Rompere l’imbroglio della delega: i lavoratori devono imparare a far valere la loro forza

La borghesia usa un sofisticato sistema di controrivoluzione preventiva per imbrigliare gli operai, i lavoratori e le masse popolari in mille vincoli, obblighi, speranze, aspettative e diversione che hanno l’obiettivo di distoglierli dalla lotta di classe, dall’autorganizzazione, dal fare quel passo per cui dal campo delle opinioni essi scendano nel campo delle azioni e della mobilitazione secondo un’analisi realistica della realtà, libera dall’intossicazione dell’opinione pubblica, dalla sfiducia in sé stessi, dal pessimismo che in ogni modo e con ogni mezzo la classe dominante alimenta.
Un pilastro di questo sistema è svolto dai sindacati di regime e un esempio magistrale di come funziona è descritto da un articolo pubblicato il 7 gennaio su il Manifesto: i sindacati confederali chiedono “al governo che verrà” misure per arginare la crescente disoccupazione che colpisce in particolare giovani e donne, la riforma del fisco, una modifica al sistema pensionistico. Il tutto senza fare mai accenno alla mobilitazione e allo sciopero, con la stessa deferenza con cui un bimbo scrive la letterina a Babbo Natale sperando che esista e lo accontenti.

Un altro pilastro di questo sistema è svolto dai partiti borghesi, in particolare quelli che si pongono come referenti per gli operai e i lavoratori: oltre alle promesse più o meno belle e più o meno realistiche (che rimarranno comunque inattuate), in tempo di elezioni scatta la corsa a candidare operai e lavoratori come garanzia e dimostrazione di impegno a “portare i loro interessi in Parlamento”.

Che la delega in campo sindacale, cioè quello che attiene le lotte rivendicative, sia una gabbia sta diventando via via sempre più chiaro agli operai e ai lavoratori più attivi e di questo ne sono dimostrazione due movimenti: lo sviluppo dei sindacati di base e combattivi e le spinte alla costruzione di coordinamenti di lavoratori al di là delle tessere sindacali.

Che la delega in campo politico sia anch’essa una gabbia è ben evidente dalle esperienze passate, ma la tentazione di portare la voce degli operai e dei lavoratori in Parlamento è sempre forte, anche in una fase come questa in cui cresce l’astensionismo. Esperienze emblematiche e negative in questo senso esistono “da sempre” nel nostro paese, ci limitiamo qui a citarne due. Antonio Boccuzzi, sopravvissuto alla strage della Thyssen Krupp di Torino, fu eletto perché il PD gli offrì un posto in lista, proprio come atto di solidarietà alla classe operaia. Nemmeno a dirlo, Boccuzzi si è distinto nel suo primo mandato parlamentare (dal 2008 anche membro della Commissione Lavoro del Senato) per aver assecondato tutte le sciagurate manovre del suo Partito, tanto da essere nuovamente candidato e nuovamente eletto alle elezioni del 2013. Altro che “la voce degli operai in Parlamento”!

Meno sottomesso, ma egualmente inutile, il ruolo di Giovanni Barozzino, operaio nell’allora FIAT di Melfi, licenziato con altri due operai accusati di aver sabotato la produzione durante uno sciopero: fu Vendola a offrirgli un posto da candidato, sempre come atto di solidarietà, nelle liste di SEL. Barozzino fu eletto nel 2013, ma non c’è traccia del fatto che la sua elezione sia stata in qualche modo utile agli operai e alle masse popolari. Oggi ci risiamo, ovvio. Tanti operai sono candidati in liste che vanno dal PD all’“estrema sinistra”, passando per il M5S.
Sia chiaro, non diamo alcun giudizio negativo rispetto al fatto che gli operai si candidino e che si candidino in liste diverse e concorrenti. Occorre però riflettere sugli obiettivi di queste candidature: come usano la campagna elettorale e l’eventuale elezione in Parlamento negli interessi di tutta la classe operaia?

Prendiamo un esempio, quello della FCA di Pomigliano. Molti operai sono candidati in liste diverse. Tocca a loro decidere se mettersi in concorrenza, gli uni contro gli altri, facendo anche loro promesse che non stanno né in cielo né in terra, o se dedicarsi a fare praticamente alcuni dei passi che possono già fare oggi, sfruttando la campagna elettorale, passi che possono essere rafforzati e sviluppati nel caso fossero eletti. Quali passi? Ne prendiamo come esempio solo uno: favorire la costruzione del coordinamento degli operai FCA, usare lo spazio che hanno in campagna elettorale per promuovere iniziative comuni (anche se sono di liste diverse!), per rivolgersi agli operai e promuovere la loro organizzazione e mobilitazione. Rompendo cioè il sistema delle delega in campo politico e rompendo la contrapposizione fra lotta politica e lotta sindacale.
E’ un ragionamento simile, quello che hanno fatto gli operai della GKN di Firenze, ad alcuni dei quali, i più attivi e rappresentativi, Potere al Popolo ha proposto la candidatura. Il programma è giusto, dicono. La questione di fondo non è avere un bel programma, ma cosa facciamo adesso per sviluppare la forza e il ruolo della classe operaia. Per questo hanno deciso di non candidarsi (anche se ciò, ovviamente, non significa prendere politicamente le distanze).

Le elezioni borghesi imbrigliano le masse popolari, le illudono che sia possibile partecipare alla direzione della società, ma questa è invece saldamente in mano agli “addetti ai lavori” che agiscono dietro le quinte del Parlamento, delle Commissioni, delle istituzioni: vedasi la decisione di inviare truppe italiane in Niger, presa a Parlamento sciolto, o il tirar dritto nella svendita di Alitalia. Ma più di ogni altri, gli operai hanno la possibilità e la necessità di contare sulle proprie forze per imprimere una direzione al movimento popolare e al sommovimento politico, hanno invece tutto da perdere nel non usare le proprie forze e cercare la benevolenza del nemico: non è questione di buona o cattiva fede, appellarsi al “prossimo governo” significa spingere all’impotenza la classe operaia.

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