Lettera del Direttore di Resistenza – Guardati dall’inquietudine che spezza il cuore…

Guardati dall’inquietudine che spezza il cuore, getta uno sguardo lungimirante sulle cose del mondo

La sinistra borghese si dimena furiosamente e ciecamente di fronte alla formazione del governo M5S – Lega. Il suo dimenarsi combina la presa di coscienza della marginalità a cui è confinata in un momento tanto importante per il paese con il manicheismo per cui “chi non è con me, è contro di me”. Quando dico “sinistra borghese” non intendo un particolare partito o movimento o organismo, intendo strutture e individui permeati dalla concezione propria della sinistra borghese di cui si fanno megafono, una situazione in cui si trovano accomunati, in gradi diversi, aree ed elementi del PRC, di Potere al Popolo (PaP), del PC Rizzo, del PCI di Alboresi, del Fronte Popolare, dei centri sociali e dei movimenti: concepiscono il loro ruolo sociale esclusivamente in opposizione a qualcuno o a qualcosa.

Dal 4 marzo, in crescendo, hanno iniziato a creare o a dare visibilità a tesi allarmistiche e disfattiste, toccando l’apice con la formazione del governo M5S – Lega: “il governo Conte è il più reazionario dal dopoguerra”, “siamo di fronte al trionfo del blocco reazionario”, “chi non si schiera contro è complice” fino alle fantasiose e strumentali “i CARC sostengono i 5 stelle, i 5 stelle sostengono la Lega, allora i CARC sostengono la Lega”, moderno adattamento del vecchio adagio: “mio nonno fischia, la locomotiva fischia, mio nonno è la locomotiva”. Di fronte alla marea montante delle facili quanto insensate “scomuniche”, alcuni nostri compagni si trovano in difficoltà: è per loro incomprensibile che persone con cui hanno condiviso mobilitazioni e iniziative possano arrivare a indicare il P.CARC come “complice dei nazifasciogrillini-leghisti” e insinuare, o propagandare (dipende dal grado di malafede o, se volete, idiozia) che siamo “ex comunisti” fautori del “tradimento della causa”. Ovviamente, quanto più è radicata anche in noi stessi l’adesione identitaria e dogmatica al movimento comunista, tanto più la canea della sinistra borghese apre contraddizioni. Ma, compagni e compagne, guardiamo in faccia la realtà!

Dal 2009 la Carovana del (nuovo)PCI attua la linea di costruire organizzazioni operaie e popolari e promuovere il loro coordinamento affinché assumano un ruolo dirigente, indipendente e antagonista rispetto alle autorità borghesi, nella mobilitazione delle ampie masse per imporre ai vertici della Repubblica Pontificia il Governo di Blocco Popolare come via per far avanzare la rivoluzione socialista. È una linea innovativa che non ha precedenti nella storia del movimento comunista, come innovativa e senza precedenti è la natura stessa della Carovana del (nuovo)PCI (due partiti fratelli, ma distinti, di cui quello dirigente, il (nuovo)PCI, opera nella clandestinità e l’altro, il P.CARC, opera anche nella lotta politica borghese). Nel 2009 la linea del Governo di Blocco Popolare appariva alla sinistra borghese e ai “duri e puri” una “trovata insensata” per i primi e una “deriva riformista” per i secondi, ma oggi abbiamo sotto gli occhi la solidità dell’analisi da cui è scaturita, il realismo della prospettiva, la necessità del suo sviluppo e la possibilità di raggiungere l’obiettivo (vedi l’artiolo “Organizzarsi e mobilitarsi…” a pag. 1). Ci sono molte altre dimostrazioni di quanto e come l’analisi della Carovana del (nuovo)PCI, basata sul materialismo dialettico, si sia rivelata giusta e lungimirante anche se formulata in contesti e in periodi in cui il commento che andava per la maggiore era “siete fuori di testa”. Ad esempio nel 1990 nessuno parlava di crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e nemmeno di “crisi del capitalismo” in modo generico, ma la rivista Rapporti Sociali aveva già anticipato i tratti salienti della situazione che è diventata drammatica e innegabile quando, nel 2008, la crisi è entrata nella fase acuta e terminale. Abbiamo contrastato e contrastiamo la tesi che “viviamo in regime di moderno fascismo”, tanto cara a chi pratica lo sport di dipingere la realtà più nera di quella che è, e contrastiamo la tesi per cui “il governo Conte è il più reazionario e fascista dal dopoguerra”. Cito, giusto a titolo di esempio, il governo Berlusconi IV (maggio 2008 – novembre 2011) che sulla carta (perché nella sostanza è stato persino superato dal “democratico” governo Renzi) era davvero composto dagli elementi della destra più reazionaria: Maroni agli Interni, La Russa alla Difesa, Castelli alla Giustizia, Tremonti all’Economia, Matteoli alle Infrastrutture, Meloni alla Gioventù, Brunetta alla Pubblica Amministrazione, Bossi alle Riforme, Calderoli alla Semplificazione, Giovanardi, Bertolaso e Brambilla Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio. Le cose sono due: o gli assertori della tesi del governo ultrareazionario sono nati ieri, oppure i loro discorsi sono il frutto di un radicato disfattismo, mescolato alla paura della lotta di classe e alla sfiducia verso la classe operaia e le masse popolari. Del resto, i promotori di questa tesi sono anche quelli che additano la responsabilità della situazione in cui versa il paese alle masse popolari. Pensare e affermare che “le masse popolari non capiscono niente, sono pecoroni stupidi” fa di chi lo pensa e lo afferma un burattino della concezione borghese del mondo, il cui motto è magistralmente riassunto dalla famosa frase di Taylor “gli operai sono pagati per lavorare, non per pensare” e che oggi è ripreso dalla borghesia di sinistra, adattato al nostro contesto: “è bene che gli operai pensino a lavorare che a decidere del governo del paese è meglio ci pensino quelli che lo sanno fare”. Ma “quelli che lo sanno fare” lo fanno in nome e per conto della classe dominante. Necessariamente la “voglia di occuparsi del paese, della società e della politica” comporta, per i lavoratori e le masse popolari, di fare i conti con inesperienza, fregature, errori, speranze mal riposte. La questione di fondo, però, non è l’ignoranza vera o presunta delle masse popolari, ma il quanto e il come chi vuole cambiare il mondo si pone come promotore della loro organizzazione, emancipazione e mobilitazione, non come il maestro frustrato di una disciplina decadente che predilige la forma delle cose alla loro sostanza.

Per quanto riguarda la gara a “chi è più comunista”, a “chi è l’unico vero comunista”, ecc. essa è una gara stupida, poiché trovare la strada per avanzare nella rivoluzione socialista non è una questione di concorrenza fra partiti e organismi, a chi fa la migliore pensata. Tuttavia non abbiamo da dimostrare ad alcun “incredibile oppositore” di oggi il servizio che abbiamo svolto e svolgiamo nella lotta contro le prove di fascismo e il razzismo, nelle mobilitazioni per la difesa dei diritti delle donne, degli immigrati, per la difesa delle conquiste di civiltà e benessere ottenute con le mobilitazioni dei decenni passati, la resistenza a più di 20 anni di persecuzioni giudiziarie che avevano come l’obiettivo di disgregare la Carovana del (nuovo)PCI, i picchetti, i blocchi, le occupazioni, le contestazioni… le decine e decine di procedimenti giudiziari, le montature poliziesche, le condanne, la mobilitazione per resistere alla repressione e per promuovere la solidarietà di classe non le sfoggiamo “come distintivo”, ma esistono.

La questione, compagni e compagne, è che ciò che ha distinto il P.CARC nel tempo e lo distingue oggi è che noi non siamo solo questo, è il legame stretto e indissolubile con il (nuovo)PCI con il quale costituiamo la Carovana.

Dobbiamo averlo chiaro noi, dobbiamo imparare a spiegarlo e, soprattutto, dobbiamo farlo valere e vivere nella pratica. Siamo oggi in una fase nuova, dettata anche dal precipitare della crisi politica e istituzionale, del percorso di trasformazione da forza soggettiva della rivoluzione socialista a partito del Governo di Blocco Popolare, è il passaggio dall’essere contro all’imparare ad essere per, dalla denuncia del cattivo presente alla costruzione del futuro.

Per tutta una fase della nostra esistenza abbiamo combattuto contro la criminalizzazione del comunismo e dei comunisti, abbiamo difeso e ci siamo conquistati l’agibilità politica; oggi, forti dei successi ottenuti, promuoviamo la mobilitazione affinché gli operai si riprendano le aziende ed escano dalle aziende per prendersi la società intera, conduciamo un intervento ordinario e continuativo in decine e decine di aziende capitaliste, aziende pubbliche e scuole,  ci siamo dotati degli strumenti per conoscere, parlare, discutere, formare e organizzare gli operai alla lotta politica rivoluzionaria. Abbiamo istituito un Centro di Formazione che ha organizzato corsi rivolti a diverse centinaia di compagni e di compagne ed elementi delle masse popolari, abbiamo costruito organismi di massa in tutto il paese, partecipiamo a quelli che sorgono spontaneamente, siamo dentro “fino al collo” al movimento popolare, al cuore pulsante del movimento di resistenza al procedere della crisi. Stiamo imparando a prendere iniziative e condurre operazioni “nel campo nemico”, nelle istituzioni borghesi e negli enti locali, ragioniamo di governo del paese e di rivoluzione socialista, consapevoli che non scoppia per un accidente inaspettato, ma che la costruiamo passo dopo passo, con dedizione, scienza e metodo.

La causa principale dell’inquietudine che alcuni compagni e alcune compagne vivono in questa fase è la contraddizione fra il nostro vecchio e il nostro nuovo, fra quello che eravamo (e che non abbiamo alcuna intenzione né motivo per rinnegare o sminuire o rimuovere o per cui prendere le distanze) e quello che saremo, ma non siamo ancora compiutamente.

Pertanto, compagni e compagne, lasciamo perdere chi tenta di trascinarci in beghe da cortile perché non ha (ancora) la comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe per come si sviluppa – qui e ora – e proseguiamo con forza, scienza e vitalità a coltivare il terreno della mobilitazione operaia e popolare e la rinascita del movimento comunista. Parliamo, discutiamo, litighiamo anche, raccogliamo osservazioni e critiche e usiamole per imparare a fare meglio, lasciamo del tutto indietro l’ambizione di essere riconosciuti da qualcun altro per quello che abbiamo fatto e facciamo. Anzi, trattiamo con trasparenza sia quello che abbiamo imparato, sia quello che dobbiamo imparare e le difficoltà che incontriamo. Ma soprattutto, lottiamo per impadronirci della concezione comunista del mondo e impariamo a usarla: questo significa gettare uno sguardo lungimirante sulle cose del mondo e imparare a cambiarlo, il mondo. I passi che oggi facciamo noi, come collettivo e quelli che fa ognuno di noi individualmente, aprono la strada ai passi che faranno altri. E li faranno non perché li abbiamo convinti di qualcosa, ma perché saranno spinti dagli effetti della crisi a trovare soluzioni adeguate ai problemi che incontrano loro come individui e la società intera nel suo sviluppo.

Pablo Bonuccelli

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