP ha promosso 165 iniziative territoriali, una assemblea nazionale e un corteo nazionale. E’ una significativa dimostrazione di vitalità. Per certo, il “modello ex OPG” è uscito da Napoli e ha “contagiato” compagni e compagne in altre città, PaP è promotore di molte mobilitazioni contro il razzismo e il fascismo, contro il decreto sicurezza di Salvini e di molte mobilitazioni per la difesa dei diritti delle masse popolari. Infine, PaP è diventato un aggregato “più nazionale” di quanto lo fossero gli organismi promotori prima del 4 marzo.
E’ ancora tutta aperta la lotta fra il ritagliarsi un “confortevole spazio a sinistra della sinistra borghese” (far prevalere il contro al per) e l’assumere un ruolo politico più definito e positivo nell’affermare gli interessi delle masse popolari. E’ ancora forte, cioè, la propaganda “contro il governo più reazionario dal dopoguerra” (sic) ed è invece ancora debole e confusa la mobilitazione pratica contro i vertici della Repubblica Pontificia e la comunità Internazionale degli imperialisti UE, USA e sionisti e Vaticano. A ciò concorrono più elementi: una è la mai sopita concorrenza elettorale con il M5S che il 4 marzo ha raccolto molti voti “di sinistra” e che chi mantiene il proprio orizzonte entro l’elettoralismo spera di recuperare “sparando a zero” contro il governo anziché incalzarlo affinché mantenga le promesse che ha fatto e fa; un’altra è la concezione del proprio ruolo e del ruolo dei comunisti in questa fase e in definitiva si lega alla sfiducia nelle proprie forze (ad esempio essere in grado di condizionare gli eletti del M5S e della Lega attraverso la mobilitazione dei loro elettori e della base dei loro partiti) e nella mancanza della granitica certezza che il comunismo è il futuro dell’umanità; un’altra ancora è la debole analisi di classe (la centralità della classe operaia) che il gruppo dirigente di PaP fa della situazione politica attuale, a causa della quale non riesce a valorizzare pienamente neppure l’adesione a PaP del gruppo dirigente di un importante sindacato di base come USB.
Emerge la volontà di “diventare soggetto più strutturato”, ma questa volontà si scontra con l’eredità delle concezioni anti-partito tanto della componente della Rete dei Comunisti, quanto della componente ex OPG.
Da quanto detto fin qui emerge chiaramente un principio: l’unità “al minimo comune denominatore”, in politica è finta unità. Questo è l’insegnamento, estremamente prezioso, che deve trarre chi aspira realmente all’unità dei comunisti. E questo spiega, almeno parzialmente, il motivo per cui abbiamo seguito con interesse e spirito costruttivo PaP senza mai aderire. Ad ogni modo, ciò che è diventato PaP dopo la “scissione” del PRC è ancora tutto da scrivere e dipende dal ruolo che assumerà nel concreto nella lotta di classe in corso.

Che cosa può diventare PaP?
L’area ex OPG raccoglie una parte importante, non solo a Napoli, ma ormai a livello nazionale, di compagne e compagni generosi, che creativamente e con dedizione si fanno promotori di lotte e mobilitazioni per affermare gli interessi delle masse popolari. Questa spinta deve essere riversata nel sostegno dell’organizzazione e della mobilitazione della classe operaia, in particolare delle grandi aziende (dove ci sono gli operai che hanno votato in massa M5S e Lega, che sono iscritti alla CGIL, alla CISL, alla UIL, alla UGL…).
L’area Rete dei Comunisti / Eurostop ha in passato avuto un importante ruolo nel portare al centro della mobilitazione la questione della UE, dell’Euro e della NATO: abbiamo condiviso con loro un pezzo di quel percorso nel comitato NO Debito che ha organizzato le uniche manifestazioni che, da sinistra, si ponevano contro le autorità politiche ed economiche della UE e contro il governo Monti (e abbiamo anche vivacemente dibattuto). Ebbene, oggi sono appiattiti a dare addosso al governo M5S-Lega e a perseguire strade senza sbocchi come la raccolta di firme per i referendum. E’ in particolare sulla loro esperienza, invece, che PaP può contare per assumere il ruolo di promotore della mobilitazione contro la UE e la NATO, contro la chiusura e delocalizzazione delle aziende, contro la svendita dell’apparato produttivo del paese e per le nazionalizzazioni.
La combinazione dei due aspetti risponde alle esigente di una ampia fetta delle masse popolari “di sinistra” e contende il terreno ai partiti delle Larghe Intese che invece, se PaP si limita a “essere contro il governo fascio-grillino”, inglobano e deteriorano ogni protesta.

Quanto fin qui detto per i compagni e le compagne di PaP vale in egual misura per quelli che sono rimasti nel PRC. Essi si distinguono dai primi per un attaccamento al loro partito che solo la sinistra borghese può denigrare e sminuire. Per loro, la via che i dirigenti del loro partito stanno intraprendendo (alleanza elettorale con De Magistris e Sinistra Italiana) ripropone due questioni tutt’altro che marginali: come usare le alleanze elettorali e le elezioni per rafforzare il movimento delle masse e in particolare degli operai, per quale via perseguire l’unità della base delle forze di sinistra a cui hanno dimostrato e dimostrano di tenere, al di là della lotta e della “concorrenza” fra gruppi dirigenti.
Agli uni (PaP) e agli altri (PRC) diciamo che è compito dei comunisti unire quello che la classe dominante, e l’elettoralismo come riflesso della concezione della classe dominante nelle file della sinistra, divide.
La situazione politica è caratterizzata dalla breccia che le masse popolari hanno aperto con il voto del 4 marzo nel sistema politico della borghesia. Ognuno ha la responsabilità, il compito e il dovere di approfittarne per rafforzare la rinascita del movimento comunista. Questa è la strada su cui marciare divisi, magari, ma colpire uniti.

Riprendiamo la strada del dibattito, del confronto, della discussione politica!
Ai compagni che cercano la strada per fare la rivoluzione socialista, ai compagni che si interrogano su come avanzare verso l’unità dei comunisti, a quelli che vogliono capire come inserire ciò che già fanno praticamente nel processo storico della rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato diciamo “confrontiamoci”.
101 anni fa la Rivoluzione d’Ottobre ha aperto la strada alla prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e da allora il mondo non è stato più lo stesso: essa ha aperto una porta sul futuro possibile che l’umanità può conquistare, essa ha dimostrato che il mondo si può rovesciare e che la divisione in classi può essere superata, essa ha sedimentato un patrimonio di leggi, principi, criteri, esperienze ed esempi che possiamo e dobbiamo raccogliere. Fra mille manifestazioni del vecchio che sta morendo e del nuovo che non è ancora nato, in mezzo alla diversione, all’intossicazione e alla disinformazione di cui si fa promotrice la borghesia imperialista per spargere rassegnazione e fatalismo, riprendiamo e usiamo i principali insegnamenti che il (nuovo)PCI ha individuato per i comunisti dei paesi imperialisti oggi:
“Tanti sono gli insegnamenti importanti della vittoria dell’Ottobre 1917, della costruzione del socialismo in URSS e della prima ondata della rivoluzione proletaria che questi eventi sollevarono nel mondo. Tanti sono anche gli insegnamenti importanti che noi comunisti possiamo e dobbiamo ricavare dall’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria nella seconda parte del secolo scorso, dopo che nel 1956 i revisionisti moderni presero il sopravvento nel Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS).
Tra quegli insegnamenti i più importanti oggi per i comunisti di un paese imperialista sono due.
1. La rivoluzione socialista ha la forma di una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata promossa dal Partito comunista. Questi nel corso della guerra fa leva sulle lotte spontanee della classe operaia e delle altre classi sfruttate e oppresse dalla borghesia e passo dopo passo le sviluppa, fa avanzare la rivoluzione socialista fino alla vittoria. Il Partito mobilita le classi sfruttate e oppresse, le organizza e le dirige fino a instaurare il socialismo (dittatura del proletariato, gestione pubblica e pianificata dell’attività economica, partecipazione della classe operaia e delle altre classi oggi sfruttate e oppresse alla gestione della vita sociale). La rivoluzione socialista non è l’effetto della propaganda compiuta dal Partito. La propaganda del comunismo è indispensabile per elevare la coscienza degli elementi più avanzati e reclutarli. Ma il Partito fa avanzare le masse popolari facendo leva sul senso comune in cui la loro condizione di oppressione le relega. La rivoluzione socialista non è un evento che scoppia perché le condizioni delle masse popolari peggiorano e la loro insofferenza e il loro malcontento crescono. Non è una rivolta delle masse popolari nel corso della quale il Partito comunista prende nelle sue mani il governo del paese. La rivoluzione socialista non è un evento spontaneo. Tanto meno è una “rivoluzione mondiale” che scoppia contemporaneamente in tutto il mondo a causa del catastrofico corso delle cose che la borghesia impone all’umanità. La combattività delle masse popolari non è una condizione preliminare alla rivoluzione socialista. La combattività delle masse popolari cresce man mano che per propria esperienza esse verificano che il Partito comunista sa dirigerle nella lotta contro l’oppressione e lo sfruttamento. Se il Partito comunista persiste a lungo a dirigere in modo sbagliato, passo dopo passo anche la combattività delle masse popolari si esaurisce e il Partito comunista perde l’egemonia che aveva conquistato, si disgrega o cambia natura: è quello che abbiamo constatato in Italia e nel mondo.

2. Il Partito comunista è capace di dare una giusta direzione alla classe operaia e alle altre classi delle masse popolari solo se ha assimilato il marxismo (il materialismo dialettico applicato come metodo per conoscere la società borghese e per trasformarla), lo applica nelle condizioni concrete del proprio paese e del suo contesto internazionale e lo sviluppa. La caratteristica più importante del Partito comunista, la base principale della sua unità e il fattore principale che rende  vittoriosa la sua attività, che gli consente di unirsi strettamente alle masse popolari e dirigerle, è la concezione comunista del mondo, la scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia. È la scienza fondata da Marx ed Engels e sviluppata dai maggiori dirigenti del movimento comunista. Essi l’hanno anche verificata nella pratica della prima ondata della rivoluzione proletaria, nella prima parte del secolo scorso. Il Partito comunista non è solo l’eroica organizzazione di lotta, l’organizzazione degli operai d’avanguardia nel promuovere le lotte rivendicative della loro classe e delle altre classi delle masse popolari: esso è principalmente lo Stato Maggiore che promuove e dirige la guerra popolare rivoluzionaria che mira ad instaurare la dittatura del proletariato nel proprio paese e che collabora con i partiti comunisti che promuovono la rivoluzione socialista o la rivoluzione di nuova democrazia negli altri paesi.

Queste due tesi sono esposte in maggiore dettaglio nell’opuscolo I quattro temi principali da discutere nel movimento comunista internazionale e nel nostro Manifesto Programma. Noi non pretendiamo di convincere qui, con poche parole, i compagni che non sono ancora arrivati a capire queste due tesi elaborando con gli strumenti della scienza l’esperienza loro e della lotta di classe che in Europa si combatte da due secoli. Diciamo solo che chi perseguirà con costanza e senza riserve intellettuali e morali la rinascita del movimento comunista, dovrà arrivare a queste conclusioni a cui siamo arrivati noi. Allora collaboreremo nell’applicarle” (Comunicato CC 12/2017 – 27 settembre 2017).

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