L’emergenza nazionale: i morti sul lavoro

Fra le emergenze nazionali, disoccupazione, precarietà, sfratti, smantellamento del servizio sanitario, della scuola e dell’università, la sicurezza sui luoghi di lavoro è quella più urgente. Dal 1945 nessuna missione di guerra, nessuna calamità naturale, nessuna epidemia, né terrorismo ha provocato un numero così alto di vittime: 14mila morti in 10 anni e un numero non precisato di feriti e di invalidi, 299 morti dall’inizio dell’anno al momento in cui scriviamo.
Sono la corsa al profitto, il taglio ai costi, la progressiva eliminazione delle tutele, i ricatti e la violazione delle leggi esistenti le armi di questo fronte della guerra non dichiarata che i padroni conducono contro i lavoratori.
Misure urgenti e straordinarie per interrompere la scia di morti e feriti, gli operai non le possono “aspettare” dal governo e non possono delegarne la contrattazione a quei sindacati di regime che chiamano alle veglie funebri, ai funerali e alle preghiere anziché alla mobilitazione.

La CGIL, il principale sindacato del paese, per bocca della sua segretaria generale Camusso, fa sapere che gli incidenti e le morti sul lavoro sono causate dal basso numeri di ispettori. E’ il vecchio trucco di far sembrare il dito più importante della luna che indica…. Al massimo, il numero degli ispettori del lavoro è, come le leggi in materia, espressione di una supposta volontà politica, ma, proprio come le leggi che non vengono rispettate, è un palliativo.

La verità è che l’unico modo per far rispettare la legalità ai padroni sono l’organizzazione e la mobilitazione degli operai. L’organizzazione per promuovere conoscenza e formazione sull’argomento, in modo indipendente (su Resistenza abbiamo più volte trattato dell’attività di personaggi come Marco Spezia che offrono un servizio altamente specializzato anche gratuitamente, oltre che per professione) e per promuovere il controllo e la vigilanza nei reparti e nei cantieri (scavalcando procedure e consuetudini: è legittimo anche se non è legale); la mobilitazione per fare della sicurezza un problema di ordine pubblico (scioperi, picchetti, cortei, blocchi), cioè un problema politico.

Certo, una simile mobilitazione porta inevitabilmente a fare i conti con le contromisure e con la reazione dei padroni: richiami, contestazioni, licenziamenti. Ma questo, più che un ostacolo, è un monito a diventare capaci di dispiegare tutta la forza dei lavoratori, a costruire alleanze solide, a sviluppare (dare e chiedere) la solidarietà. E’, e sarà, una lotta “senza esclusione di colpi”, poiché la sicurezza nei luoghi di lavoro è inconciliabile con il profitto. E il profitto è il pilastro del modo di produzione capitalista. Ma anche questo non deve essere motivo di disfattismo e sfiducia e anzi si tratta di una verità che deve temprare i lavoratori avanzati e le avanguardie di lotta: nel capitalismo gli operai sono carne da macello per il profitto dei padroni, solo nel socialismo la salute e la sicurezza possono essere perseguite e garantite universalmente.

L’organizzazione e la mobilitazione degli operai per la vigilanza sui luoghi di lavoro, per il rispetto delle norme, per resistere ai ricatti e alle ritorsioni del padrone è la scuola pratica attraverso cui la classe operaia impara a gestire le aziende e a diventare classe dirigente della società.

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