Paese Basco: un esercito che impara dalle sconfitte è destinato a vincere

Tra la metà di aprile e i primi di maggio di quest’anno dirigenti e militanti di ETA (Euskadi Ta Askatasuna – Paese Basco e Libertà) hanno dichiarato dissolta l’organizzazione e concluso il percorso di lotta per fare del Paese Basco (attualmente circa 2.5 milioni di persone in Spagna e circa mezzo milione in Francia, su un territorio di circa 20 mila kmq) un paese indipendente e socialista, la lotta che ETA aveva iniziato nel 1958 raccogliendo l’eredità della secolare resistenza dei Baschi all’assimilazione imposta dagli Stati spagnolo e francese.

In Italia e in altri paesi imperialisti numerosi esponenti e gruppi della sinistra borghese hanno approfittato della dichiarazione di dissoluzione per fare professione e prediche di disfattismo, liquidatorismo e attendismo: il mondo va male ma instaurare il socialismo è idea d’altri tempi e comunque impossibile, al massimo qualcosa del lontano e vago futuro; vediamo cosa succede e intanto cerchiamo di campare meglio possibile, aggiustiamo quello che si può. A queste parole e a questo spirito da persone ottuse, depresse e dall’attitudine servile e rassegnata, per lo più personalmente messi bene o almeno benino, è inutile opporre parole. Bisogna contrastare con l’azione la loro influenza e non fidarsi delle loro tesi neanche nei campi in cui la borghesia li avalla come esperti: una persona ottusa vede poco e male anche quando cerca di vedere!

In realtà la dichiarazione di scioglimento dell’organizzazione diffusa da ETA tra aprile e maggio è la conclusione di una via che ETA ha imboccato nel 2009 e proseguito con la cessazione degli attentati, con la consegna delle armi e infine con la dissoluzione dell’organizzazione.

Dissolta l’organizzazione, restano però molti procedimenti penali in corso in Spagna e in Francia, più di 600 prigionieri (tenuto conto della popolazione, equivalgono a 12 mila in Italia) in circa 70 carceri spagnole e francesi e un vasto numero di ricercati, clandestini o in esilio: alla discussione della dissoluzione hanno a vari livelli partecipato circa 3 mila persone e infine dei 1.335 (tra attivi, prigionieri ed esuli) riconosciuti come aventi diritto al voto, hanno votato in 1.077 di cui 997 a favore. Più importante ancora, resta irrisolta anzi aggravata la questione dell’oppressione di classe e della distruzione dell’ambiente e irrisolta la questione dell’autodeterminazione nazionale: questione questa che nel Paese Basco (il paese di Guernica) si pone ancora oggi in modo più grave di quanto si pone in Catalogna, in Corsica e in una certa misura in Bretagna. Questa questione oramai si combina con l’insofferenza crescente in tutti i paesi europei per l’abolizione della sovranità nazionale e della democrazia borghese stessa, per sottomettersi alle istituzioni politiche dell’oligarchia finanziaria: Unione Europea, Banca Centrale Europea e NATO. Quanto all’oppressione di classe e al marasma sociale e ambientale, essi sono nel Paese Basco quelli che ben conosciamo anche noi in Italia.

È falsa la voce diffusa da organi della borghesia imperialista e da loro pappagalli della sinistra borghese che dissolvendo l’organizzazione i membri di ETA chiedono scusa a

 

tutte le vittime degli attentati: anche ai torturatori di Stato colpiti da ETA e ai tiranni tipo Carrero Blanco, il successore designato di Franco, che ETA ha fatto saltato in aria nel 1973. Il 19 maggio scorso nel grande stadio di Miribilla (Bilbao), nell’assemblea di più di 4 mila persone tenuta da Sortu, l’organizzazione legale della sinistra basca che nel febbraio 2013 ha preso il posto di Batasuna messa fuori legge dal governo spagnolo nel 2003, i presenti hanno reso pubblico omaggio ai caduti e ai prigionieri di ETA e indicato al pubblico disprezzo i torturatori e gli oppressori, anche quelli che ETA ha colpito con gli attentati compiuti a partire dagli anni ’60 fino al 2009.

Per il movimento comunista (inteso come movimento di emancipazione delle classi oppresse che pone fine alla divisione dell’umanità in classi sociali) dei paesi europei e in generale dei paesi imperialisti, la dissoluzione di ETA è il punto d’arrivo (forse definitivo) di una storia particolare all’interno della sua storia generale. Una storia generale marcata dalla difficoltà incontrata dai comunisti dei paesi dove la società borghese è di più lunga data a liberarsi dalle spire della società borghese: fiducia nella democrazia borghese, economicismo (riduzione della lotta delle classi oppresse alla lotta rivendicativa), militarismo (sopravvalutazione del ruolo delle armi). Una questione a cui la Carovana del (n)PCI, e il P.CARC con essa, ha dato una risposta fondata su scienza ed esperienza: ad essa ovviamente manca ancora e siamo con tutte le nostre forze impegnati a dare (e dobbiamo dare) la sanzione definitiva della vittoria pratica con l’instaurazione del socialismo. Una questione alla quale dovranno dare risposta tutti quelli che vogliono farla finita con il corso catastrofico delle cose imposto all’umanità dalla borghesia imperialista: mobilitare e guidare l’umanità a compiere la svolta epocale che è oramai non solo possibile ma indispensabile per la sopravvivenza.

 

In cosa consiste la particolarità della storia di ETA?

ETA si è costituita ed ha iniziato la lotta quando la prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria sollevata dalla vittoria nel 1917 del Partito di Lenin e di Stalin era al suo culmine. Kruscev e i revisionisti moderni avevano solo da poco imposto con il XX Congresso del PCUS, nel 1956, la svolta decisiva verso l’esaurimento dell’ondata. La lotta iniziata da ETA si innestava nella lotta del movimento comunista di tutti i popoli della Spagna contro il regime fascista che la Chiesa Cattolica e le forze armate capeggiate da Francisco Franco e in vari modi sostenute da tutte le potenze imperialiste, nazifasciste e democratiche (Francia, Gran Bretagna e USA in testa) che fossero, avevano imposto contro il Fronte Popolare. Questo aveva preso la testa del governo della Repubblica Spagnola con le elezioni generali del 1936. La guerra civile scatenata dalla Chiesa e dai generali golpisti si era conclusa nel 1939 con la sconfitta del movimento comunista. Ai lettori che vogliono conoscere più a fondo le vicende del Fronte Popolare spagnolo e i motivi della sua tutt’altro che inevitabile sconfitta, consigliamo la lettura dell’opuscolo del PCE (r) La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista, disponibile nella traduzione italiana delle Edizioni Rapporti Sociali (1997). Nel 1945 in Europa la lotta contro il nazifascismo si era conclusa con la vittoria del movimento comunista capeggiato dall’Unione Sovietica di Stalin, ma questa vittoria non era bastata a rilanciare la controffensiva del movimento comunista in Spagna, a conferma dei limiti del movimento comunista spagnolo per cui esso aveva perso la guerra nel 1939. ETA nasce nel Paese Basco nel contesto della mancata controffensiva del movimento comunista in Spagna e dell’impotenza rivoluzionaria dimostrata dal movimento comunista in Francia e in Italia negli anni successivi al 1945.

ETA è stata in Europa l’organizzazione più eroica e determinata nel perseguire l’indipendenza nazionale e l’instaurazione del socialismo, ma non ha superato i sopra indicati limiti del movimento comunista europeo. Non a caso anche la dissoluzione di oggi, come la svolta del 2009, non è accompagnata da un bilancio generale e particolare della prima ondata della rivoluzione proletaria e da una proposta per la storia a venire. Ogni militante è invitato a ritornare come meglio crede in senso al popolo. Anche tra i 47 militanti che hanno votato contro la dissoluzione, non ci risulta finora che qualcuno abbia agito sulla base di un bilancio e di una proposta né generali né particolari.

Vale da parte nostra a bilancio della storia di ETA quello che il compagno Giuseppe Maj ha scritto molti anni fa nell’articolo La lotta per il diritto all’autodeterminazione nazionale nei paesi imperialisti pubblicato nel n. 34 (gennaio 2004) della rivista Rapporti Sociali: “I movimenti per l’autodeterminazione nazionale delle piccole nazioni sono di fronte ad un bivio. Una via è quella della direzione delle masse popolari in mano alla borghesia nazionale, al clero e ad altri notabili locali: questi a loro volte sono legati da mille interessi alla borghesia imperialista della nazione dominante o d’altri paesi. È la via che porta il movimento indipendentista a subire le manovre e gli intrighi dei gruppi e degli Stati imperialisti. L’altra via è quella della direzione della classe operaia che coinvolge il resto del proletariato e delle masse popolari ed obbliga anche la borghesia nazionale, il clero e i notabili locali a trascinarsi al seguito del movimento indipendentista per non perdere l’appoggio delle masse popolari da cui essi traggono la loro forza contrattuale di fronte alla borghesia imperialista. La direzione della classe operaia nel movimento per il diritto all’autodeterminazione implica anche una stretta relazione col movimento rivoluzionario delle masse popolari della nazione dominante. Nell’attuale situazione di debolezza del movimento comunista, essa implica anche l’aiuto dei movimenti indipendentisti allo sviluppo del movimento rivoluzionario delle masse popolari della nazione dominante: un compito che oggi quasi tutti i movimenti indipendentisti dell’Europa occidentale non svolgono ancora. In linea generale, lo sviluppo del movimento rivoluzionario delle masse popolari della nazione dominante è anche una condizione necessaria per la vittoria del movimento nazionale. In effetti, è difficile, sebbene non impossibile, che dei movimenti nazionali come quelli dei popoli basco, bretone, ecc., possano vincere contro gli Stati imperialisti francese, spagnolo, ecc. se questi non sono anche bersagli del movimento rivoluzionario delle masse popolari francesi, spagnole, ecc.”

Ma la storia del movimento comunista è appena incominciata (celebriamo quest’anno il bicentenario della nascita di Marx) e la sua rinascita, dall’esaurimento della prima ondata, è in corso. L’umanità ne ha bisogno e noi comunisti siamo all’opera.

Il compagno Ulisse, segretario generale del CC del (n)PCI

Il testo integrale dell’articolo “La lotta per il diritto all’autodeterminazione nazionale nei paesi imperialisti” di Giuseppe Maj è disponibile in:
http://www.nuovopci.it/scritti/RS/RS_34_01.2004/Supplemento/autodeterminazione_nazionale.html

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