La sinistra borghese è il principale megafono della tesi che viviamo in un regime di “moderno fascismo”, una tesi sbagliata, che poggia su un’analisi completamente campata per aria, che impedisce una giusta comprensione dello scontro politico in atto nel paese (quindi impedisce di elaborare un linea giusta) e alimenta disfattismo e rassegnazione fra la classe operaia e le masse popolari. Per contrastare la propaganda disfattista trattiamo spesso l’argomento su Resistenza, lo riprendiamo su questo numero perché si presta bene a mostrare il legame fra il marxismo (in quanto metodo di analisi e di trasformazione della realtà) e gli strumenti che l’evoluzione della concezione comunista del mondo (marxismo-leninismo-maoismo) mette a disposizione dei comunisti dei tempi attuali, a patto che questi vogliano conoscerli, comprenderli e usarli per fare la rivoluzione socialista.
Partiamo dall’inizio. Il fascismo non è stato una dottrina politica, un’ideologia o una fede, ma una specifica forma di gestione e direzione dello stato borghese, un regime terroristico instaurato dalla parte più reazionaria della borghesia contro la classe operaia e le masse popolari. Ha un inizio preciso (1921) e una fine precisa (1945) e la sua “parabola” è strettamente legata a due fattori dai quali chi vuole capire il fenomeno non può e non deve separarla: a. la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (1900 – 1945); b. la mobilitazione rivoluzionaria della classe operaia e delle masse popolari, sorta spontaneamente in tutto il mondo come risposta alla crisi generale, alimentata dai partiti comunisti di tutto il mondo, rilanciata e rinvigorita dalla vittoria della Rivoluzione d’Ottobre la quale, per tutti gli operai di tutti i paesi del mondo, ha rappresentato la dimostrazione pratica che instaurare la dittatura del proletariato era possibile. Nello stesso periodo della Rivoluzione d’Ottobre, in tutti i paesi capitalisticamente avanzati erano presenti movimenti rivoluzionari di ampia portata che minacciavano il dominio della borghesia imperialista in ogni singolo paese e sul mondo. L’Italia era fra questi. Per particolari condizioni storiche (fra cui il fatto che il Vaticano, uno dei principali gruppi imperialisti del mondo, aveva e ha la base dei suoi traffici e dei suoi interessi a Roma e da ciò dipende la debolezza atavica della borghesia italiana) dopo la prima guerra mondiale la borghesia italiana si trovò in grave difficoltà sia sul piano internazionale (sconfitta bellica) e che interno: per stroncare la mobilitazione rivoluzionaria degli operai e delle masse popolari, passata alla storia come Biennio Rosso, corse ai ripari con l’instaurazione del fascismo. Le ideologie, i riti, la retorica nazionalista, lo stato etico, le leggi razziali, sono manifestazioni esteriori e secondarie del fenomeno, la sua radice è piantata nella lotta di classe.
Ci sono alcune altre considerazioni da fare. Alla borghesia imperialista non sarebbe bastato il regime terroristico per sottomettere la classe operaia organizzata e mobilitata dal partito comunista. Il fascismo ha potuto affermarsi:
a. a causa dell’impreparazione del movimento comunista italiano che, prima, non riuscì a guidare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari fino all’instaurazione del socialismo (da notare che il PCI fu fondato solo nel 1921, tutto il periodo del Biennio Rosso fu diretto dal partito socialista, ciò chiarisce le difficoltà di farne un movimento capace di prendere il potere) e, poi, si trovò del tutto inerme di fronte alla repressione sistematica e alla persecuzione di cui fu oggetto (Gramsci morì in carcere, il PCI fu messo fuori legge senza essersi dato i mezzi per operare nella clandestinità e ciò comportò enormi difficoltà: il centro del Partito fu smantellato più e più volte);
b. in ragione del fatto che ha assunto una retorica e un contenuto “rivoluzionari” al modo della borghesia: “proprio perché le masse popolari facessero fronte alla crisi restando sotto la direzione della borghesia, la parte più criminale e decisa della classe dominante le mobilitava per creare un nuovo ordine sociale basato sul dominio riaffermato della borghesia e sull’asservimento del proletariato; su una disciplina imposta a tutta la società, combinata non solo con un’imponente opera di riarmo che sfociava nella guerra, ma anche con imponenti realizzazioni di carattere materiale o sociale: infrastrutture, bonifiche, trasformazione agraria, colonie, industrie statali, edilizia, previdenza. Una sorta di “rivoluzione passiva” per la quale oggi non esistono le condizioni materiali (strutturali). Il fascismo e il nazismo furono espressioni politiche strettamente legate a un contesto di economia industriale e di espansione del capitalismo nell’agricoltura e nelle infrastrutture che oggi nei paesi imperialisti è completata. (…) Oggi è la stessa borghesia che sta smantellando quanto resta delle aziende pubbliche, dei sistemi di previdenza sociale, dell’edilizia popolare, ecc.” (da Resistenza n°10/2014 “Verso la terza guerra mondiale? No, verso il socialismo!”).
Arriviamo ai giorni nostri, ai tempi della seconda crisi generale del capitalismo. Lo scontro decisivo fra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria delle masse popolari non è avvenuto e anzi la guerra è in corso. Darla per persa quando invece occorre combattere, cos’altro è, se non disfattismo? La guerra è in corso, ma la borghesia imperialista fa di tutto per evitare uno scontro diretto. “Non ne ha bisogno perché la classe dominante controlla già tutto” dicono i promotori della tesi del “moderno fascismo”. E’ una sciocchezza (la classe dominante non riesce neppure a controllare l’esito delle elezioni, benché sia il suo terreno e abbia tutte le armi a sua disposizione – vedi articolo “La situazione politica, i nostri compiti e le prospettive” a pag. 1), che ci offre l’occasione di ragionare su quale sia realmente il regime politico dei paesi imperialisti.
Nei paesi capitalisticamente più avanzati, ad esempio gli USA, la borghesia ha elaborato fin dai tempi della prima crisi generale del capitalismo un sistema per impedire la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari ed evitare lo scontro diretto, esso è il regime di controrivoluzione preventiva. Dal 1945 è stato assunto in tutti i paesi imperialisti e perdura fino ad oggi, esso si basa su 5 pilastri: 1. un sistema di diversione e intossicazione delle coscienze mirato a mantenere le masse popolari in una condizione di arretratezza politica e culturale; 2. la soddisfazione delle richieste di miglioramento delle condizioni economiche e sociali delle masse, le concessioni economiche; 3. la partecipazione delle masse al teatrino della politica borghese in posizione subordinata alla borghesia e al seguito dei suoi esponenti; 4. impedire l’organizzazione autonoma delle masse popolari, infeudandola nelle organizzazioni (sindacati) di regime dirette da esponenti di fiducia della borghesia; 5. la repressione il più possibile selettiva dei comunisti.
La seconda crisi generale del capitalismo fa vacillare i 5 pilastri, in particolare il secondo, il terzo e il quarto si stanno rapidamente sgretolando (non siamo più nella fase del capitalismo dal volto umano). La borghesia ha mille riserve ad abbandonare il regime di controrivoluzione preventiva, ma sarà obbligata a farlo e lo farà tanto più rapidamente e convintamente quanto più crescerà la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.
Ecco che, torniamo all’inizio del discorso, il marxismo-leninismo-maoismo consente di attingere e usare integralmente il patrimonio della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale per compiere oggi quell’opera che, proprio per limiti ideologici, non è riuscita al vecchio movimento comunista: instaurare il socialismo in uno o più paesi imperialisti. Chi promuove la tesi del moderno fascismo si pone in antitesi con la concezione comunista del mondo. Chi rifiuta di assumerla integralmente condanna lui stesso e la classe operaia all’impotenza e alla sconfitta.