Il mercato è la prima scuola dove la Borghesia impara il nazionalismo… la lotta nazionalista può anche assumere una parvenza “popolare” ma resta sempre e solo un vantaggio per la borghesia (Opere di Stalin, Vol. 2, p.327).
Le questioni legate a sovranità nazionale e nazionalità sono state oggetto di studio e dibattito sin dal primo momento della costituzione del Partito Comunista bolscevico di Russia, perchè da sempre sull’esteso territorio russo vivevano diversi popoli di diverse nazionalità.
In particolare il compagno Stalin ha trattato più volte nel corso della storia, prima da dirigente di partito e poi da dirigente dello stato socialista, del “nazionalismo” e delle nazionalità, ma soprattutto di come era necessario conciliare il principio di autodeterminazione dei popoli e la lotta di classe per il socialismo.
L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è stata del resto, nella storia, l’unica federazione di stati uniti su base volontaria e non sulla base dei risultati di una guerra di conquista; il riconoscimento dei diritti civili di ciascuna nazionalità dell’URSS è stato il principio alla base di una giurisdizione unica al mondo: tutti gli aventi diritto alla cittadinanza erano “cittadini sovietici”, ciascuno sul proprio documento d’identità aveva poi riconosciuta la “nazionalità di appartenenza” che in qualsiasi momento poteva essere cambiata, raggiunta la maggiore età. Questa norma era sintesi di un concetto molto semplice: nel socialismo ancora esistevano le diverse nazionalità, frutto delle precedenti società divise in classi, ma in prospettiva queste sarebbero andate via via scomparendo, come le classi, perché sempre di più al centro della collettività non ci sarebbero state tradizioni millenarie o specifiche territoriali bensì la lotta per il comunismo. Al contempo riconoscere, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza, la cittadinanza sovietica significava di colpo farla finita con le discriminazioni e le prevaricazioni storiche esercitate da una nazionalità su un’altra.
Stalin, già prima della Rivoluzione d’Ottobre, in diverse conferenze internazionali, in riunioni e congressi di Partito spiega che cosa è “la nazione”: “niente altro che una comunità di persone storicamente data”, accomunata da una lingua comune, da un territorio comune ove conduce una vita comune in una economia comune in un dato periodo storico (Opere di Stalin, Vol.2, p. 314 “Il marxismo e la questione nazionale”).
Stalin ci ricorda che bisogna affrontare, come sempre, la questione con scienza: il nazionalismo nasce perché risponde all’esigenza di affermazione del capitalismo come modo di produzione, al servizio della borghesia di quella data comunità che ha fatto leva sugli elementi comuni (lingua, territorio, tradizioni etc.) per unire attorno ai propri obiettivi le masse popolari e mobilitarle contro la borghesia di altre comunità. Nell’epoca di espansione del capitalismo, prima, e poi nella fase imperialista del capitalismo, sulla contraddizione di interessi fra gruppi borghesi si sono sviluppate guerre e sono nate le colonie, una nazione ha prevalso su un’altra. La nazione, quindi, non è solo una categoria storica, ma una categoria storica di una determinata epoca, quella del capitalismo ascendente (Opere di Stalin Vol. 2, p. 327 da “il movimento nazionale”).
Il Partito bolscevico sin dagli esordi ha chiarito la sua posizione circa la “questione nazionale” che agli inizi del secolo si agitava in Europa e che anche i socialdemocratici russi impugnavano come questioni di principio: la “nazione” ha un significato diverso per i borghesi o per i proletari, la borghesia la agita per usare la forza delle masse popolari a suo servizio e i proletari che cascano nei nazionalismi di sorta lo fanno nell’illusione di difendere così propri interessi. I proletari invece devono unirsi al di là della loro nazionalità, perché questa caratteristica, frutto di casualità storica, è del tutto secondaria rispetto alla condizione di classe. Non è un caso che il Partito Comunista bolscevico fosse “di Russia” e non “russo”, perché esso era il partito dei proletari di ogni nazionalità della Russia.
Stalin intervenne spesso nel dibattito e nella lotta ideologica contro le posizioni socialdemocratiche che predicavano, in nome dell’autodeterminazione dei popoli, la separazione delle nazionalità ciascuna in un proprio partito, ben spiegando che misure simili partivano da ragionamenti influenzati e condizionati dalla concezione borghese del mondo, che quelle misure non avrebbero certo portato a un rafforzamento del proletariato e che avrebbero anzi alimentato le arretratezze di alcune regioni del paese invece che sanificarle, che quelle misure non potevano che essere frutto di una confusione o mistificazione del marxismo. (Opere di Stalin, Vol. 1, p. 52-67 – “Come la socialdemocrazia considera la questione nazionale”). Ha dato battaglia anche nella lotta ideologica interna al Partito successivamente alla Rivoluzione d’Ottobre, negli anni di edificazione del socialismo, quando pur avendo riconosciuto i diritti civili a ciascuna nazionalità emergeva chiaramente come si fosse ancora distanti in diverse regioni del paese da una reale uguaglianza economica e culturale, da un lato e dall’altro il Partito si misurava con la tendenza tra i suoi stessi quadri ad avere pregiudizi verso le nazionalità storicamente sottomesse dai “grandi-russi” (con lo zarismo c’era stato un lungo processo di “russificazione” forzata ai fini della sottomissione delle altre regioni del territorio) considerando che nelle regioni periferiche erano pochi o assenti del tutto quadri autoctoni, così da rendere ancora ardua e lunga la lotta per una reale autodeterminazione di ciascuna nazionalità. Stalin mise in luce che nel Partito emergevano due linee opposte tra i Commissari di partito nelle regioni limitrofe, ma ugualmente dannose ai fini della costruzione del socialismo perché non ponevano al centro del loro pensare e agire la classe operaia e la sua lotta per il potere: da un lato c’erano alcuni quadri che sopravvalutavano le particolarità nazionali e rivendicavano al Partito “regole speciali” al fine di favorire le nazionalità storicamente sottomesse ai russi; dall’altro c’erano quadri che sottovalutavano completamente le particolarità nazionali trattandole con indifferenza o peggio con arroganza. Entrambe queste tendenze non facevano altro che alimentare una deviazione verso il nazionalismo (delle nazionalità storicamente subalterne, ma anche della nazionalità storicamente dominante).
Stalin analizzò scientificamente la situazione materiale che portava a non avanzare adeguatamente nella costruzione del socialismo nelle zone periferiche: arretratezza economica data da secoli di sfruttamento, proletariato poco numeroso, assenza di una seria attività editoriale di partito in lingua locale, debolezza del lavoro educativo del Partito tale da non avere quadri autoctoni, storiche tradizioni radical-nazionaliste di questi territori. Le misure adottate furono dunque il rafforzamento dei processi produttivi (tra cui il piano per l’elettrificazione del paese), la produzione di testi in lingua, l’avvio di scuole di Partito in loco.
Stalin ricorda che compito del partito è sostenere la lotta di autodeterminazione delle nazioni, ma che questo diritto di ciascuna nazionalità deve essere subordinato al diritto della classe operaia a consolidare il suo potere. Ad esempio l’invasione della Polonia si rese necessaria per sostenere il proletariato polacco e per difendere la stessa esistenza dell’URSS, il primo stato socialista della storia dell’umanità; successivamente il proletariato polacco ha scelto “da che parte stare”. La lotta per l’autodeterminazione, o come si diceva all’epoca “autodecisione”, non è principale in assoluto, ma è subordinata alla lotta di classe perché è quest’ultima che pone le basi materiali per il superamento della sopraffazione anche di una nazionalità su un’altra (Opere di Stalin Vol.5 “Aspetti della questione nazinale nell’edificazione del Partito e dello Stato”), come dimostra ampiamente la storia dell’edificazione dell’URSS almeno fino al ‘53.
Fabiola D’Aliesio
segretaria della Federazione Campania