[Firenze] Da un nostro simpatizzante: quella di Makarenko è la pedagogia del fare

A seguire giriamo una lettera che ci è giunta da un compagno simpatizzante del P.CARC, in cui fa delle considerazioni sulla presentazione pubblica tenuta dal P.CARC a Firenze del libro “Poema Pedagogico”. Ci teniamo in questo senso a sottolineare che chiunque sia interessato alla presentazione pubblica del testo non deve fare altro che contattarci alla mail carc@riseup.net, provvederemo a dare la nostra disponibilità sul campo dalla Sicilia alla Val Susa.

Buona lettura

***

Cari compagni della “Staffetta Rossa”,

Sono un compagno, simpatizzante del Partito dei CARC, ho assistito alla presentazione del libro che avete organizzato a Firenze e volevo darvi un mio contributo rispetto a una serie di ragionamenti che in quell’occasione ho maturato. In particolare credo sia importante sottolineare che il poema pedagogico, prima di essere un opera letteraria è manifesto educativo in fieri della “costruzione” dell’uomo nuovo in un contesto, come quello dell’U.R.S.S. degli anni venti, in cui il progetto della trasformazione della società in una prospettiva socialista trovava finalmente le basi materiali per potersi attuare.

Quale pedagogia quindi poteva trovar posto nella nuova società senza classi? Le pedagogie libertarie e umaniste, già affermatesi come risposte di natura filantropica, della borghesia illuminata all’autoritarismo delle scuole della classe dominante, sembravano la risposta naturale ad un’evoluzione in chiave progressista della società. Lo stesso Makarenko le individua come base fondativa del sapere dei più attivi pedagoghi della Russia di inizio secolo. Ma tali teorie, figlie più o meno fedeli dello spontaneismo di matrice Roussoiana, dovevano, in uno scenario rivoluzionario, fare i conti con l’abbattimento della società capitalistica e con essa delle sue istituzioni educative.

La pedagogia di Makarenko si connota quindi fin da subito come una pedagogia del fare: di fronte all’urgenza di fondare le basi di una nuova società deve assumere emergenza operativa, deve sapersi confrontare non tanto con i tempi dello sviluppo individuale, quanto con quelli della creazione condivisa di un’identità collettiva. Il paragone corre dunque a quello che sarà conosciuto come l’approccio educativo dell’imparare facendo (learning by doing) di John Dewey, teorico statunitense e progressista che influenzò con le sue teorie il sistema formativo degli U.S.A. nella prima metà del xx° secolo.

Entrambi, Makarenko e Dewey, si confrontano con “tecniche” tese alla individuazione condivisa e alla relativa risoluzione di problemi concreti: più che con la selezione dei saperi da tramandare hanno a che fare con strumenti da affinare e bilanciare. Se l’approccio deweyano vede centrale, in quanto inserito nel contesto borghese capitalistico, l’elemento individuale e lo sviluppo del soggetto portatore di irriducibili peculiarità, la riflessione (e l’azione conseguente) di Makarenko sono orientate, mantenendo carattere sperimentale e finalità trasformativa, alla creazione di una consapevolezza collettiva, al consolidamento o alla creazione della coscienza di classe attraverso il confronto con le difficoltà quotidiane (logistiche, organizzative, disciplinari ecc…) e al loro superamento proprio grazie al considerarsi, da parte di educandi ed educatori, un’entità sociale unica, un organismo sfaccettato ma coeso e dalle finalità condivise.

L’organizzazione del collettivo, come elemento centrale nella pedagogia di Makarenko, segue questa necessità: ripensare il corpo sociale degli “allievi” contemporaneamente come oggetto che come soggetto dell’attività formativa. Un collettivo che passa dal lavoro allo studio in un’alternanza che, al contrario di come viene concepita oggi, (mera regalia del tempo di vita e delle competenze degli studenti ai padroni) viene invece organizzata attraverso la rotazione dei compiti. All’inizio tale rotazione ha natura orizzontale: sono le mansioni assegnate a ciascuno a diversificarsi nel tempo, allo scopo di rendere consapevoli i giovani delle proprie attitudini e inclinazioni, e, in un secondo momento, la rotazione diviene  verticale, così da garantire l’assunzione condivisa di responsabilità operative e decisionali.

Proprio questa assunzione di responsabilità, maturatasi all’interno della dimensione collettiva e veicolata anche attraverso l’assunzione di un’autonomia che è anche e sopratutto autodisciplina, risulta centrale per la formazione dell’ “uomo nuovo”.

Ma il paragone forse più calzante che si possa fare con il pensiero di Makarenko è quello con “la filosofia della prassi” di cui scrive Gramsci partendo dalla XI tesi su Feurbach di Marx: una filosofia che, esattamente come l’opera pedagogica di Makarenko, è inanzitutto mediazione tra teoria e pratica: la teorizzazione rimane sterile senza confronto con il contesto materiale storicamente connotato, non vi è più spazio per la speculazione astratta che non passa il vaglio della prassi, cioè le concrete modalità con cui gli agenti sociali si relazionano e trasformano il mondo.

“La mia fede pedagogica: la pedagogia è anzitutto cosa dialettica – non è possibile stabilire nessun provvedimento o sistema pedagogico giusto in assoluto. Ogni posizione dogmatica, che non procede dalle circostanze e dalle esigenze del momento dato, della tappa determinata, sarà sempre viziato.”

Così scrive Makarenko in una missiva a Gor’kij del 1934, ribadendo il carattere assolutamente antispeculativo del suo pensare e applicare l’educazione.

In estrema sintesi possiamo dunque affermare l’attualità della pedagogia di Makarenko in quanto elemento che rompa con l’idea della formazione e dell’istruzione come leve per l’individuale ascesa sociale (tesi facilmente contraddicibile osservando quanto lo studio non sia più, tranne in rari casi, portatore di miglioramento economico e riconoscimento sociale) e che restituisca la pedagogia ad una dimensione realmente trasformativa, attraverso l’assunzione di un orizzonte che dai meri interessi individualistici si sposti con forza e determinazione verso finalità condivise collettivamente e dialetticamente generate ne confronto con le storture e le contraddizioni della società capitalistica, in breve: verso l’assunzione di una coscienza di classe.

Saluti rossi,

Ludovico Quattromanni

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