Il P.CARC aderisce, partecipa e invita ad aderire e a partecipare tutto il movimento operaio e popolare per fare della manifestazione indetta da USB e PaP il primo passo di una mobilitazione generale per la ricostruzione e la rinascita del paese.
Il crollo del ponte Morandi a Genova del 14 agosto scorso è una dimostrazione del degrado a cui l’intera classe dirigente ha condannato il paese con le privatizzazioni. L’immediata reazione del governo è stata la promessa di una rapida ricostruzione e la nazionalizzazione di Autostrade, ma le lungaggini, i tentennamenti, le contraddizioni e i passi indietro sono anch’essi dimostrazione: del fatto che non bastano le buone intenzioni, il buon senso e i proclami per trasformare la realtà (siamo arrivati al punto in cui i dirigenti di Atlantia, che controlla Autostrade, non solo non sono in carcere, ma mettono sotto scacco il governo minacciando un’ampia offensiva legale in caso di estromissione dagli affari della ricostruzione); del fatto che le forze di governo sono tutt’altro che d’accordo sulle misure urgenti che servono (la Lega ha messo il veto sulla nazionalizzazione, in un primo momento schierando i Governatori di Regione, poi più apertamente con Giorgetti e Salvini), ma soprattutto del fatto che ogni misura “giusta” e “di buon senso” non può essere presa da alcun governo senza il sostegno e la mobilitazione delle masse popolari.
Sotto la punta dell’iceberg di Autostrade, questione portata alla ribalta da una tragedia che nemmeno il più faccia di bronzo dei politicanti ha avuto il coraggio di far passare come “fatalità” e che è costata 43 morti, centinaia di sfollati e la paralisi di uno snodo strategico per i trasporti del nostro paese (con annesse, ovviamente, le condizioni impossibili di vita per decine di migliaia di genovesi), è sempre più evidente il risultato delle privatizzazioni che in ogni settore hanno distrutto i servizi pubblici: divenuti merce, i servizi vengono erogati se e come e quando rendono profitti ai capitalisti, se non producono profitti vengono lasciati all’abbandono o soppressi. Succede nella sanità, nella scuola (con il continuo decadimento delle scuole pubbliche in favore delle private), nella mancata manutenzione delle strade, dei fiumi, dei boschi e delle montagne. Ed è chiaro anche nel destino di quelle che furono le grandi aziende pubbliche, diventate terreno di speculazione, spolpate, abbandonate e avviate al percorso senza ritorno della “morte lenta” (Alitalia, Telecom, ecc…).
Nazionalizzare è la soluzione tanto evidente, giusta e di buon senso che chi vi si oppone può soltanto negare l’evidenza e mentire: “la situazione economica e politica non lo permette”, “non ci sono i soldi”, “non vogliamo un altro carrozzone di clientelismo”.
Per quanto riguarda il contesto economico: le privatizzazioni che in Italia iniziarono negli anni ‘90 erano il tentativo di aprire una valvola di sfogo alla crisi generale del capitalismo rendendo campo di valorizzazione del capitale anche il settore pubblico; la necessità delle nazionalizzazioni è oggi evidente proprio anche a causa dei risultati di quella decisione, presentata all’epoca come “inevitabile per essere concorrenziali, per attirare investimenti”. In 20 anni di privatizzazioni è diventato inevitabile nazionalizzare come misura urgente per fermare il disastro economico e sociale in cui è sprofondato il paese. Questa misura la devono prendere coloro che si sono candidati a governare in nome del cambiamento, le nazionalizzazioni fanno parte del cambiamento che devono promuovere, a meno che abbiano intenzione di passare, tanto rapidamente quanto rapidamente hanno raccolto le aspettative di milioni di persone, nel campo dei rottamati al pari di chi le privatizzazioni le ha promosse.
Per quanto riguarda i soldi, si tratta di bloccare con decisione il gioco delle tre carte, per cui una montagna di miliardi di euro sparisce dagli investimenti nel settore pubblico e finisce nelle casse della UE, della NATO, nelle spese militari, nelle grandi opere inutili e dannose. Certo, poi scattano penali, sanzioni, rimborsi, indennizzi… ma un governo che esercita il suo ruolo a pieno titolo – cioè esercita la sovranità nazionale – per decreto può eliminare ciò che per decreto è stato imposto da altri governi prima di lui. E’ una questione di volontà politica che i governi delle Larghe Intese non avevano e che la mobilitazione delle masse popolari può invece imporre a questo governo, stante la crepa nel sistema politico aperta il 4 marzo.
Per quanto riguarda i carrozzoni clientelari, essi sono l’inevitabile conseguenza del controllo della classe dominante (qualunque sia la forma: uffici, agenzie, commissioni, ecc.) sulle aziende pubbliche: clientelismo, speculazioni, corruzione, lottizzazione, ecc. Nessuna forza politica e sindacale che è espressione della classe dominante è realmente interessata ad evitarlo e può seriamente evitarlo. Ma non è questa una ragione plausibile per non nazionalizzare, bisogna invece prevedere e mettere in campo le contromisure: sottoporre il funzionamento delle aziende pubbliche al controllo operaio e popolare. Sulla carta è più difficile che nella realtà, ci sono già esempi grandi e piccoli: il movimento NO TAV da 25 anni dimostra in grande che le organizzazioni operaie e popolari possono prendersi cura della “cosa pubblica” con maggior efficacia degli esperti nominati e pagati dagli speculatori; i lavoratori ALITALIA anche, come il movimento NO TAP, come la miriade di comitati che si battono contro la costruzione di inceneritori e discariche hanno elaborato piani alternativi – ed efficaci – per la raccolta e il trattamento dei rifiuti e le bonifiche; maestri e professori hanno elaborato più di una volta la riorganizzazione del sistema scolastico… L’unica cosa che blocca questo sviluppo è il principio che sta alla base delle privatizzazioni: produrre profitti, non servizi. L’unica cosa che può sbloccare questo sviluppo è mettere questo patrimonio di esperienza al servizio della salvaguardia, della rinascita e dello sviluppo del paese.
USB e Potere al Popolo hanno indetto la manifestazione del 20 ottobre e il movimento operaio e popolare del paese ha il compito di farla riuscire e di dare le gambe al processo che essa può aprire.
E’ una manifestazione che riguarda direttamente i lavoratori delle aziende che furono privatizzate e che devono essere nazionalizzate sia per salvaguardare i posti di lavoro che per garantire servizi essenziali: ALITALIA, Telecom, ecc.; gli operai delle aziende strategiche il cui destino non può essere lasciato in mano alla speculazione: ILVA, ex Lucchini, FCA, Bekaert, IVECO, ecc.; i lavoratori della scuola, dell’università, della sanità e dei servizi ambientali e gli studenti, gli utenti, i cittadini tutti.
E’ una manifestazione che deve incoraggiare e sostenere la costruzione in ogni azienda pubblica e privata, in ogni scuola, in ogni quartiere organizzazioni operaie e popolari e favorire il loro coordinamento e la loro iniziativa. Questa è la garanzia della continuità di cui c’è bisogno.
Gli obiettivi immediati e gli obiettivi di prospettiva
Dobbiamo promuovere una mobilitazione ampia, estesa, continuativa affinché il governo M5S – Lega mantenga le promesse che ha fatto. Senza farsi scoraggiare dalla consapevolezza che non le manterrà, ma consapevoli che se farà dei passi per mantenerle dovrà necessariamente poggiare la sua azione sulla mobilitazione delle masse popolari organizzate e quindi favorirla. Questo è l’aspetto decisivo. Nel perseguire gli obiettivi immediati, il rispetto delle promesse del M5S – Lega, dobbiamo favorire le condizioni per gli obiettivi di prospettiva: la costituzione di un governo di emergenza delle masse popolari organizzate. Un governo imposto con la mobilitazione popolare, composto da quegli elementi della società civile, del movimento sindacale, delle amministrazioni locali e della sinistra borghese che godono di ampio seguito e della fiducia delle masse popolari e che opera perseguendo l’attuazione di sei misure:
- Assegnare a ogni azienda compiti produttivi (di beni o servizi) utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale (nessuna azienda deve essere chiusa).
- Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
- Assegnare ad ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società (nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato).
- Eliminare attività e produzioni inutili o dannose per l’uomo o per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti.
- Avviare la riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
- Stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione o scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
Tutte le iniziative che servono oggi ad allargare la breccia aperta nel sistema politico, a imporre al governo M5S – Lega il rispetto delle promesse delle parti progressiste del contratto di governo e a sbarrare la strada alle parti più reazionarie si possono, quindi si devono, tradurre nella mobilitazione per costituire il Governo di Blocco Popolare. E’ il governo di cui gli operai e le masse popolari hanno bisogno, è la strada pratica per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato nel nostro paese.