Giriamo di seguito un messaggio inviatoci da un compagno, in relazione all’articolo “Ecco perché a 30 anni lascio l’Italia” apparso su la Repubblica il 27.11.17. Buona lettura.
Cari compagni della Staffetta Rossa,
segnalo questo articolo apparso su la Repubblica che mi ha fatto venire in mente una serie di considerazioni. La crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale riduce milioni di giovani e donne delle masse popolari ad una vita da esuberi, a mero capitale in eccesso. L’emigrazione è una risposta che tanti e tante di loro scelgono, in particolare dal nostro paese che la borghesia imperialista, la sinistra borghese e la loro stampa considerano condannato ad un tragico destino per caratteristiche territoriali o razziali degli italiani, per motivazioni inspiegabili, che si perdono nella notte dei tempi.
La storia del nostro paese, in realtà, ha seguito il corso della storia del resto del mondo (e in particolare del resto dei paesi imperialisti), solo con le proprie particolarità locali su cui verrò dopo.
Di fatti disoccupazione, precarietà, corruzione, arroganza della classe dominante, esistono in Italia come nel resto del mondo e sono frutto della seconda crisi generale del capitalismo e dell’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria.
Così come anche in Italia, al di là delle lamentele, del disfattismo e dell’intossicazione che la borghesia e chi sta al suo carro diffondono (“in Italia nessuno fa nulla, nessuno protesta…”), gli elementi più avanzati delle masse popolari si organizzano per resistere agli effetti della crisi e per costruire un’alternativa politica a questo sistema marcio e ai governi di cui è espressione. Dai NO TAV ai NO MUOS, dagli operai FCA del centro-sud ai comitati in difesa degli ospedali, dagli amministratori locali che lottano per attuare la Costituzione fino ai NO TRIV e agli operai dell’ILVA di Taranto, realtà queste ultime che la ragazza tarantina autrice dell’articolo (che peraltro bisognerebbe sapere chi è e da quale classe proviene) dovrebbe conoscere bene.
Certo, c’è da dire che il nostro è un paese anomalo.
La sua anomalia è frutto della presenza del papato, la più importante e la più reazionaria tra le vecchie istituzioni feudali, che seicento anni fa con la Controriforma ha frenato e reso monco lo sviluppo della borghesia. Tutto ciò ha creato due ordini di problemi: una borghesia più che altrove stracciona, parassitaria e condizionata da vecchie abitudini feudali e un sistema politico incentrato sul potere occulto e irresponsabile del Vaticano e sulla coesistenza di vari poteri occulti (mafia, organizzazioni criminali, imperialisti USA) che si scontrano in continuazione tra loro alimentando un’instabilità politica senza confronti: la Repubblica Pontificia.
In conclusione: cento anni fa la rivoluzione socialista vinceva in Russia. Sull’onda di quella vittoria la rivoluzione avanzava in tutto il mondo e spingeva milioni di giovani proletari a rompere le loro catene e a dedicare la loro vita alla causa del socialismo e del comunismo che, come dimostra la storia dei primi paesi socialisti, è la causa del futuro dell’umanità.
Che i migliori tra i giovani delle masse popolari non si rassegnino ad una vita da precari e da esuberi, prendano insegnamento dall’esperienza della rivoluzione d’ottobre e imparino a fare la rivoluzione socialista. A questi giovani, mi sento di dire che la soluzione non è emigrare, la crisi è una crisi internazionale, la soluzione è combattere!
Un compagno
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Ecco perché, a 30 anni, lascio l’Italia
Grazie a Antonella Ninni, che parte per la Svezia
“Perché il magone? Perché testona e impegnata come sono stata sempre, dopo la laurea sono entrata a contatto con enti locali, politici e amministratori e quell’ideale si è scontrato con avidità e incompetenza, corrodendomi fino a rasentare una depressione”.
“Per questo tra un mese lascio l’Italia dopo trent’anni, Firenze dopo undici e vado a vivere a Stoccolma. Qualcosa mi inventerò, sono nata e cresciuta a Taranto, la resilienza per noi è un’abitudine, la impariamo quando mettiamo la mano sul naso per non respirare il minerale passando nei Tamburi”.
“Risposta lunga alla domanda: ‘Ma vuoi mettere l’Italia con tutto quel freddo in Svezia?’. Quand’ero al liceo partecipai al Festival della Legalità, avevo sedici anni e scrissi un tema sui boss del mio paese che tutti temevano e che alle feste portavano la Madonna sulle spalle, il più grande dei privilegi. Vinsi quell’anno e l’anno seguente. Il premio me lo porse Don Franco, il parroco della parte vecchia della città che stava rianimando l’area per evitare che ci ammazzassimo in macchina ubriachi, per noia”.
“Mi disse: ‘Anche se non credi nel mio lavoro ascoltami, mettili a frutto questi pensieri’. Io nel suo lavoro ci credevo tantissimo, ma non glielo rivelai. Lasciai l’idea di fare medicina, mollai il corso pomeridiano che preparava al test e parlai con mia madre. Eravamo in spiaggia e le dissi: ‘Voglio andare a Firenze a fare Scienze Politiche, fatemi andare che io qui muoio'”.
“Firenze l’avevo amata dai racconti da militare di nonno Giovanni e nella settimana in gita, quindi non avevo dubbi. Da quando ci venni a stare mi buttai anima e cuore, circondata da persone appassionate, curiose e fantastiche che sarebbero diventate la mia vita. Ci incazzavamo, scendevamo in piazza, firmavamo petizioni, litigavamo coi prof, occupavamo, discutevamo di tutto. Insieme diventavamo migliori. Non mi sono mai pentita. Studiando ho capito che per me la politica si basa sull’empatia, sul sentire le ingiustizie come proprie e lavorare giorno dopo giorno per ridurre le disuguaglianze e rendere il mondo un posto meno terribile di come l’hai trovato”.
“Per questo me ne vado. Perché tra tutte le cose che mi lasciano sgomenta, la mancanza totale di senso del dovere e di responsabilità da parte di chi mi rappresenta, mi sta spegnendo. Me ne vado perché un Paese in cui chi ti rappresenta ti disprezza o ti ignora, è un Paese che imbruttisce, rende egoisti e toglie la bellezza dell’essere cittadini, di partecipare. Parto col magone e gli occhi pieni di decine di coetanei pieni di talento elemosinare spiccioli e dignità e non credere più in niente, disillusi già a trent’anni”.
“Mi prendo la neve, le ore di buio, una lingua impossibile e un Paese in cui sarò straniera e lascio un Paese in cui un parroco definisce Emma Bonino più sanguinaria di Totò Riina senza perdere lavoro né fedeli. Avrei voluto che i miei figli giocassero a scopa coi nonni la domenica a pranzo, mentre di là si cucina e di sottofondo c’è un brutto programma in tv. Invece magari ameranno un Lars e un Andreass, mi correggeranno la pronuncia svedese e guarderanno straniti quell’Italia che mi tengo nel cuore”.