Conquistare il potere o vincere le elezioni? L’esperienza insegna…

Era il 1996. La formazione del primo governo Prodi aveva acceso aspettative in una larga parte delle masse popolari. “La canzone popolare” di Ivano Fossati alimentava l’entusiasmo della vittoria contro Berlusconi e la speranza di vedere finalmente all’opera un governo di “sinistra” o “centro-sinistra”. Aspettative presto tradite: dalle disattese promesse sulla riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali all’approvazione del Pacchetto Treu (dal nome dell’allora Ministro del Lavoro) che aprì le porte al lavoro interinale e alla precarietà, il passo fu breve. Un’esperienza che confluì direttamente nel governo D’Alema che non esitò a trascinare attivamente l’Italia al carro della NATO nella guerra contro la Jugoslavia (allora formata dalla federazione di Serbia e Montenegro). Alla faccia della Costituzione…

Era il 2006, ancora aspettative mal riposte: il secondo governo Prodi. Questa volta nella squadra di governo c’erano ministri e sottosegretari del PRC e del PdCI e Bertinotti fu nominato Presidente della Camera dei Deputati. Composizione del governo e programma di sinistra (sulla carta), ma impossibilità di dare seguito alle promesse: dopo due anni di agonia il governo crolla, fra la conferma delle missioni militari in Libano e in Afghanistan e le pagliacciate pacifiste di Bertinotti, che attestava la sua “protesta” presenziando alla parata militare del 2 Giugno con la spilletta arcobaleno (mentre la base del suo partito era in piazza a protestare!).

Nel 2015 la costituzione del governo di Syriza in Grecia ha infiammato le speranze di quanti sognavano finalmente la riscossa delle masse popolari e una decisa rottura da sinistra con la Troika (UE, FMI e BCE), con la vittoria elettorale a coronare le eroiche e decise lotte del popolo greco contro l’austerità imposta dai governi che si erano alternati negli anni precedenti alla guida del paese. L’ampio sostegno popolare al rifiuto del piano dei creditori internazionali, attestatosi con l’affermazione del NO (61% dei voti) al referendum consultivo promosso proprio dal governo (2015) non è bastato. Tsipras non ha avuto né il coraggio, né la capacità, né la forza di legarsi alla mobilitazione delle masse e di utilizzare la sua posizione per sostenerla, ampliarla, incoraggiarla; tirandosi indietro si è messo alla mercè dei gruppi imperialisti e oggi è passato nel loro campo, imponendo alle masse popolari, a colpi di riforme e manganelli, quelle ricette che aveva avuto il mandato di respingere.
Governare senza darsi i mezzi per farlo, porta la sinistra borghese a cedere, a capitolare, a fallire su tutti i fronti. Il conto, poi, lo pagano sempre le masse popolari.

La vittoria elettorale del 1999 di Hugo Chavez in Venezuela ha aperto la fase della Repubblica Bolivariana, i cui governi puntano a rompere con il dominio degli imperialisti USA nel paese e in tutto il continente, motivo per il quale Chavez, prima, e Maduro, oggi, sono stati e sono al centro dei tentativi di rivalsa degli imperialisti USA e di una parte della borghesia nazionale. Manovre aperte o sotterranee per destituirli, rivolte, tentativi di colpo di stato, benché continui, non sono riusciti nell’obiettivo di rimettere il Venezuela sotto il dominio USA.
Stiamo parlando di un paese certamente molto diverso dall’Italia e da ogni altro paese imperialista, ma l’esempio è utile al ragionamento perché il principale ostacolo alla caduta della Repubblica Bolivarianai e alla sottomissione del paese è il ricorso da parte delle stesse autorità e istituzioni alla mobilitazione e al protagonismo delle masse popolari.

Lo stato borghese è uno strumento con cui la classe dominante opprime le masse popolari. Non può esistere un governo “amico delle masse popolari” che si proponga di rispettare i rapporti di forza, le leggi, le prassi dello stato borghese che è chiamato a governare. Un governo amico delle masse popolari che persegue quella strada, fallisce, qualunque sia il suo programma, qualunque sia l’impegno, la buona fede e la “fedeltà al popolo” dei suoi componenti.
Governare il paese e avere il potere sono due cose molto diverse. Per questo motivo, promettere in campagna elettorale che, una volta vinte le elezioni, “aboliremo il Jobs Act e la Legge Fornero”, “aboliremo la Buona scuola e il Piano Casa”, scriverlo sui programmi e indicarlo come soluzione senza darsi i mezzi materiali, concreti, per farlo, è un imbroglio o un’ingenuità.

A questo punto, giustamente, la domanda è: “ma come, anche voi dite che bisogna costituire il Governo di Blocco Popolare per abolire il Jobs Act e la Legge Fornero… come la mettiamo?” La mettiamo così:
– il Governo di Blocco Popolare non è costituito dall’alto (dall’accordo fra gruppi e fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia), ma è imposto dal basso, dalla mobilitazione delle masse popolari che rendono ingovernabile il paese a qualunque altro governo.

– Le sei misure che costituiscono il programma del Governo di Blocco Popolare, sono un orientamento generale: concretamente la loro attuazione dipende dalla mobilitazione delle organizzazioni operaie e dalle organizzazioni popolari che individuano i problemi e le soluzioni e si mobilitano per risolverli. Il Governo di Blocco Popolare mette a loro disposizione le istituzioni, i mezzi e le risorse, le conoscenze e le relazioni… tutto quello che serve, oltre che dare forza di legge alle loro proposte e iniziative.

– Il Governo di Blocco Popolare è una strada per fare fronte agli effetti peggiori e più urgenti della crisi, non è “la soluzione alla crisi”. La soluzione alla crisi è solo l’instaurazione del socialismo: il Governo di blocco Popolare è lo strumento attraverso cui la classe operaia e le masse popolari imparano a diventare classe dirigente del paese e della società. Il Governo di Blocco Popolare sarà boicottato e sabotato dalla Comunità Internazionale degli imperialisti e dai vertici della Repubblica Pontificia, dai suoi agenti, dalle loro agenzie e dai loro infiltrati (governare il paese non equivale ad avere il potere…), resistere contro di essi e permettere al Governo di Blocco Popolare di operare in conformità degli interessi delle masse popolari sarà una specifica forma della lotta di classe ed educherà la classe operaia e le masse popolari a combattere per il socialismo.

E’ possibile e realistico parlare di abolizione del Jobs Act o della Legge Fornero, senza che si tratti di parole in libertà o di un paravento dietro cui si nascondono riforme che peggiorano ulteriormente le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, solo se ci si dà i mezzi per farlo, solo se si incanalano le mille mobilitazioni per fare fronte agli effetti della crisi nel movimento per creare la nuova governabilità dal basso del paese.
Che le organizzazioni operaie e popolari siano presenti capillarmente nel tessuto produttivo e sociale del paese, che si occupino delle condizioni di vita delle masse popolari, che agiscano da nuove autorità pubbliche, che abbiano chiaro, almeno a un certo grado, che sono loro la forza che tiene in piedi il paese e che è dalla loro mobilitazione che dipende la direzione verso cui va la società. Queste sono le condizioni che dobbiamo costruire oggi per legare strettamente la lotta per il governo del paese con la lotta per instaurare il socialismo. Alla costruzione di queste condizioni ci dedichiamo oggi, contrastando ogni suggestione e ogni illusione circa il fatto che formare un governo di sinistra attraverso le elezioni possa essere una soluzione, temporanea o di prospettiva, alla catastrofe in corso.

 

Il programma del Governo di Blocco Popolare

  1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi (di beni o servizi) utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale (nessuna azienda deve essere chiusa).
  2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
  3. Assegnare ad ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società (nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato).
  4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose per l’uomo o per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti
  5. Avviare la riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
  6. Stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione o scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.

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