Deformare il marxismo fino a farne una sua caricatura è l’opera di tanti “intellettuali” borghesi, deformarlo fino a farlo diventare un culto è l’opera di tanti dogmatici, incapaci di usarlo per comprendere la realtà perché troppo impegnati a comprimere la realtà nell’idea di marxismo che campeggia nella loro testa. Trattiamo qui di un “classico” esempio che accomuna le due deformazioni.
1. E’ tesi corrente della sinistra borghese che la classe operaia non esiste più. I fautori di questa tesi sono incapaci di comprendere un pilastro del marxismo e di usarlo per leggere la situazione attuale. “Gli opifici non ci sono più, le grandi fabbriche non ci sono più, quindi gli operai non esistono più”. In verità, riprendiamo Marx, gli operai sono tutti coloro i quali per vivere sono costretti a vendere la propria forza lavoro a un capitalista, il quale dal lavoro degli operai estorce il plusvalore. Quindi, usiamo il marxismo per leggere la situazione attuale, sono operai i metalmeccanici, i facchini, le commesse del supermercato, gli infermieri di una clinica privata, ecc. ecc. tutti coloro la cui forza lavoro è acquista in ragione del fatto che chi la compra estorce plusvalore, sia esso un singolo individuoa, una SPA, una banca, una holding, un fondo di investimento, ecc. ecc.
2. “Gli operai che ci sono, sono frammentati e dispersi, in passato erano concentrati e coesi”. E’ certo che le aziende capitaliste di qualunque settore sono oggi molto diverse dalle fabbriche in cui fino ad alcune decine di anni fa erano concentrati decine di migliaia di operai. Ma è bene sfatare il mito della “frammentazione”: per tutta una lunga fase del capitalismo (prima dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, ad esempio) i padroni hanno trattato la classe operaia come una massa informe di individui assunti a chiamata, impiegati a cottimo, senza orario, senza contratto, senza salario minimo, mettendo ogni operaio contro tutti gli altri. Queste condizioni di estrema frammentazione non impedirono a Marx di comprendere che qualunque siano le condizioni materiali di vita e di lavoro e le idee che ogni operaio ha in merito, la classe operaia esiste come classe in sé i cui membri sono accomunati da una caratteristica che li distingue dal resto delle masse popolari: vendono la propria forza lavoro attraverso la quale la borghesia si arricchisce, essi producono tutta la ricchezza esistente nella società. Su queste basi, Marx aggiunse che la classe operaia doveva diventare classe per sé e individuò il partito comunista come strumento di questa emancipazione. Fu Lenin, nel 1902 (Che fare?) a riprendere la questione e a sintetizzare in modo definitivo che la coscienza rivoluzionaria della classe operaia non matura spontaneamente, è portata ad essa dall’esterno, dal partito comunista. Cioè agli operai non bastavano (e non bastano) la comune condizione di sfruttati, la comune militanza nelle lotte sindacali e rivendicative, la vita comune nei quartieri operai delle città per prendere coscienza del loro ruolo storico e della loro forza, è il partito comunista che porta la concezione comunista del mondo alla classe che, per il ruolo che ricopre nella società, può capirla e può impadronirsene qualunque sia il livello culturale e il livello di istruzione di partenza. Quindi:
3. chi si lamenta che gli operai sono succubi della cultura dominante dice una cosa ovvia, ma anziché riversarne la responsabilità sugli operai “che non capiscono”, dovrebbe invece interrogarsi su quale sia il contributo che egli dà affinché il movimento comunista riesca ad assumere il ruolo storico che gli compete.
4. Non può esistere rivoluzione socialista senza partito comunista che organizza, mobilita, eleva la coscienza e forma alla lotta politica rivoluzionaria la classe operaia. E’ attraverso la classe operaia che la rivoluzione socialista conquista “il cuore e la mente” delle larghe masse, poiché quando essa si mobilita assume in breve tempo la direzione della mobilitazione di tutte le masse popolari e diviene la più originale e fedele interprete delle loro aspirazioni e dei loro interessi. Non perché sia composta da una leva di individui speciali, ideali, superiori, ma perché è la classe attraverso il cui lavoro metodico e continuativo viene prodotta tutta la ricchezza della società, quella che oggi è, simbolicamente, nelle mani dell’1% della popolazione.